NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Perché è giunto il tempo del “Bacalà Day”

di Stefano Ferrio

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Perché è giunto il tempo del “Bacalà Day”

Sentite qua perché è ormai il caso di inventarsi un’oceanica, incessante, nostrana e globale polenta e bacalà in piazza dei Signori stile pane e pesci per tutti, ricchi e poveri, indigeni e foresti, di destra e di sinistra (ma anche di nulla).

Sabato scorso, a cena da amici, si finisce con una tazza di caffè accompagnata da un vassoio di deliziosi amaretti, quei biscotti che, preparati con una semplice ricetta a base di zucchero, chiare d’uovo e armelline (semi di albicocca), da un paio di secoli in qua fanno le fortune, commerciali e gastronomiche, di Saronno, popoloso comune in provincia di Varese.

Il bello è che il giorno dopo vado proprio a Saronno, ospite di una libreria, per cui intraprendo il viaggio quasi “mi fossi fatto la bocca” per gustare nella città d’origine amaretti ancora più amaretti, e quindi ancora più croccanti e speziati, di quelli mangiati a Vicenza. Magari accompagnati da un bicchierino di quell’altro amaretto, scritto invece al singolare, che è invece il non meno celebre liquore a base di mandorle prodotto da cinquecento anni in questo centro della Lombardia.

Nulla di tutto ciò. Nel senso che i meravigliosi ospiti saronnesi mi offrono della prelibata salama piacentina, accompagnata da pane alle uvette e ampia varietà di vini, compreso un prosecco trevigiano che arriva praticamente da dietro casa mia. Di amaretti e amaretto nemmeno l’ombra, come d’altra parte avevo osservato spiando insegne e vetrine lungo il corso e nelle piazze di Saronno, prive di reclame sulle specialità cittadine. Faccio appena in tempo a stupirmi per questo sorprendente salto fra le attese della vigilia e la realtà effettivamente assaggiata, quando mi si accende in testa una sorta di cartello lampeggiante, su cui leggere “Come a Vicenza”. Dove di “polenta e bacalà”, piatto della tradizione locale noto in tutto il mondo, e scritto rigorosamente con una sola c, si parla ancora molto, ma senza poter spiegare a un qualsiasi turista o foresto di passaggio dove andarlo a mangiare.

Già, abbiamo un bel dire un po’ tutti, noi abitanti della città del Palladio, che a Sandrigo lo fanno meglio ed è appena a venti chilometri di distanza, che certe nonnine nostrane lo cucinano secondo le pregiate ricette della tradizione, comprese le ore necessarie affinché possa “pipare” in pentola a sufficienza, e che in qualche self service dell’ora di punta ve ne sbattono sul piatto una qualche, commestibile versione. Resta però il fatto che il visitatore di Vicenza, reduce dal classico tour palladiano, con eventuale sortita di preghiera a Monte Berico, nel caso si fosse predisposto a far coronare la propria gita con un piatto come si deve di polenta e bacalà dovrà, ben che gli vada, ripiegare su una porzione di bigoli seguita da costicine con patate fritte, tiramisù e caffè.

Lungi da noi il tirare in ballo i volenterosi osti e ristoratori che più o meno occasionalmente lo infilano nel menù, e tanto meno quella gloriosa Confraternita del Bacalà (per l’appunto, con una sola e rigorosa c) a cui si deve la strenua difesa e valorizzazione del piatto vicentino per eccellenza, nato nel XV secolo, durante un naufragio di marinai veneti nelle nordiche isole dello stoccafisso. Il problema è sempre quello, ormai annoso, di una promozione turistica che, per varie e insondabili ragioni, non riesce a far ruotare una visita o un soggiorno a Vicenza attorno a un piatto unico al mondo per svariati motivi, fra i quali basterà citare quanto è completo da ogni punto di vista: dietetico, gastronomico, culturale.

Diverse volte, se non proprio periodicamente, si è detto che era, ed è, il caso di darsi una mossa. Oggi, alle ragioni ormai storiche, ne va aggiunta una di nuova, dettata dalla più stretta e incalzante attualità. Ovvero una crisi economica globale a cui ogni comunità locale deve industriarsi di reagire sul piano delle iniziative sociali e culturali, non solo economiche. Perché, prima ancora che di business, c’è bisogno di relazioni, incontri e, perché no, sentimenti finalmente utili. Ad esempio quell’indiscutibile affinità che può portare i vicentini a telefonare a Saronno, dove con i loro amaretti scoprono di intrattenere rapporti edipici simili a quelli nostrani con lo stoccafisso. Una volta che si saranno aggiunte altre sette, otto città in grado di offrire alla causa i propri, storici tesori gastronomici - dalla citata salama piacentina, alla fonduta valdostana o al caciocavallo lucano – tutto è pronto per il memorabile spettacolo. Nel quale Vicenza, per un giorno all’anno, mette a disposizione le sue piazze, il suo centro, il suo stadio, la sua periferia e i suoi impagabili volontari per approntare ovunque punti di ristoro dove consumare – gratis o a prezzi stracciati – tonnellate di polenta e bacalà, burrate toscane, orecchiette pugliesi e quant’altro concorre al menù, compresa qualche portata offerta dalle comunità straniere.

Titolo “Bacalà Day” (sempre con una c sola, più gradita anche all’estero), invito esteso al mondo intero, replica garantita l’anno dopo, e cin cin finale con amaretto di Saronno.

 

nr. 15 anno XVII del 21 aprile 2012

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