NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Un Goldoni all’inglese tutto da ridere

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Servo per due

miseria-e-nobilta (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Nella prima parte della pièce, la fame è il caposaldo narrativo, proprio come nella migliore tradizione dell’avanspettacolo e del cinema che si rifà ad esso: c’è molto di “Miseria e Nobiltà” in questa pièce, non c’è la scena degli spaghetti, ma siamo lì.

“Esatto, ma volutamente. I costumi per esempio: un riferimento iniziale era l’idea del ricolorato dell’epoca, anche la scenografia, quel tipo di cinema o al teatro di Scarpetta, per intendersi, al varietà e a quel tipo di teatro lì… Se devo fare un riferimento all’oggi, noi parliamo di un film in cui c’è un uomo che pur di sembrare uno che guadagna tanti soldi…”.

Zalone, dici?

“Sì, faccio riferimento volentieri a Zalone perché mi sembra che ci sia uno strano atteggiamento critico nei confronti del fatto che sia una realtà che sta guadagnando molto bene e invece sono molto contento, intanto perché mi fa molto ridere lui e trovo che sia un comico vero e non uno improvvisato, c’è un grande affetto nei confronti del personaggio, ed è una cosa non semplice da riuscire a costruire, e c’è evidentemente la capacità che quest’uomo ha di divertire le persone. Se pensi a tutto quello che di dissacrante fa la sua comicità, non lontano dall’Alerecchino che si può permettere di parlare apertamente di sesso o di cibo, la nostra comicità popolare viene da quella cosa lì, dalla possibilità di esorcizzare dei temi che sembravano essere intoccabili se messi in un teatro colto, che non è la nostra tradizione e che invece la tradizione popolare si consentiva di poter trattare”.

Rush_Favino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Tu sei famoso principalmente per i film al cinema, hai lavorato anche in grandi produzioni internazionali come Rush, però hai anche fatto l’Accademia Silvio d’Amico, hai lavorato tanti anni con Ronconi con cui hai fatto i Karamazov, Peer Gynt eccetera. Sembra però che all’estero la nostra preparazione sia riconosciuta solo in parte: agli italiani danno le cosiddette “parti minori”, molto caratterizzate.

“Secondo me non è un problema che riguarda solo l’Italia perché se vedi come vengono utilizzate, fatti salvi gli spagnoli, altre etnie dal cinema americano e inglese il livello è sempre lo stesso: l’islandese o lo svedese è il freddo calcolatore killer senza pietà, il francese è il raffinato “tombeur de femme”. Per gli spagnoli è diverso perché hanno un 50% di comunità ispaniche e hanno bisogno degli ispanici perché ormai fanno parte della loro realtà in maniera preponderante. Sicuramente i Mastroianni all’epoca muovevano economicamente, dal punto di vista delle comunità italiane e latine all’estero, molto più di quanto non succeda oggi. Se tu pensi all’emigrazione italiana nel Sudamerica degli anni ‘60 era enorme e quindi la vendibilità di un cinema. Se io ero emigrato in Argentina da 20 anni e arrivavano Loren e Mastroianni, io ero una persona che ancora capiva l’italiano,c’erano ancora comunità enormi a cui quel cinema si poteva riferire; in più, indubbiamente, c’era cinema che muoveva da dentro cifre importanti, un’industria economica molto forte, e riusciva ad esportare per qualità e quantità. Sicuramente c’e una crisi di valori dal punto di vista delle storie da raccontare, nessuno sa fare il cinema di Sorrentino all’estero tant’è vero che, me lo auguro, rientrerà nella cinquina degli Oscar. Dobbiamo iniziare un po’a chiederci perché non riusciamo a scrivere storie che possano essere prese”.

saturnocontro-locandina (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Però una storia come il film di Ozpetek che hai fatto, “Saturno Contro”, è stupenda ed è esportabile.

“È stato esportato ma lavorare all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, significa entrare anche in quelle che sono delle modalità culturali di racconto, che è una cosa diversa, infatti oggi l’Europa del Nord riesce ad esportare molto di più di quanto non facciamo noi perché culturalmente sono più simili. Basta pensare alla struttura della lingua: tutte le lingue del Nord sono costruite per avere un utilizzo tecnico, le lingue latine per un utilizzo emotivo, per dire all’altro come stai, chi sei, non per nascondere lo stato d’animo. La funzionalità di questo si può appoggiare su tutto: quando noi vediamo gli attori americani e diciamo che non fanno niente eppure sono così espressivi, perché la lingua consente loro di essere molto significanti. Invece per noi la lingua è uno strumento attraverso il quale accompagniamo ciò che pensiamo e diciamo. Da questo deriva una struttura di scrittura e di linguaggio che è completamente diversa”.



nr. 41 anno XVIII del 23 novembre 2013

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