NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il grillo parlante. Lutero e la nuova visione della coscienza

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante. Lutero e la nuova visione dell

VI PARTE

 

 

Introduzione

Nessuno poteva immaginare che a mezzogiorno del 31 ottobre 1517 il destino stesso dell’Europa in tutti i suoi aspetti sarebbe cambiato, profondamente mutato. La grande stagione dell’umanesimo che aveva coinvolto tutta l’Europa iniziò a morire, lasciando un’eredità spesso poco considerata e talora addirittura strumentalizzata per fini che non erano propri a quella grande stagione di cultura e di fede, nonché d’arte.

La storia ci riporta che nell’ora e nella data sopra riportata il monaco agostiniano reverendo padre Martin Lutero (1483-1546), Maestro delle Arti e della sacra teologia, e lettore ordinario a Wittemberg di questa disciplina nell’impegno appassionato di chiarire la verità, discuterà le proposizioni (tesi) enunciate e scritte in un foglio affisso alla porta della Chiesa del castello della città, secondo l’uso medioevale di chi pubblicamente intendeva discutere d’aspetti problematici della teologia e della morale. Il reverendo padre chiede anche a coloro che non potranno presentarsi di persona, di farlo per lettera. Inizia pressappoco così il documento più importante della storia religiosa e non solo dell’Europa nel XVI secolo. La questione che è posta è relativa alle indulgenze. Il principe Alberto von Hohenzollern o Brandeburgo (1490-1545) fu vescovo di Magdeburgo e Halberstadt, e cardinale. Nel 1514 ottenne anche l'elezione ad arcivescovo elettore di Magonza: la vendita d’indulgenze fu promossa per pagare alla Sede Apostolica i diritti dovuti e per la ricostruzione delle Basilica di San Pietro a Roma. La predicazione fu affidata al frate domenicano Johann Tetzel (1465 ? – 1519), dal 1516 sottocommissario per la predicazione di quell'indulgenza per la Fabbrica di San Pietro. Si doveva far in fretta poiché la Banca dei Fugger di Augusta aveva anticipato le somme.Ciò suscitò forte indignazione e causò la pubblicazione delle 95 tesi da parte di Martin Lutero, che furono anche discusse dallo stesso Tetzel con 122 tesi, stese da Konrad Koch, dettoWimpina (1465-1531) dell’Università di Lipsia. Sembrò inizialmente una disputa teologica, una delle tante nelle quale intingevano nel veleno, dirà Erasmo da Rotterdam, le dispute tra vari ordini, cfr. Il lamento della pace scritta nel 1516/17. Il testo latino di Lutero ebbe vasta ed immediata risonanza sia per la questione vera e propria, ma soprattutto perché apriva nuovi orizzonti alla visione antropologica e anche a quella politica.

L’indulgenza è una pratica della religione cristiana, essa è lucrata, ossia acquisita mediante penitenza e rinnovamento della fede e non necessariamente come spesso è detto con il denaro, anche se l’acquisizione può avvenire mediante un’offerta in denaro, che per molti è proprio una penitenza. Essa, una volta acquisita cancella i periodi da trascorrere in Purgatorio che servono a cancellare le ombre dei peccati dopo la loro confessione e l’ottenimento dell’assoluzione.

 La pratica delle indulgenze ha origine nell’Antico testamento e nella prassi penitenziale del popolo ebraico ed aveva nel Giubileo, ogni cinquant’anni il suo fulcro, quando era indetto un anno di rinnovamento. Inoltre il settimo giorno, quello dedicato al riposo e la settimana di anni, ossia ogni settimo anno, detto sabbatico erano periodi di indulgenza.(cfr. Es 20,8-10, Lv 25,1-7 e 10).

 Nel cristianesimo per l’indulgenza ci si riferisce a ciò che compì lo stesso Gesù Cristo che diede al buon ladrone appunto l’indulgenza, mediante la remissione dai suoi peccati:” "In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso" (Lc 23,43). Al buon ladrone viene di fatto applicata un’indulgenza plenaria, e questo non intacca la giustizia divina. Nelle prime comunità e fino all’XII secolo la prassi delle indulgenze consistenza nella remissione delle pene che spesso erano anche pubbliche, come quella che Sant’Ambrogio stabilì per l’imperatore Teodosio per la strage da lui compiuta a Tessalonica nel 490 d.C. in cui furono trucidati ben 7000 persone nel circo, quasi tutta la popolazione della città.

