NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Il grillo parlante ovvero la voce della coscienza

di Italo Francesco Baldo

facebookStampa la pagina invia la pagina

Il grillo parlante ovvero la voce della coscienza

A. Rodin Il pensatore

III parte 

Introduzione

La cultura che chiamiamo “occidentale”, ha nel mondo greco e in quello ebraico il terreno fertile per lo sviluppo del Cristianesimo e del suo tema centrale, quello della coscienza che esprime l’identità dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri presenti nel mondo.

L’Europa ha la sua radice nel Cristianesimo e questo ne qualifica l’intera cultura anche quella nata in avversione al Cristianesimo stesso. Ciò è bene espresso da una scrittrice che non appartiene al mondo cristiano, ma ne conosce e ne sa valutare l’importanza. M. Yourcenar nella sua Diagnostic de l’Europe”, Bibliothèque universelle et revue de Genève, juin 1929, pp. 745-752, riconosce il ruolo del cristianesimo come fondamentale nella cultura mondiale. Anche il vicentino M. Dal Pra nel 19043 sulla scia del dibattito inaugurato da B. Croce nel 1942 (Perché non possiamo non dirci cristiani) rileverà nel suo Necessità attuale dell’universalismo cristiano (Vicenza, Editrice Veneta, 2005, p.31) la precisa relazione tra cristianesimo e mondo antico: “Come l’universalismo greco e l’imperialismo romano furono i risolti nell’universalità spirituale del Cristianesimo, così ancora in essa debbono risolversi i parziali o egoistici universalismi del nostro tempo”. E ciò perché: ”il cristianesimo attuò, di fronte ai limiti della civiltà classica, la vera rigenerazione spirituale dell’umanità, perché pose il valore assoluto della vita nell’interiorità”. (Ivi, p.20), cioè la coscienza, che è la consapevolezza, che appartiene solo all’uomo dei propri atti e azioni.

 

La coscienza nel mondo ebraico

Il grillo parlante ovvero la voce della coscienza (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

M. Rosselli, Il roveto ardente

 

Il tema della coscienza è importantissimo per il mondo ebraico e lo qualifica. La storia sacra, quella contenuta nella Bibbia, fin dalla creazione dell’uomo, individua in lui una specificità che non appartiene a nessun altro essere, è la consapevolezza dei propri pensieri e dei propri atti e della relazione che nasce da questi con altri esseri presenti nel mondo. Dio, narra il libro del Genesi (1 26-29), dopo aver creato tutti gli altri esseri disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Dio creò l'uomo a sua immagine; ad immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Proseguì: “Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra". Poi Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo”. Il punto fondamentale, come ben sappiamo è l’essere dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio, in altre parole la sua specificità è diversa da tutti gli altri esseri. In che cosa consista questa sua diversità è ben evidenziato sempre dalla storia sacra, allorché sempre nel libro biblico citato (2 15, 17, vi è, intrecciato un secondo racconto della creazione dell’uomo dalla polvere e dal fango; in questo è specificato che l’uomo posto nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse, ebbe un comandamento:” Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. Come può l’uomo riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, lo può perché è ad immagine e somiglianza di Dio, e ciò nell’uomo si chiama coscienza. Non è la ragione l’elemento fondamentale dell’uomo, ma la sua coscienza, la ragione la serve e questa può errare, come ben si ha modo di comprendere allorché la tentazione del demonio, il frutto proibito mangiato, non supporterà l’uomo (maschio e femmina) nel diniego. L’uomo accoglie l’invito e vuole conoscere il bene e il male, sa il bene perché è il giardino nel quale vive in pace, ma intende anche il male per essere eguale a Dio. Lo sarà? No, perché l’uomo non è stato creato eguale, ma simile e pertanto la sua conoscenza del male lo porta al peccato a non ascoltare la voce della coscienza, che pure gli pone in chiaro il dubbio di ciò che eventualmente compirà. L’uomo procede e nel peccato inizia la sua seconda storia, quella dell’attesa della promessa di salvezza. È la storia del popolo ebraico nei secoli. Il popolo ebraico ha ben chiaro il valore della coscienza che è costantemente evidenziata proprio dai libri che compongono quello che i cristiani chiamano il Vecchio testamento. Il primo episodio è quello dell’offerta sacrificale di Caino e Abele. (Genesi 4 1 7):” Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo" Caino non dominò la voce della sua coscienza che pure gli era stata indicata e assassinò il fratello. Il significato posto in luce è molto preciso, chi non ascolta la voce del bene, della sua consapevolezza, agisce male fino al fratricidio. L’uomo sa che cosa è bene e che cosa è male se s’interroga pienamente su ciò, ma preferisce ascoltare altra voce: Solo nel continuo domandarsi se ciò che pensa è conforme a Dio sta il bene, il male è l’allontanarsi da Dio. Noè è uomo buono perché segue Dio e così sarà per Abramo e i patriarchi. Mosè e con lui tutti i grandi protagonisti della storia di Israele agiscono sempre nel perenne dialogo con Dio, per trovare in Lui la chiarezza del bene per le proprie azioni. Un dialogo tra la coscienza umana, che è autenticamente libera quando consoce il volere di Dio, cioè il bene. Interrogarsi fino in fondo e continuamente in ogni situazione, anche la peggiore, anche quando ci si sente abbandonati da Dio, come Giobbe, sempre il dialogo è perenne e questo dialogo non è una dimensione di argomentazione o dimostrazione, ma è essenzialmente p r e g h i e r a, quella che I. Kant definiva “il servizio divino interiore”.

