NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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IL VIAGGIATORE. Troppi “schei” al ristobar, di gratis restano solo i ricordi

A patto di saper tornare dalle crisi, economiche e politiche, di oggi, a quel giorno del '71 passato a guardare “Love Story”, con la ragazza amata per tutta una vita...

di Stefano Ferrio

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IL VIAGGIATORE. Troppi “schei” al ristobar, di gra

Perché, nel giorno della Resistenza, la vita si afferra ovunque si può.

Il Caos regna sotto i cieli, e non è nemmeno facile rendersene conto.

Chiedete a Giancarlo, pubblicitario free lance sessantaseienne di Molvena, frastornato, come milioni di italiani in questi giorni, da crisi economica, governissimi e comizi grillini.

È il brizzolato Giancarlo che il 25 aprile, ha ospitato a Vicenza tre possibili clienti. Prima è andato con loro in piazza a celebrare la Resistenza, dopodiché si è svenato per pagare, in un tipico “ristobar” cittadino, i 53 euro e 71 centesimi dovuti a tre piatti di lasagne alle zucchine, un cartoccio di scampi fritti, e quattro bicchieri colmi di panna spray, spacciati per “meringate”.

Non appena ha provato a elucubrare sul fatto che in teoria equivalgono a 106mila lire di una vita fa, Giancarlo è stato colto da malore. Ha balbettato “Quanti schei”, e si è accasciato sul bancone del ristobar. Non tanto perché quella cifra somiglia tuttora a una piccola fortuna, ma perché si sentiva orribilmente privo delle sinapsi cerebrali grazie a cui colmare il vuoto, anzi, l'abisso, di anni e di saperi, che lo separerà per sempre da un tempo lontano, più duro ma forse più felice, in cui 106mila lire equivalevano allo stipendio di quella socialista di sua zia Ida che faceva la maestra elementare, si parla di mezzo secolo fa, eppure sembrano millenni, sembra un'altra era, sembra un'altra Italia appiccicata a un altro pianeta Terra, dove forse Molvena era in provincia di Treviso, o addirittura di Marostica.

Né il buon Giancarlo, ex giovane militante del Psdi, il partito socialdemocratico dell'allora presidente della Repubblica Beppone Saragat, venerato da lui e dalla zia Ida, ha trovato di che consolarsi quando il suo vaneggiante malessere, dopo avere allontanato dal ristobar i tre perduti clienti, ha dato la stura all'ineluttabile talk show fra gli altri avventori. Il dibattito di cui il Fato mai ci priva, in qualsiasi tempo e in qualsiasi spazio, quando è il momento di far accomodare qualcuno, molto pallido e un po' sudaticcio, sulla sedia del locale da cui, in un caso su diecimila, non si rialzerà mai più, mentre negli altri novemila e passa gli toccherà forse attendere un'ambulanza, e di sicuro ascoltare un acceso dibattito sul mutare dei tempi.

A Giancarlo è andata abbastanza male: perché, con la scusa che è inutile, oggi nessuno chiama più un'ambulanza se non si ritrova in mano la milza palpitante dell'incidentato di turno, e perché, prima di trovare la forza di rialzarsi, ha dovuto sciropparsi un mesto intreccio di litanie e amarcord, ben presto dominato dal cantilenante soliloquio di un'incipriata vegliarda, nota fra gli astanti come “signora Remonato”. Alla quale, a proposito di “schei”, proprio non andava giù la storia della pensionata di Ravenna che, come riferito da suo nipote Manuel - “che sta tutto il giorno su per il computer” - forse riceverà dalla Banca d'Italia 200mila euro, ovvero settant'anni di interessi fruttati da 100 lire del 1942. Che poi sono quelle depositate dal padre della fortunata nel libretto di risparmio ritrovato dentro una cassapanca della soffitta.

Riprendendo una faticosa confidenza con la realtà, e forse con la vita, il buon Giancarlo si sentiva incapace di prendere posizione pro o contro la signora Remonato, che insisteva sul valore non altrettanto riconosciuto del sacchetto pieno di monete da 500 lire, quelle delle caravelle di Colombo, lasciatole dal suo povero marito Attilio: ventinove in tutto, per un totale di circa 9 euro scarsi secondo la Banca d'Italia e “almeno 100mila” secondo lei, anche perché in mezzo ce ne sarebbe una coniata con le vele della “Pinta” rovesce.

A far affiorare un timido sorriso sulle labbra di Giancarlo è stata alla fine la parola “cento” che, abbinata alla parola “lire”, ha avuto il potere di ricordargli un altro 25 aprile, quello del 1971. Quando, fresco di congedo dal servizio di leva, dopo quindici mesi trascorsi per errore alla Compagnia Controcarri di Civitavecchia, estraendo dal borsellino due monete da cento lire, Giancarlo riuscì ad acquistare altrettanti gelati con doppia pallina al baracchino ambulante di Cisco, incocciato all'angolo fra viale Roma e Campo Marzo. Crema e nocciola per lui, fragola e fiordilatte per Marina, la cui bocca sapeva ancora di bosco quando la baciò, trecento metri più in là, in corso Palladio, davanti al cartellone del film “Love Story”, che sarebbero andati a vedere un'ora dopo, avvinghiandosi addirittura più di Ali MacGraw e Ryan O' Neal sullo schermo del cinema Odeon.

Marina ha poi sposato Gilberto, da cui ha avuto tre figli e un sacco di problemi, mentre Giancarlo non è riuscito a sposare nessuno, e una settimana fa ha scoperto sua sorella Luisa, che vota Lega come la zia Ida prima di morire, in lacrime davanti alla vecchia videocassetta di “Love Story” rivisto assieme a sua nipote Bea, ancora più singhiozzante dopo la celebre frase “Amore significa non dire mai mi dispiace” rivolta dalla bellissima Jennifer al fighissimo Oliver.

Abbastanza felice di sentirsi ancora in forze, e ignaro di essere sopravvissuto a un infarto che rileveranno i medici esaminando prossimamente il suo cadavere, Giancarlo ha fatto un salto al bancomat, ha visto di avere ancora 76 euro in conto, e ne ha prelevati venti. Soldi usati prima per andare a vedere, allo stesso Odeon di 42 anni fa, il remake di “Gambit”, scoprendo che Cameron Diaz e Shirley McLaine non sono esattamente la stessa cosa, e poi per acquistare la vaschetta di gelato, gusti fragola e fiordilatte, da consumare a mezzanotte con sua sorella Luisa, sua nipote Bea, e perfino quel coglione di suo cognato Flavio.

 


nr. 16 anno XVIII del 27 aprile 2013

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