Nei primi secoli, i peccatori chiedevano al confessore il libellum pacis, mostrando il proprio pentimento e la disponibilità al martirio. Ciò consentiva al vescovo di abbreviare o condonare la pena. Sarà verso la fine del XII che la prassi delle indulgenze avrà una definizione canonica.

La prima indulgenza che ebbe sanzione canonica fu la Perdonanza di Assisi, detta anche “il tesoro della Porziuncula” La richiese nel 1216 Francesco d’Assisi e il papa Onorio III la concesse. Essa stabiliva che il fedele che fosse entrato nella Porziuncula all’interno della chiesa di S. Maria degli Angeli ad Assisi, oggi in tutte le chiese francescane e parrocchiali, avrebbe ottenuto, dopo aver rispettato le condizioni prescritte, l’indulgenza.

 Decenni dopo, Francesco era già stato proclamato “Santo”, con la Bolla della Perdonanza del 1294, Celestino V concederà l’indulgenza plenaria, ossia totale, a tutti coloro che penitenti, condizione dell’indulgenza è il cor sempr penitens, visiteranno la chiesa di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila nel giorno della festa di San Giovanni Battista, il 28 agosto di ogni anno, dopo essersi confessati e comunicati. Questa giornata di perdonanza, che è ancor oggi in vigore ed ha ripreso maggior slancio dopo il 1983, quando la figura di Celestino V fu rivalutata dal giudizio non proprio benevole di Dante che nell’Antinferno, luogo degli ignavi “che visser senza ‘nfamia e sanza lodo” ricorda il papa che rinunciò al soglio con i versi: “vidi e conobbi l'ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto”.

La prassi delle indulgenze fu confermata dal successore di Celestino V, papa Bonifacio VIII il 22 febbraio 1300 con la bolla Antiquorum habet fide, bolla di indizione del primo Giubileo cristiano della storia. L’inizio è molto efficace perché il Giubileo è indetto per il rinnovamento della vita cristiana:”C’è adesione degna di fede da parte di vecchi che a coloro, i quali accedono all’onoranda Basilica del principe degli Apostoli di Roma, sono concesse grandi missioni ed indulgenze dei peccati.” Il pontefice stabiliva che per lucrare l'indulgenza plenaria, i romani doveva visitare per 30 volte le due basiliche di san Pietro e di san Paolo durante l'Anno santo. Ai pellegrini che provenivano dal resto del mondo erano richieste solo 15 visite. Non era imposta alcuna elemosina in denaro. Inoltre l'indulgenza plenaria per le pene temporali fu concessa anche ai pellegrini che non avevano potuto finire le visite per cause di forza maggiore, come pure a quelli deceduti lungo il viaggio o prima di terminare le visite. Ben valgano le parole poetiche di Petrarca che descrive il pellegrinaggio a Roma in Movesi il vechierel, anche se poi chiude con la consueta nostalgia per Monna Laura.

 

 Movesi il vecchierel canuto e bianco

 del dolce loco ov’ha sua età fornita

 e da la famigliuola sbigottita

 che vede il caro padre venir manco;

 indi traendo poi l’antiquo fianco

 per l’estreme giornate di sua vita,

 quanto piú pò, col buon voler s’aita,

 rotto dagli anni, e dal cammino stanco;

 e viene a Roma, seguendo ‘l desio,

 per mirar la sembianza di colui

 ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

 cosí, lasso, talor vo cerchand’io,

 donna, quanto è possibile, in altrui

 la disïata vostra forma vera.

 

Il pellegrinaggio a Roma insieme a quello a Santiago de Campostela e nella Terra Santa in particolare durante gli anni santi, che Bonifacio decise sarebbero stati “ogni cent’anni”, erano e sono l’apice della via di santificazione per un cristiano, oggi per la sola Chiesa Cattolica, proprio perché si poteva e si può ottenere l’indulgenza. Il giubileo è detto anche Anno Santo e fu celebrato successivamente ogni cinquant’anni e oggi a ogni venticinque per quello ordinario, mentre è possibile al pontefice romano stabilire anni santi particolari. Ricordiamo che se il giorno 25 luglio, festa San Giacomo, cade di domenica, quell’anno è dichiarato “Anno Santo Giacobeo” e vi è la possibilità di lucrare l’indulgenza.