 La prima volta che nel testo sacro si utilizza il termine “ coscienza” è nell’episodio (Genesi 20 1 7). Seguiamo il racconto:”Abramo levò le tende di là, dirigendosi nel Negheb, e si stabilì tra Kades e Sur; poi soggiornò come straniero a Gerar. Siccome Abramo aveva detto della moglie Sara: "È mia sorella", Abimèlech, re di Gerar, mandò a prendere Sara. Ma Dio venne da Abimèlech di notte, in sogno, e gli disse: "Ecco stai per morire a causa della donna che tu hai presa; essa appartiene a suo marito". Abimèlech, che non si era ancora accostato a lei, disse: "Mio Signore, vuoi far morire anche la gente innocente? Non mi ha forse detto: È mia sorella? E anche lei ha detto: È mio fratello. Con retta coscienza e mani innocenti ho fatto questo". Gli rispose Dio nel sogno: "Anch'io so che con retta coscienza hai fatto questo e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi. Ora restituisci la donna di quest'uomo: egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai”.

 La vita dell’uomo ebreo è regolata dalla coscienza ovvero dal seguire il volere di Dio, il bene e fuggire il male, continuamente interrogandosi. Con chiarezza proprio Giobbe lo evidenzia:” Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei

giorni”. (Giobbe 27 6). Infatti :”La malvagità condannata dalla propria testimonianza è qualcosa di vile e oppressa dalla coscienza presume sempre il peggio”. (Sapienza 17 10). A questa prospettiva gli scrittori dell’Antico testamento si tengono fedeli e tra tutti bene esprime il valore della coscienza Siracide (37 13 18)":

 

Segui il consiglio del tuo cuore,

perché nessuno ti sarà più fedele di lui.

 

La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire

meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare.

 

Al di sopra di tutto questo prega l'Altissimo

perché guidi la tua condotta secondo verità.

 

Principio di ogni opera è la ragione,

prima di ogni azione è bene riflettere.

 

Radice dei pensieri è il cuore,

queste quattro parti ne derivano:

 

bene e male, vita e morte”.

 

 

La coscienza nel cristianesimo

Il cristianesimo si presenta alla storia dopo la venuta di Gesù Cristo e la sua morte resurrezione, come afferma e proclama questa fede. Egli è la realizzazione della Promessa che fin da Adamo era stata fatta all’uomo. Il messaggio cristiano è contenuto nel Nuovo testamento che comprende i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, Le lettere apostoliche e l’Apocalisse. Il termine coscienza non è mai utilizzato nei Vangeli canonici, almeno a seguire la versione italiana che generalmente si riferisce a quello stabilito dalla Conferenza episcopale Italiana (CEI), ma la prima volta che lo incontriamo è in Atti 23 1, quando Paolo di Tarso si rivolge al Sinedrio, supremo tribunale religioso e civile degli Ebrei, con queste parole:” Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: "Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza". Con ciò egli ribadisce che l’uomo deve fare riferimento preciso al bene che la sua coscienza gli indica e ciò per comprendere anche la dimensione divina, e cos’ in un altro passo dichiara sempre l’apostolo:” Per questo mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini” (Atti 24 16). E successivamente nella lettera ai Romani (2 14 29) precisa che la coscienza è dell’uomo e a lui compete seguirla e maggiormente al giudeo e al Cristiano:” “Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo. Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità… ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto. La circoncisione è utile, sì, se osservi la legge; ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso. Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non circoncisione non gli sarà forse contata come circoncisione? E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della legge e la circoncisione, sei un trasgressore della legge. Infatti, Giudeo non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini ma da Dio”.

