NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il Viaggiatore. Barack, Presidente dei vicentini

Come, fra i mille stenti della crisi, il Sogno Democratico continua ad accomunare idealmente milioni di cittadini del mondo agli elettori americani di Obama

di Stefano Ferrio

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Il Viaggiatore. Barack, Presidente dei vicentini

Barack Obama non rappresenta solo 300 milioni di americani. Se ci soffermiamo alla nostra città, si riconoscono in lui, fino al punto di credergli, migliaia di vicentini. Senza bisogno di chiedere il loro parere, so di parlare per l’anziana dai capelli bianchi che si trascina al braccio della badante in viale D’Alviano, per i morosetti che si sentono padroni del mondo (e lo sono) tenendosi per mano in piazza San Lorenzo, per il pensionato che ha una fifa blu mentre va al San Bortolo a ritirare il referto con le analisi del sangue, per le torme di universitari con gli occhi persi sul display del telefonino più che sul libro di chimica da studiare, per l’artigiano che apre bottega a Sandrigo chiedendosi per quanti altri giorni riuscirà ad alzare quella saracinesca. Persone a cui Obama non risolve i problemi, ma a cui, pur con tutti i limiti e gli errori mostrati nei primi quattro anni alla Casa Bianca, continua a donare Speranza. Futuro. Sogni da tradurre in realtà. Beni immateriali, ignoti da tempo immemorabile ai politici italiani e ai loro martoriati elettori.

Fuggendo idealmente negli States, ovviamente mi aggiungo al gruppo dei fan, perché sono fra i milioni di cittadini del mondo che nella notte fra il 6 e il 7 novembre scorsi ha sofferto, tremato, e infine gioito con occhi umidi per la rielezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Sono anche un convinto oppositore della base americana Dal Molin e del risorgere di Site Pluto alle pendici dei colli Berici, ma ciò non mi impedisce di esprimere tutto il mio sostegno a un Democratico che, ne sono certo, condivide la mia stessa utopia di un mondo senza armi ed eserciti.

Quando prima ho scritto “milioni”, ho dovuto autocensurare la parola “miliardi”, così da non passare per il solito esagerato con il fazzoletto facile ogni volta che qualcuno ridà ali al Sogno Democratico. Perché in effetti tendo a credere che quanti “sono con Obama” in questo momento della Storia corrispondano a un numero a dieci cifre. Per esserne convinto non mi servono statistiche, ma semplicemente le “foto” di tante persone che incontro girando per la mia città.

L’ho pensato per la prima volta un paio di mesi fa, quando, passando in auto per viale Giangiorgio Trissino, ho incrociato sul marciapiedi la figura di un nero americano che indossava una t-shirt rosso fuoco su cui campeggiava, a lettere cubitali, la parola “Obama”. Un militare, con ogni probabilità. Uno la cui categoria negli States si sente infinitamente più tutelata e rappresentata dal Partito Repubblicano dell’avversario sconfitto da Obama, Mitt Romney. Eppure quel marine era lì a dichiarare al mondo una fiducia nel proprio presidente, incondizionata a un punto tale da superare ogni limite imposto da interessi personali e corporativi.

Quanto poi avvenuto ha solo vivificato quella prima impressione: la difficile campagna elettorale, i sondaggi a lungo favorevoli a Romney, la debacle del primo confronto televisivo con il rivale, la faticosa rimonta, il terribile week end dell’uragano Sandy, e infine le emozioni dell’Election Day, conclusosi con la vittoria, sofferta quanto netta, di Barack Obama. Per il quale, guarda caso, un sondaggio Piepoli rileva il 70% di ideali preferenze da parte degli italiani, a prescindere dal loro schierarsi a destra o a sinistra. Per il semplice motivo che Obama significa politiche del lavoro, tutela dello stato sociale, opportunità diffuse se non proprio pari, Pace fin dove è possibile ottenerla, ritiro graduale ma totale dai fronti di guerra, primato delle Idee sul Potere, frontiere più aperte all’immigrazione, germinazione di Democrazia, lotta perpetua contro la crisi che attanaglia l’America e il mondo.

Una parola sola? Speranza. La stessa Speranza che moltiplica all’infinito gli elettori in festa sotto il palco di Chicago, dove il presidente ha pronunciato il discorso della rielezione. Così da trovare posto idealmente a milioni, forse miliardi, di altri cittadini del mondo. Compresi lo studente di oboe che serve pizze per mantenersi al conservatorio Pedrollo, il poeta che non trova più ispirazione lungo la vasca di corso Palladio, la zia che passa giorni interi da sola in un letto dell’istituto Salvi, l’orafo che non sa più come pagare la rata del mutuo, il parroco depresso dalla messa senza più fedeli. Uno, quest’ultimo, che magari sogna un Papa capace di parlare al cuore dell’umanità con la stessa sincerità, e gli stessi sogni, del presidente Barack Obama.

 

nr. 39 anno XVII del 10 novembre 2012

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