NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Coscienza e libertà nelle encicliche

di Italo Francesco Baldo

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Coscienza e libertà nelle encicliche

Il grillo parlante - IX parte

 Introduzione

Il cristianesimo si presenta alla storia dopo il 1517 diviso, quasi non si fosse tenuto conto di quello che afferma San Paolo in I Corinti 1,10-13.17: “Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. “ Questo richiamo è oggi raccolto dalla prospettiva ecumenica, ma questa via non è certo facile, anche perché nel corso dei secoli si sono generate sopra le divisioni in materia teologica, morale, organizzativa delle varie confessioni cristiane, anche divisioni culturali più vaste, si pensi al divieto delle immagini in molte chiese riformate, e addirittura politiche. I Cattolici in Gran Bretagna sono ancora appellati con il termine “papisti”, perché i cattolici erano e sono additati come color che “ubbidiscono” al papa e vedremo come questo si sia focalizzato nella seconda metà dell’ottocento in modo preciso e netto con Henry John Temple, terzo visconte Palmerston (1784–1865). Lo sviluppo poi anche di diverse sette d’origine cristiana complica ancor più la possibile riunione. Ben diverso il caso delle Chiese orientali che nel concilio di Firenze decisero di unirsi a quella di Roma. Infatti, il 6 luglio del 1439 nella Basilica di Santa Maria del fiore fu promulgata dal papa Eugenio IV la bolla Laetentur Coeli (che i cieli si rallegrino) che proclamò la ricomposizione dello scisma d’Oriente ed annunciò la riunione fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. Purtroppo l’accordo non fu poi sottoscritto da numerosi patriarchi orientali e vi era anche un’ulteriore debolezza. L’unione era stata sottoscritta con la segreta speranza da parte del mondo bizantino di ricevere aiuti nei confronti della pressione militare dei Turchi. Sarà proprio la conquista di Bisanzio nel 1453 a rendere ulteriormente difficile l’accordo, ma esso resta a suggello di una prospettiva che gli ultimi pontefici romani hanno ripreso con forza cfr. l’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint del 25 maggio 1995.

Un cammino quello dell’ecumenismo che implicherà anche una serie e importante riflessione sulla coscienza e la libertà, cosa avvenuta in parte con la chiesa luterana, ma si aspettano ulteriori

Intanto il cammino della Chiesa di Roma continuava e secondo la prospettiva che ritiene siano tre i grandi capisaldi della fede, ossia Sacre scrittura con particolare attenzione al Nuovo testamento, il Magistero che si esprime nell’unità dei vescovi con il papa e il suo primato, detto petrino, e la Tradizione, che è il deposito storico della fede nei secoli e non coincide, sia detto per chiarezza con usi e consuetudine, dettati dalle circostanze di tempo e di luogo, ma con ciò che nei tempi ha costantemente mostrato la propria importanza per la fede stessa.

In questa prospettiva la Chiesa cattolica si è pronunciata con i Concili e anche con diversi documenti pontefici, le encicliche a partire dal Settecento, che nel corso del tempo hanno posto all’attenzione dei fedeli e non solo, problemi relativi alla libertà dell’uomo, del cristiano e anche della chiesa stessa cui in determinati periodi, cfr. la Rivoluzione Francese, il comunismo e il nazionalsocialismo ecc, fu negata la libertà di professare la fede e si è tentato di negare il valore della coscienza personale in materia religiosa, cosa che il Concilio vaticano II ha ben rilevato soprattutto in relazione al comunismo ateo, quello sovietico e le sue filiazioni italiane e ad altre prospettive che negano la libertà religiosa e quindi la libertà della coscienza, con la Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae.

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 Benedetto XIV

 

 

 

I documenti pontifici

I documenti pontifici sono moltissimi; considerato il loro numero, ci soffermeremo solo su alcuni ed in particolare sull’enciclica Libertas di Leone XIII. Il Magistero petrino si è sempre e con costanza attenuto, ecco la Tradizione, a quanto il Concilio di Trento aveva sostenuto a proposito della coscienza e della libertà. È intervenuto in particolare con le encicliche, lettere dirette a tutti i membri della Chiesa cattolica ed in particolare ai vescovi e ciò a partire dal 1740 allorché papa Benedetto XIV pubblicò la prima, la Ubi Primum. In precedenza i pontefici intervenivano sulle varie questioni con “le bolle”, documento munito del sigillo pontificio, in genere in ceralacca.