Infatti, la coscienza nel pensiero cristiano è concepita come sorgente di Verità, di quei principi certi che sono base di ogni retto volere: riferendosi alla propria coscienza si saprebbe senza alcun dubbio come giustamente comportarsi e se l'azione non segue la via del bene ciò dipende anche dall’imperfezione umana, derivata dal peccato originale e dal mancato affidamento a Dio.

Sarebbero di per sé sufficienti queste parole per comprendere come il Cristianesimo riconosca in ogni uomo il valore della coscienza e che il riferimento nel cristianesimo non è semplicemente alla legge, seppur divina, ma è un adesione che si esprime al di là dello stesso culto. Per comprendere ciò è da considerare che la fede cristiana non è un culto ad un dio, né un riferimento, ma come è ricordato dall’evangelista Luca:” Gesù afferma:”Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (Luca, 10,m 27). Il coinvolgimento della fede è globale, riguarda tutte le possibilità di espressione dell’uomo ; un uomo che si riconosce sempre in Dio. Con chiarezza lo indica San Pietro nella sua prima epistola (3 13-16):” “ E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”.

Tutta la storia del cristianesimo ha come elemento fondamentale di riflessione proprio la coscienza, quella interiorità dell’uomo che è considerato come persona e proprio per questo in lui riluce la coscienza come realtà di distinguere il bene dal male e maggiormente questo lo può il cristiano perché ne ha ricevuto conferma proprio dalla venuta di dio in terra. Nelle stesse prospettive anticristiane il tema della coscienza sarà nei secoli fondamentale e su di esso si incentra proprio quel dibattito tanto moderno tra “libertà di coscienza” e “libertà della coscienza”

Sempre San Paolo in Ebrei 9 14-15 specifica: “ quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente? Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata promessa”.

Riuscire a rendere conto della grande riflessione che nel mondo cristiano è stata fatta della coscienza richiederebbe una pazienza da Giobbe. Alcuni esponenti della riflessione filosofica/ teologica, mistica del cristianesimo meritano di essere almeno ricordati nelle linee essenziali della loro meditazione su questo grande tema.

Il grillo parlante ovvero la voce della coscienza (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

Sant'Agostino

 

Tra i Padri della Chiesa Sant’Agostino è considerato il primo e il maggiore tra coloro che riflettono sul tema della coscienza che riflette su se stessa, ossia l’autoscienza che è nel pensatore e vescovo di Ippona la previa alla conoscenza e all’amore di Dio (cfr. S. Biolo, L'autocoscienza in s. Agostino, Roma, Pontificia Università gregoriana, 2000).