L’ultimo intervento pontificio sul tema delle indulgenze che ebbero anche fin dal 1300 qualche critico, è stato il papa Paolo VI con la Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina del 1 gennaio 1967. In essa è precisato:” 1. L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.” In successivi paragrafi sono stabilite le tipologie dell’indulgenza (plenaria o parziale) e i modi per lucrarla. Paolo Vi evidenzia bene:” Il fine che l’autorità ecclesiastica si propone nella elargizione delle indulgenze, è non solo di aiutare i fedeli a scontare le pene del peccato, ma anche di spingere gli stessi a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all’incremento della fede e al bene comune. Se poi i fedeli offrono le indulgenze in suffragio dei defunti coltivano in modo eccellente la carità e, mentre elevano la mente al cielo, ordinano più saggiamente le cose terrene. Il magistero della chiesa ha difeso ed esposto questa dottrina in vari documenti.”

Non sempre, come abbiamo accennato, la dottrina delle indulgenze fu accettata anche a causa degli abusi, lo ricorda lo stesso Paolo VI nella menzionata costituzione:” Purtroppo nell’uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, sia perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il potere delle chiavi e la soddisfazione penitenziale veniva abolita, sia perché a causa di "illeciti profitti" veniva infamato il nome di indulgenza. Ma la chiesa, biasimando e correggendo tali abusi”.

 Costantemente la Chiesa ha concesso la possibilità dell’indulgenza, in particolari luoghi, chiese o capitelli o segni religiosi, come una croce, davanti alla quale si recita, ad esempio un Pater noster (A Padova vicino alla chiesa di San Tommaso Becket o per qualche buona opera. L’ultima concessione risale a papa Benedetto XVI per l’Anno della fede (2012-2013) con apposito Decreto della Penitenzieria Apostolica il 14 settembre 2012.

Dietro a questo aspetto penitenziale vi era e vi è il problema della libertà dell’uomo e della sua coscienza, anche nel pentirsi e ciò contrastava e contrasta con la visione delle predestinazione dell’uomo stesso e che gli atti di penitenza non potessero certo cambiare il destino che Dio aveva riservato a ciascuna persona. Spesso il problema delle indulgenze fu considerato nell’ambito del potere del Papa e della gerarchia e la questione da ”penitenziale” assunse connotazione più vasta e investì il potere del papa.

Tra i primi fu Marsilio da Padova (1284 e il 1287 – 1343), medico e studioso di diritto e teologia, fu un sostenitore delle teorie regaliste, l’autorità dell’imperatore è indipendente da quella del papa, avvallando la politica di Ludovico il Bavaro come il francescano Guglielmo d’Ockam. Nella sua opera politica più nota il Defensor pacis egli afferma che è una pretesa dei pontefici quella di ritenere di avere loro soltanto la plenitudo potestatis che darebbe a loro sia il potere spirituale che quello temporale. Fu scomunicato sia perché Marsilio manifestò una prospettiva che venne detta di averroismo politico sia perché finiva con il negare valore alla gerarchia ecclesiastica. Nell’opera Defensor minor del 1342, più teologica, il egli considera che si faccia abuso delle indulgenze in particolare in relazione alle Crociate possibili e ai pellegrinaggi. Così sulla scorta dei Sententiarum liber di Pietro Lombardo, Marsilio da Padova afferma: «Neghiamo la potestà interposta di conferire le indulgenze» (Marsilio da Padova, Defensor minor, a cura di C. Vasoli, Napoli, Guida, 1975, p. 119). Cfr. F. Battaglia, Marsilio da Padova e la filosofia politica del Medioevo, Bologna, Clueb, 1987. L’abuso della pratica delle indulgenze consentirebbe di “peccare “ …tanto vi è l’indulgenza, quindi una prassi poco spirituale.

Su questa scia si collocano molti che negano valore alla gerarchia ecclesiastica e alla prassi delle indulgenze, tra questi il teologo inglese John Wyclif o Wycliffe (1320 –1384), entrò in contrasto con la chiesa ufficiale con lo scritto De civili dominio (ca. 1376), di cui 18 proposizioni sono condannate da Gregorio XI nel 1377. La sua prospettiva religiosa e civile di tipo precostantiniano dove il riferimento è solo alla Bibbia e alla coscienza individuale. Dio che predestina ogni uomo è l’unico vero riferimento. Se a ciò aggiungiamo che la sua dottrina eucaristica negava la presenza reale di Cristo nell’ostia, il suo distacco dalla Chiesa è totale, ma anche i protettori nobili inglesi lo abbandonano.

Il Concilio di Costanza, identificò in lui l’ispiratore dell’eresia del boemo Jan Hus (1371 circa- 1415) che condannò al rogo e ordinò che i resti mortali di Wyclif fossero bruciati e dispersi.

 L’eredità dei due esponenti non andò perduta e fu ed è simbolo dell’avversione alla Chiesa di Roma e alla gerarchia cattolica. Basti ricordare che la Chiesa hussita, chiesa nazionale, rinacque l’8 gennaio del 1920 e il regime comunista cercò con essa di avversare la Chiesa Cattolica rappresentata dal primate Josef Beran (188-1969). perseguitato sia dai nazionalsocialisti, finì a Dachau sia dal regime comunista.

 Lutero raccolse la prospettiva dei riformatori medioevali, ma la pubblicazione delle 95 tesi è solo il primo atto; atto che segue l’avversione provata dallo stesso Lutero quando per una questione relativa all’ordine agostiniano fu a Roma, che considerò la “nuova Babilonia”

Il grillo parlante. Lutero e la nuova visione dell (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

Disputatio pro declarationi virtutis indulgentiarum/ Le 95 tesi

 

 Lutero pubblicò la Le 95 tesi (tr.it. I. Pin, Pordenone, Studio Tesi, 1984) in latino secondo l’uso accademico e non era che l’invito ad una discussione pubblica sul tema. Nessuno ne comprese la portata teologica; alla base vi è una richiesta di rinnovamento, che proveniva da Lutero, ma si agitava in tutta la chiesa. Durante il Concilio Lateranense V, aperto nel 1512 da Giulio II e chiuso il 16 marzo 1517 da Leone X, non sfugga la data, questa proposta era molto presente. All’apertura, nel discorso tenuto dal il Superiore generale degli Agostiniani, Egidio da Viterbo, venne messa in discussione l’eccesso di “politica” da parte dei papi e la urgente necessità di una riforma complessivo della chiesa e del clero. Era il superiore di Martin Lutero quando il monaco pubblicò le tesi. Queste, in forma di proposizioni, esprimevano una visione teologica, morale ed ecclesiologica che si richiamava a precedenti posizioni ed accentuava soprattutto una avversione alla gerarchia a partire dai sacerdoti. Nella prima e seconda tesi ciò appare chiaro:” 1.A Il signore e maestro Gesù Cristo dicendo: "Fate penitenza ecc." volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza. 2. Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).” Attaccò proprio con la tesi n.5 l’autorità del papa:” E Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per volontà propria o dei canoni.” Una certa cialtroneria nella predicazione delle indulgenze era ben evidente ed è denunciata con la tesi n. 27:” Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa, l'anima se ne vola via. “. Con un intento pedagogico Lutero voleva inoltre che ci fosse, nella pratica delle indulgenze, maggior senso di spiritualità, onde evitare l’uso strumentale delle medesime (cfr. tesi n. 49:” Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si perde il timor di Dio.” Un preciso attacco al papa e alla dottrina delle indulgenze, che appare al monaco solo come l’occasione per “far denaro” e non per dare la pace di Cristo al mondo, cfr. tesi n. 92:” Spariscano dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano "Pace. pace", mentre non v'è pace.”