 Sarà però nella sua seconda Non ambigimus (Non nutriamo dubbi) del 1741 che è riportata l’importanza della coscienza e, da notare, che è proprio in relazione alle indulgenze: “Pertanto, come siamo convinti che si debba procedere con somma cautela nel concedere le indulgenze, e non potrebbe essere altrimenti perché dovremo renderne conto al Supremo Giudice, anche in questo caso pensiamo che si debba farne carico alla Vostra coscienza. Nello stesso tempo chiediamo alle Vostre Fraternità e Vi scongiuriamo nel Signore perché, quanti non possono osservare la disciplina penitenziale comune a tutti i fedeli, abbiate ad invitarli affinché, come ad ognuno potrà suggerire la propria devozione, non tralascino con altre opere di pietà di espiare le proprie colpe e di chiederne perdono a Dio.”

 Sul valore della coscienza anche la successiva Peregrinantes a Domino del 1749. Importante è per la considerazione intorno alla libertà di coscienza pure l’enciclica diretta al mondo cristiano polacco; si tratta della A quo primum del 1751 dove per l’unica volta, così mi è dato conoscere, si parla di soppressione della libertà di coscienza e ciò per una protezione dei fedeli. La Circostanza è locale e doveva servire come provvedimento a che non maturassero confusioni e strani sincretismi, il papa ricordava alla Chiesa polacca quando aveva già deliberato in precedenza. Le parole del pontefice affermano: “tanto ebbe in dispregio ogni genere di sette religiose, sebbene nessun tentativo queste tralasciassero per introdursi in codesto Regno, per elevarsi a fede comune e per spargervi i semi dei loro errori, delle eresie o d’aberranti opinioni; tanto più tenacemente la costanza dei Polacchi si oppose ai tentativi di quelle sette e offrì più luminose testimonianze della sua fedeltà.

1.Sicuramente ciò è del tutto conforme al nostro proposito e da ritenere di per sé del massimo valore. Non solo, infatti, perdura quella gloriosa memoria di Martiri, di Confessori, di Vergini, di Uomini insigni per fama di santità, ai quali toccò in sorte di nascere, di essere educati e di morire nel Regno di Polonia (memoria che è annoverata tra i fasti della Santa Chiesa); ma altrettanto memorabili sono i molti Concili e i Sinodi ivi celebrati e condotti a felice conclusione, per cui con somma gloria fu riportata vittoria sui Luterani, i quali esperirono ogni modo ed ogni via pur di penetrare e di trovare ricetto in codesto Regno. In verità già allora nel grande Concilio Petrocoviense (che fu celebrato al tempo del grande Predecessore e Concittadino nostro Gregorio XIII, e presieduto dal presule Lipomano, Vescovo di Verona e Nunzio Apostolico) – si tratta di quello che oggi chiameremo un sinodo locale- a maggior gloria di Dio fu soppressa la libertà di coscienza che cercava adito e dimora in quel Regno; allora infine furono raccolte in ampio volume le Costituzioni Sinodali della provincia Gnesnense, in cui sono trascritti tutti gli utili e sapienti provvedimenti previsti e presi dai Vescovi polacchi affinché nei Popoli affidati al loro governo la Religione Cristiana non fosse contaminata dalla perfidia Giudaica, tenuto conto che la qualità dei tempi comporta che sia i Cristiani, sia anche i Giudei convivano nelle stesse città e villaggi. Ciò conferma con luminosa evidenza (già lo si è detto) quanto merito abbia la Nazione Polacca nell’aver sempre cercato di conservare integra e protetta la Santa Religione tramandata, tanti secoli innanzi, dai suoi Antenati.”

Il Sinodo pubblicò la Confessio Cristiane Catholicae fidei Petricoviensis (Coloniae, M. Cholinum, 1573, part. p.161 e 418) e la preoccupazione cattolica era la contaminazione con il luteranesimo e il giudaismo in particolare sulla questione della lettura delle Sacre Scritture e la loro libera interpretazione. Quanto alla libertà, il Sinodo richiama la posizione di Pietro Valdo (circa 1140- morto circa 1217) il quale negava che il paradiso si potesse raggiungere mediante il libero arbitrio.

La negazione della libertà di coscienza non risulta, in altri documenti dello stesso pontefice e dei successivi, che richiamano sempre alla libertà, che è alla base dello stesso cristianesimo. Così nel 1771 Clemente XIV nel Breve Magna atque: “Per il sangue del nostro Salvatore siamo stati restituiti dall’antica schiavitù alla libertà, dalla malattia alla buona salute, dalle tenebre alla luce della verità, e siamo stati ascritti tra i figli di Dio, come coeredi di Gesù Cristo”.

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Nel XVIII secolo l’illuminismo con la sua forte critica anticristiana, e soprattutto anticattolica, affermava il valore della libertà di coscienza e della libertà come condizione dell’uomo perché egli si “liberasse” dai secoli bui (il medioevo) dove aveva dominato solo la condizione cristiana e dalla sovranità. La libertà divenne così, dopo le vicende di Lutero, nuovamente un terreno d’approfondimento e di prospettiva. Ben noto è il richiamo alla libertà degli illuministi in ogni ambito e settore ed essa si riassume proprio in una delle parole decisive della Rivoluzione francese, ossia liberté.

Nell’Illuminismo il tema della libertà ha svariate sfumature e va considerato in ogni autore, anche se in generale si possono ritrovare il filone d’origine inglese, particolarmente John Locke e la sètta dei liberi muratori, ossia la massoneria, quello francese con Voltaire e J.J. Rousseau e quello tedesco che ha in I. Kant la massima riflessione moderna sul tema.

La Chiesa cattolica da subito contrastò le visioni illuministiche e in particolare quella della massoneria che negava lo stesso cristianesimo e la sua missione e la libertà di questa. Per affermarla accettò perfino la soppressione della Compagnia di Gesù con il papa Clemente XIV e il breve Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773, che però fu rifiutato dalla zarina Catenina II e in Russia sopravvisse la Compagnia che fu ricostituita nel 1814.

La Massoneria non fu e non è accettata dalla Chiesa Cattolica, e ciò fin dalla suo sorgere che essa considera da Salomone e dal Tempio da lui edificato. Di là dalle origini mitiche, la massoneria ha avuto forse origine nelle sètte antitrinitarie del secolo XVI, ma è alla fine del successivo che essa si manifesta pienamente in Inghilterra e Francia, raggiungendo il suo apice nell’Ottocento e nel Novecento. Contò numerosissimi aderenti tra gli uomini di cultura e d’arte, i politici, perfino un imperatore del Sacro Romano Impero, Giuseppe II, e fu decisiva per l’unità d’Italia a partire dalla Campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte nel 1796/97 e successivamente con Mazzini, Garibaldi, Cavour e tanti altri.

Con la bolla In eminenti apostulatus specula nel 1738 Clemente XII commina la scomunica alla Massoneria Universale, con una motivazione non di carattere ereticale ma per la poca chiarezza delle loro posizione. Si trattava, infatti, di cattolici, forse giacobiti, inglesi, che volevano la restaurazione del trono agli Stuart ed erano additati come frammassoni. Così la natura della condanna: “Dоpо aver riflettuto e ponderato ai rilevanti danni originati di solito da quelle associazioni o combriccole non solo contro la pace dello stato, ma anche contro la salvezza delle anime, sicché tali danni non possono essere misurati né dal codice civile né da quello canonico, ed essendo noi guidati dalla parola di Dio, come un fedele servitore ed un saggio preposto al mantenimento della Casa dei Signore, a badare giorno e notte affinché questa categoria di persone non distrugga la Cаsа come dei ladroni o come volpi non cerchi di devastare la vigna, affinché non corrompa i cuori dei semplici e non uccida gli innocenti, con le sue frecce nella oscurità; così per sbarrare la via tanto larga che potrebbe condurre alla perpetrazione non punita dell'ingiustizia, anche in base ad altri motivi a noi noti, giusti e legittimi, abbiamo ritenuto giusto ed abbiamo deciso di condannare e proibire le dette società, circoli, associazioni segrete, assemblee o bande clandestine note col nome di massoni o con qualsiasi altra denominazione, dopo aver interrogato la valentia di alcuni nostri Venerabili Fratelli, dei Cardinali della Santa Romana Chiesa come pure data la sicurezza raggiunta e lа matura riflessione nella nostra sede e dalla pienezza del nostro potere apostolico, così come noi li condanniamo e proscriviamo mediante questa nostra Ordinanza valevole per l'eternità.”

La Chiesa cattolica condannò con la scomunica la Massoneria fino al 1983, ben nove pronunciamenti da parte di Leone XIII alla fine dell’Ottocento, allorché fu promulgato il Nuovo codice di Diritto canonico da parte di Giovanni Paolo II, dove non si accenna più all’organizzazione, non se ne fa nemmeno il nome, pur rimanendo l’interdetto, canone N.1374, per le associazioni che complottano contro la Chiesa.

Lo scontro era in relazione alla visione della libertà, che la Massoneria considera solo nella sfera individuale e non dipendente da una Rivelazione divina, perché essa considera l’Essere Supremo come un ente di ragione (deismo).