Il processo personale di riflessione sulla coscienza è ben descritto e vissuto ne Le confessioni, l’opera che più di tutte nel pensiero e nella fede cristiana pone in luce la necessità che ogni uomo sappia di se stesso e di se stesso con Dio. La vicenda è nota, giovane studente a Cartagine, non fu propriamente “uno stinco di santo”, anzi:” non amavo lo studio e odiavo esservi costretto Vi ero però costretto, e per il mio bene, ma io non compivo del bene, perché non avrei studiato senza costrizione, ed evidentemente chi agisce suo malgrado non compie il bene, per quanto sia bene quello che compie” (Confessioni, I, 12.19). In effetti non ascoltava la coscienza e quando iniziò, comprese che la vita di non-studio e il “sudicio passato” devastavano l’anima e la vita stessa. Agostino comprese e da quel momento inizia una vita diversa, dedita alla fede e al bene della Chiesa, ma sempre in costante riflessione sulla propria coscienza, consapevole che nella propria interiorità si trova Dio. L’uomo interroga se stesso e si riconosce “piccolo” e incapace di spiegare da solo il mondo (il celebre racconto di lui che incontra sulla riva un fanciullo che i versare tutto il mare in una buca da lui scavata) perché l’uomo ricerca la verità :”È la non diveniente Verità che ineffabilmente parla da sé alla coscienza della creatura ragionevole o parla mediante una diveniente creatura tanto al nostro pensiero con intelligibili concetti come al senso con suoni sensibili”.(La città di Dio, I,XVI,5). Questa ricerca è inesauribile e quindi sempre e costantemente, indica Sant’Agostino, l’uomo deve interrogare se stesso, pur sapendo che mai anche a se stesso sarà tutto evidente:” Tu, Signore, mi giudichi, Nessuno fra gli uomini consoce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui ( I Corinti 2 11. Vi è tuttavia nell’uomo qualcosa che neppure lo spirito stesso dell’uomo che è in lui conosce; tu invece Signore, sai (Tobia, 3 16, 8-9) tutto di lui per averlo creato”.(Confessioni, X, 5-7). Questo brano autobiografico è certo in sintonia con quanto il vescovo sostiene nel De vera religione, dove indica sia il metodo sia la modalità con la quale l’uomo-persona si dispone a Dio. “Molti sono i modi in cui la verità può essere difesa contro i chiacchieroni e resa accessibile a chi la ricerca: è Dio stesso onnipotente che la rivela mediante se stesso e aiuta coloro che hanno buona volontà a intuirla e contemplarla, per mezzo di angeli buoni e di alcuni uomini. Spetta poi a ciascuno servirsi del metodo che gli pare più adatto per coloro con i quali deve trattare. Da parte mia, dopo aver considerato a lungo e attentamente la questione, nel tentativo di capire quali uomini parlino a vanvera e quali cerchino la verità sul serio ovvero quale io stesso sono stato, sia quando semplicemente cianciavo sia quando l'ho cercata veramente, ho ritenuto che fosse meglio procedere in questo modo : tieni ben saldo ciò che hai riconosciuto come vero e attribuiscilo alla Chiesa cattolica; respingi invece ciò che è falso e, poiché sono solo un uomo, perdonami; accetta ciò che ti pare dubbio, fino a che o la ragione non ti avrà dimostrato o l'autorità non ti avrà ordinato di respingerlo o di riconoscerlo come vero oppure di continuare a crederlo. Per quanto puoi, dunque, presta attenzione in modo diligente e pio a ciò che segue; Dio infatti non può che aiutare gli uomini che si comportano così.( De vera religione 10. 20). Per eccellenza però la via da seguire secondo il vescovo d’Ippona è la seguente ed è la via della interiorità, della coscienza:” non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l'anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò un'armonia insuperabile e fa' in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all'altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l'uomo interiore potesse congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito”. (De vera religione 39 72)

Questo itinerario, come piacerà a molti chiamarlo (cfr. S. Bonaventura da Bagnorea, Itinerarium mentis ad deum) esprime la libertà dell’uomo, dato che non è il fato (cfr. le Moire ((Cloto, Lachesi ed Atropo) o Parche) che reggono i destini degli uomini, ma ogni persona con tutto se stessa accetta, delibera e segue senza alcuna costrizione la via di Dio. E qui si pone proprio il tema della libertà, dato che, afferma Sant’Agostino, rivolgendosi a Dio:”sai tutto per averlo – l’uomo - creato” che si pone il problema teoreticamente, praticamente e storicamente rilevante della libertà. L’uomo è veramente libero? Sì, afferma il Santo:”era spuntato il tempo della libertà e perciò era ormai opportuno e utile per la salvezza dell'uomo persuaderlo di essere stato creato dotato di libero arbitrio”.(De vera religione 16 31).

Così, se l’uomo è libero, egli può stabilire da se tutto ciò che lo riguarda. Ma se Dio consoce tutto, allora non vi può essere autentica libertà, dato che ciò che è conosciuto prima non può essere liberamente né deliberato né scelto poi. Ciò investe anche l’altro enorme problema, il mysterium iniquitatis, in altre parole il tema del male. Se Dio conosce come l’uomo agisce, allora perché permette il male? Il peccato?

