Riescono a lavorare con mezzi alternativi come i-pad o telefoni? Molti documentari oggi vengono girati con mezzi di utilizzo normale.
«Direi che la documentaristica è sempre stata di altissimo livello in Lituania, forse adesso è ancora duro questo momento di stasi e di crisi cominciata nel 2008 e cerchiamo varie possibilità per trovare dei fondi per la documentaristica con organizzazioni come Eurimage. Alcune fondazioni del cinema scandinavo ci danno una mano e poi l’anno scorso è stato fondato l’istituto per la cinematografia e lì andranno anche dei soldi provenienti dal tabacco, alcool eccetera».
In Lituania le intenzioni dei cineasti differiscono di molto o sono simili a quelle dei registi di teatro?
«Direi che le divergenze ci sono soprattutto tra le generazioni: la nostra, del Maestro Nekrosius e la mia, forse ha un gusto più accademico, mentre la nuova generazione è già cresciuta nella Lituania indipendente, ha un gusto suo che è comunque più globalizzato».
Lei è stato anche ministro della cultura: l’impegno politico ha influenzato il suo modo di lavorare al cinema e in teatro?
«Direi di no: i miei gusti sono gli stessi, anzi è stata una prova per capire che avevo vissuto bene e che le mie convinzioni sono sempre quelle. Sono contento che con la mia legislatura abbiamo posto le basi per questo istituto cinematografico; poi abbiamo promosso alcune leggi che sono ancora in vigore».
I paesi mediterranei sono abbastanza diversi tra loro, eppure molto spesso nelle produzioni artistiche, specialmente nella musica, si riconosce subito un tratto comune che è caratteristico e che viene appunto riconosciuto come “stile mediterraneo”. Qual è il peso delle produzioni teatrali e cinematografiche lituane nell’ambito dei paesi anseatici? C’è un tratto caratteristico che unisce i paesi baltici con gli altri paesi scandinavi non anseatici?
«La Lituania è un paese molto piccolo: se parliamo del peso politico, ha il peso di una piuma. Esiste un detto per cui più è grande il paese e più stupidi ci sono: è un proverbio riferito al fatto che, secondo me, i popoli piccoli non possono creare delle grandi catastrofi come a volte sono state create dalle nazioni grandi, ma io sono dell’opinione che non esistono paesi piccoli o lingue piccole. Mi avvicino con grande rispetto ad ogni cultura e ogni paese: ci sono piccoli popoli delle steppe russe che hanno mantenuto modi di dire e di pensare che noi invece abbiamo perso; nonostante ogni cultura condivida gli stessi valori, più conosci il contesto globale più capisci che i valori sono gli stessi dovunque. Tornando a questi popoli delle steppe russe, c’è un detto che se vuoi conoscere il tuo futuro devi girarti indietro e guardare quello che hai alle spalle».
Quanto è importante la cultura in Lituania? Quali sono le discipline su cui si preferisce puntare e quelle che attirano di più il favore del pubblico?
«Secondo me il genere più forte che abbiamo adesso è la musica, sia per quanto riguarda i compositori contemporanei che il livello di orchestre sinfoniche e direttori d’orchestra. Proprio la musica è ciò che viene sovvenzionato di più adesso e abbiamo anche tanti festival di musica jazz. Il teatro di prosa è molto conosciuto in tutto il mondo e abbiamo molti registi bravi. Per quanto riguarda la letteratura, è un po’ la tragedia dei popoli piccoli: la letteratura non riesce a raggiungere un popolo più vasto europeo e abbiamo un po’di difficoltà da questo punto di vista. Per quanto riguarda l’arte moderna abbiamo Ĉiurlionis».
Come trova il pubblico vicentino rispetto a quello di altri paesi?
«Penso sia un ottimo pubblico perché già la prima sera abbiamo percepito una grandissima tensione, nonostante la difficoltà della lingua, i sottotitoli, era la sera della prima e non eravamo certi nemmeno noi in alcuni punti e il pubblico è stato molto attento, ci ha accolti molto bene. Penso che sia un pubblico meraviglioso. Il posto è molto particolare e vi auguro di mantenere questo centro della cultura e queste tradizioni che avete a Vicenza per sempre».
nr. 33 anno XVIII del 28 settembre 2013