 In effetti la questione appare relativamente limitata, una bega fra frati, la si qualificò a Roma da parte di Leone X, come si narra. In realtà si sottovalutò la richiesta di riforma delle indulgenze, che era la chiave per tutte le altre riforme, particolarmente quella del clero e della gerarchia. Infatti, Lutero però non si limitò a questa questione, lentamente, andò su tutti i fronti della teologia, particolarmente quella relativa ai sacramenti, ed incontrò la condanna e la scomunica, ma ormai la riforma aveva preso avvio e non potrà essere fermata, nemmeno con l’intervento dell’imperatore Carlo V. Le ragioni del successo di Lutero sono complesse, ma derivano dall’appoggio che egli ebbe da una parte della nobiltà, che mal sopportava il potere del clero, in particolare dei monasteri e con la riforma finì con l’impadronirsene. L’esempio più famoso è quello di Alberto di Hohenzollern, (1490 – 20 marzo 1568) parente di quell’Alberto di Brandeburgo che scatenò le ire di Lutero sulle indulgenze. Costui fu il trentasettesimo Gran Maestro dell'Ordine Teutonico, si convertì alla riforma luterana su invito del teologo e scienziato tedesco Andreas Osiander (1498 –1552), e si impadronì di fatto del feudo dell’Ordine, la Prussica, di cui divenne il primo Duca, iniziando così l’ascesa della dinastia che nel volgere di due secoli divenne re dapprima re in Prussia e poi di Prussia, culminando il proprio progetto nel 1870 quando, esautorata l’Austria dalla Germania nel 1866, di proclamò l’impero tedesco, il II Reich.

 Lutero si schierò sempre dalla parte dei potenti, combatté la rivolta dei contadini (1524-1526), cavalcando al fianco dei principi, perché considerava questa ribellione che ebbe svolgi,mento anche nel Sud-Tirolo, una lotta di ”bande assassine”, come ebbe a dire in un suo scritto e andò dritto sulla sua strada. Una via che era intrisa di una visione negativa dell’uomo, privo di vera libertà e predestinato da Dio stesso. La sua coscienza nulla poteva nella decisione di fede, solo Dio, la sua Grazia poteva, così la Fede era un dono di Dio elargito a chi voleva Dio, ma non conquistabile dall’uomo. Certo nessun uomo sapeva veramente il suo destino, ma il rapporto con Dio era considerato solo individuale, dove Dio era l’unico riferimento e la comunità dei fedeli (la Chiesa) diventava solo un momento di incontro e perdeva la sua specifica missione salvatrice.

 Approfondendo la Sacra Scrittura, che Lutero tradusse in tedesco completamente, addivenne ad una posizione in cui l’individuo, la sua coscienza, sono soli davanti a Dio (cfr. M. Galzignato,L’Evangelo negli scritti giovanili di M. Lutero (1509-1516),Montella (AV), Dragonetti Ed. 1998, cfr. ad esempio p.291). Così l’unica fonte a cui l'uomo può e deve attingere la verità divina è la Bibbia, interpretata individualmente sotto l'illuminazione divina (libero esame). La tradizione e la Chiesa non hanno che un valore umano e ciò perché con la caduta, il peccato originale, l’uomo è insanabile. Cristo morendo sulla croce ha assunto lui solo i peccati dell’uomo e presso la giustizia divini li monda. La Grazia non è possibile per l’uomo, è data da Dio secondo il suo solo volere.

 Per l’uomo non vi è nulla da fare per la sua salvezza, essa non dipende da lui. È la negazione precisa della libertà dell’uomo sia secondo la tradizione, compreso quella di Sant’Agostino, sia e soprattutto quella dell’umanesimo che Lutero non amava di certo.