 

Il grillo parlante ovvero la voce della coscienza (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

 Luca Signorelli. Dante

 

 

Sono questi tempi che soprattutto nel campo della morale, hanno ancora oggi rilevanza. La libertà che l’uomo ritiene di avere e che nel mondo cristiano è il più gran dono, come poeta Dante nel canto V del Paradiso:

“Sì cominciò Beatrice questo canto;

e sì com' uom che suo parlar non spezza,

continüò così 'l processo santo:

 

«Lo maggior don che Dio per sua larghezza

fesse creando, e a la sua bontate

più conformato, e quel ch'e' più apprezza,

 

fu de la volontà la libertate;

di che le creature intelligenti,

e tutte e sole, fuoro e son dotate”.

 

Non gli sarà da meno il grande riferimento teologico di Dante, San Tommaso d’Aquino e tanti altri tra cui ricordiamo Pico della Mirandola nella sua Oratio de digitate hominis e sovra tutti quell’enciclica Libertas di Leone XIII, pubblicata nel 1888 e quanto la Gaudium et spes (16 e 17) afferma sia a proposito della coscienza che della libertà:” 16. Dignità della coscienza morale. Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.

17 Eccellenza della libertà. Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.

La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina.

 Dio volle, infatti, lasciare l'uomo «in mano al suo consiglio» che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.

Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina.

Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male”. Ciò non dipende da Dio ma dall’arbitrio dell’uomo, così il peccato – il male - non è una scelta tra equivalenti (bene o male) come nell’0eresia manichea che ammetteva due principi fondativi, appunto il bene e il male), ma il male è l’allontanamento dal bene, una deviazione che si può chiamare anche il rifiuto della libertà, dato che essa è deliberazione al bene/ scelta del bene, mentre il male la nega.

 Questa prospettiva appare ben chiara nella Chiesa cattolica e riflette quanto venne elaborato nel corso del Medioevo, dove il tema della coscienza è costantemente legato alla ricerca di Dio e della sua esistenza per l’uomo che come persona.

 

Il tema della coscienza è diventato anche la frontiera con la quale il mondo genericamente protestante ha operato il suo distacco dal Roma e dalla cattolicità. La libertà di coscienza ha assunto il ruolo fondamentale, ma essa è stata intesa come la mia propria volontà di stabilire le mie regole rispetto al mondo e a Dio stesso. Alla fine è stato eliminato “Dio”. Oggi la cosiddetta libertà di coscienza altro non è che l’affermazione dell’assolutezza della singolarità, tanto che lo Stato non può che accogliere le istanze di ogni singolo: quod mihi placuit lex debet esse (ciò che mi piace deve essere legge). Ciò ha distrutto la morale e lo stesso problema del “male”. Si aprla subito di giustificazione psicologica, soprattutto sociologica di quanto viene commesso, mai di “male commesso”. Il singolo diviene, alla Max Stirner, l’unico assoluto perchè ripone la sua causa nel nulla e nella libertà negativa, come afferma il filosofo Danilo Castellano di Udine. Io compio quello che voglio; questa non è la libertà della coscienza, che afferma sì la libertà della persona, ma consapevole delle leggi di Dio. Dio ha dato all’uomo il dono della libertà, il più gran dono dice Dante Alighieri, ma non perché scelga tra equivalenti: questo quello sono pari, io posso scegliere, ecco la paroletta magica, o l’uno o l’altro. La libertà nel cristianesimo è ascolto e sequela Christi. Il peccato originale ha inficiato la prospettiva del solo bene, ma la Redenzione ha dato con il sacrificio della Croce il nuovo cammino per la salvezza.

 La coscienza è la capacità dell’uomo di riconoscere il proprio Creatore e le sue leggi e di seguirle, non è un arbitrio. Nessuno può coartare una persona, ma il cristiano ha il dovere di indicare che cosa sia bene e che cosa sia male, alla luce di Dio. Il cristiano non ha paura della libertà della coscienza, ma sa che la libertà di coscienza finisce nel relativismo teologico e morale. Invece di dialogare, che vuol dire avere incertezza di verità, Platone insegna che noi dialoghiamo perché non abbiamo la verità e la cerchiamo, dovremo avere il coraggio dell’identità, temo perduta in gran parte e della legge di Dio entro la quale la libertà della persona segue ciò che è bene e nella Chiesa trova il sostegno evangelico, dottrinale, tradizionale e e pastorale. Tempi durissimi.



nr. 36 anno XVIII del 19 ottobre 2013



Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar