Scrive Paola Valente nella prefazione che "Nel Veneto cementificato e ricco esistono ancora luoghi che segnano in profondità la crescita di una persona". Come vedi tu questo rapporto tra vecchio e nuovo nella nostra regione e nel tuo paese?
«Il nuovo che avanza nel Veneto forse anche più che in altri luoghi ha portato alla perdita di troppe cose. Non voglio idealizzare la vita contadina: era un mondo duro e non privo di sofferenze, specie per la povera gente. Ma, come mi raccontavano i vecchi delle mie contrade, era anche un mondo di solidarietà e di apertura all’altro. Non c’era solo la chiusura di cui ho accennato prima, c’era anche l’apertura al 'foresto', come capitò coi soldati stranieri, francesi e inglesi, che passarono per Sant’Urbano durante la Grande Guerra. Inoltre si vivevano con maggior semplicità anche i rapporti umani: ci si dava una mano e ci si fidava di più gli uni degli altri. Un esempio per tutti: i miei nonni non hanno mai dormito con la porta chiusa a chiave. Per loro era qualcosa di impensabile. Se fosse arrivato un ladro, al massimo avrebbe puntato al pollaio delle galline… Non abbiamo forse qualcosa da imparare da quel mondo?».
Raccontaci qualche aneddoto che ti ha colpito durante le tue ricerche per la stesura del libro...
«Di un fatto curioso parlo all’inizio: quando alla fine dell’Ottocento si trattò di dover inaugurare il nuovo camposanto, edificato poco fuori dal paese, nessuno si decideva a... passare a miglior vita. Così il curato fu costretto ad andare a chiedere un morto a prestito. Un altro episodio avvenne da bambino, quando il vecchio sacrestano mi spiegò come fanno a venir su le chiese. Mi disse che con tre cose si costruiscono in ogni tempo e in ogni luogo gli edifici di culto: le ciàcole dei siùri, i schèi dei poaréti e... leggete il libro per scoprirlo!».
Tu citi il grande scrittore asiaghese Mario Rigoni Stern, paladino della natura e della montagna. Dal tuo punto di vista di giovane, come vedi il rapporto con la natura?
«Viviamo in un mondo divenuto, più o meno nostro malgrado, una grande, caotica città. Ma le città possono diventare anche luoghi vivibili, come ci insegna in un certo senso Italo Calvino nelle sue 'Città invisibili'. Dipende da noi fare tesoro della vita di chi ci ha preceduto, cercando di evitare gli errori un tempo commessi e imparando ad essere cittadini del terzo millennio. Il mio libro descrive con ironia il piccolo mondo che è stato e, soprattutto, si apre alla speranza. Al contempo però non possiamo recidere i legami che abbiamo con la madre terra, la Tellus, come la chiamavano i latini. Un giusto equilibrio è quello che veramente ci può salvare, che ci può dare speranza anche in questi tempi difficili. Un rapporto più diretto con la natura significa poi anche un rapporto più limpido con noi stessi e con gli altri».
«Conosco Michele da poco ma è nato subito un certo feeling d'intenti - racconta Matteo Castagna, fotografo (e autore della maggior parte degli scatti in queste pagine) - . A lui piace raccontare con le parole, a me piace raccontare con le immagini, entrambi adoriamo ascoltare. Così è nata l'idea del libro, le sue storie e i suoi personaggi e anche le immagini. L'ambizione è quella di raccontare, attraverso i ricordi di Michele e il mio punto di vista, le storie che in questo paesino collinare si tramandano di padre in figlio, di nonno in nipote. Girovagando tra i sentieri abbiamo raggiunto le vecchie cave, le priare, luogo che già conoscevo ma che ora vedo con occhi diversi dopo i racconti di Michele. Tra ricordi di partigiani, fiamme, carretti e scalpellini è uscito anche qualche scatto di Michele in questo luogo suggestivo. Il foto-racconto a cui stiamo lavorando verrà pubblicato in occasione della presentazione ufficiale a Montecchio».
Michele Santuliana è nato nel 1988. Ama la montagna, la musica e i libri. Da sempre appassionato di storie della sua gente, dopo averne ascoltate tante ha deciso di raccontarle a sua volta. Vive a Sant’Urbano. Studia Lettere classiche a Padova. Questo è il suo primo libro.
nr. 21 anno XVII del 2 giugno 2012