 La storia della riforma è nota per i suoi principali contenuti, lo scritto di Lutero Sulla prigionia babilonese della Chiesa (in ID, Le 95 tesi, op. cit. p. 59 ss.) ne fornisce una precisa visione. L’elaborazione di Lutero, rafforzata dall’umanista Filippo Melantone (1497-1560) che redasse la Confessio Augustana nel 1530, una dichiarazione dottrinale riassuntiva del luteranesimo stesso, non si arrestò di fronte a nessun tentativo di conciliazione. Il riformatore intraprese la sua strada, che dura anche oggi; non diede mai possibilità di accordo, nemmeno quando venne convocato il Concilio ecumenico, che dopo molti tira e molla sulla sede, compresa la possibilità di Vicenza, si svolse a Trento, città dell’Impero. Lutero di fatto rifiutò qualsiasi tentativo di pacificazione e a nulla valsero le cure di molti. La Chiesa si spezzò e con essa l’unità dell’Europa cristiana, rimpianta dal grande poeta tedesco Novalis in Cristianità o Europa. Seguirono la nascita di molte “ riforme” piccole, la Hutterita ad esempio tanto studiata dal vicentino Aldo Stella, e gradi, soprattutto quella calvinista che radicalizzò fino all’estremo la visione di una predestinazione dell’uomo. L’uomo non è libero, quella che chiama “libertà” è solo la sua volontà, il suo desiderio di qualcosa che non potrà, nemmeno se l’azione fosse buona, essere in sintonia o in accettazione con le decisioni finali per ciascun uomo prese da Dio fin dall’origine dei tempi.

 Sul tema della libertà, della coscienza e della volontà i secoli successivi fino ad oggi problematizzeranno molto. Lutero, nonostante la sua visione pessimistica, la totale subalternità dell’uomo a Dio, che dovrebbe essere quasi lo stereotipo della visione antropologica medioevale, viene considerato come l’iniziatore del mondo nuovo, ma ciò solo perché eliminò la visione gerarchica della Chiesa cristiana e affidò al potere politico la sola direzione della società, scindendo, lui sì veramente, la dimensione morale da quella politica. Infatti, non vi è la possibilità umana di una salita al cielo, nemmeno attraverso una comunità di fede e tanto meno attraverso quella solo umana che è quella che Dio ha voluto. Vi è quindi solo un livello terreno e questo si regge attraverso sole leggi umane, che possono al massimo temprare la prigionia della carne cui è soggetto l’uomo nel vivere sociale e che, con altrui riformatori, diverrà la dimensione della vita privata sulla quale nessuno può interferire. Pubblicamente rispettosi delle leggi, privatamente… soggetti solo alla propria coscienza o, meglio sarebbe dire, desiderio. La critica al luteranesimo può anche riassumersi in questa espressione: un sopranaturalismo individuale che finisce con l’avere solo riferimento a se stessi e dove il libero esame non ha né può avere alcun riferimento che non sia l’individuo stesso. Certo la vita sociale, autonoma nelle espressioni politiche chiede comportamenti adeguati che il diritto positivo regolerà e al quale ciascuno dovrà conformarsi, ma lo stesso diritto altro non sarà che una legge conveniente per l’epoca nella quale viene proposta. Il giusnaturalismo moderno affonda le proprie radici nelle elaborazioni dell’olandese riformato, calvinista, Grozio, Huig de Groot (1583–1645), negli anglicani Thomas Hobbes (1588–1679) e John Locke (1632–1704 e i luterani S. v. Puffendorf (1632-1694) e Ch. Thomasius (1655-1728) e molti altri, che sosterranno la teoria soggettivistica del diritto, perché esso sorge dalla sola ragione umana in determinate circostanze di tempo e luogo e non ha che un valore relativo. Tre sono i valori cui riferisi, sosterrà Thomasius. Con preciso riferimento al De officiis di Cicerone, questi sono: l’honestum, lo justum e il decorum (onesto, giusto e conveniente); a ciascuno corrisponde una precisa attività pratica dell’uomo, ossia la morale, il diritto e la politica. La via al contrattualismo e al liberalismo è aperta, dove non è l’umanità il cardine della vita associata, ma l’individuo o, meglio, il singolo, che si erge ad assoluto (cfr. Digesto,1,5,2). Il diritto finirà con il conifere solo con la volontà singolare che intende essere ratificata come legge: quod mihi placuit lex debet esse.

Il grillo parlante. Lutero e la nuova visione dell (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

 S. Puffendorf

 

 Questa strada fu ben compresa dal grande umanista Erasmo da Rotterdam con lo scritto De libero arbitrio. Proprio l’umanista che riconosceva come la vendita delle indulgenze fosse una prassi d’abuso, seppe valutare anche le conseguenze cui andava incontro il pensiero di Lutero.

 

nr. 43 anno XVIII del 7 dicembre 2013



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