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Pio VI                                              Pio VII

 

 

Sulla libertà e gli avvenimenti della rivoluzione francese la Chiesa cattolica, che subirà molto con una stretta limitazione della sua libertà d’azione con Pio VI e soprattutto Pio VII, che sarà tenuto prigioniero in Francia, con Napoleone Bonaparte. Le indicazioni pontificie mediante encicliche sono molte soprattutto nel primo periodo rivoluzionario, quando la Costituzione del clero, di fatto sopprime il cattolicesimo e la Chiesa in Francia. Valga per tutte le prese di posizioni la seguente, tratta

 Dall’enciclica del 1791 Quod aliquantum dove si precisa che la: “Costituzione stessa dell’Assemblea a null’altro mira né altro cerca se non l’abolizione della Religione Cattolica e, con questa, anche dell’ubbidienza dovuta ai Re. Con tale disegno appunto si stabilisce come un principio di diritto naturale che l’uomo vivente in Società debba essere pienamente libero, vale a dire che in materia di Religione egli non debba essere disturbato da nessuno, e possa liberamente pensare come gli piace, e scrivere e anche pubblicare a mezzo stampa qualsiasi cosa in materia di Religione.

 Che queste affermazioni, certamente strane, discendano propriamente e derivino dall’uguaglianza degli uomini fra di loro e dalla libertà naturale, lo ha dichiarato la stessa Assemblea. Ma quale stoltezza maggiore può immaginarsi quanto ritenere tutti gli uomini uguali e liberi in tal modo che nulla venga accordato alla ragione, di cui principalmente l’uomo è stato fornito dalla natura e per la quale si distingue dalle bestie? Quando Dio ebbe creato il primo uomo e lo collocò nel Paradiso terrestre, non gli intimò nello stesso tempo la pena di morte se avesse gustato i frutti dell’albero della scienza del bene e del male? Con questo primo precetto non ne pose egli tosto in freno la libertà? E dopo che l’uomo con la sua disubbidienza si era fatto colpevole, non aggiunse Iddio molti altri precetti, che vennero da Mosè promulgati? "Benché egli avesse lasciato l’uomo in potere delle proprie decisioni, onde fosse poi capace di meritare premio o pena, nondimeno gli aggiunse leggi e comandamenti, affinché volendoli fedelmente osservare gli valessero per sua salute". Ove è dunque quella libertà di pensare e di operare, che i decreti dell’Assemblea attribuiscono all’uomo vivente in società come un diritto immutabile della natura? Dunque, per ciò che risulta da tali decreti, a tenore di essi converrà contraddire al diritto del Creatore, per mezzo del quale noi esistiamo, e dalla cui liberalità si deve riconoscere tutto ciò che siamo e che abbiamo. Oltre ciò, chi non sa che gli uomini sono stati creati non semplicemente per vivere ciascuno come singolo, ma per vivere anche ad utilità e giovamento degli altri? Pertanto, debole come è l’umana natura, è scambievole il bisogno dell’altrui opera per la propria conservazione; ed è per questo che Iddio fornì gli uomini di ragione e di parola, perché sapessero e potessero chiedere aiuto e, richiesti, porgerlo. Pertanto, dalla natura stessa furono indotti ad accomunarsi e ad unirsi in società. Ora, siccome all’uomo appartiene l’uso della ragione, in modo che egli non solo riconosca il Supremo suo creatore, ma lo rispetti e lo veneri con ammirazione, e riconosca che egli stesso e tutte le sue cose derivano da Lui, ed è necessario che fin dal principio del suo vivere egli stia soggetto ai suoi maggiori, che lo possano regolare e ammaestrare, onde gli sia agevole il conformare il tenore della sua vita ai lumi della ragione, ai principi della natura e alle massime della Religione, deriva che il nascere stesso che fa ciascun uomo al mondo prova ad evidenza essere vana e falsa quella così vantata eguaglianza fra gli uomini, e la libertà. "State soggetti, dice l’Apostolo, ché questo è di necessità". Ma perché gli uomini potessero unirsi in civile società, fu inoltre necessario stabilire una forma di governo, per mezzo del quale quei diritti di libertà sono stati vincolati dalle leggi e dalla suprema potestà dei Regnanti; da ciò consegue direttamente ciò che insegna Sant’Agostino dicendo: "È un patto generale della società umana ubbidire ai propri Re". Pertanto, questa potestà non deriva tanto dal contratto sociale, quanto da Dio stesso, autore del retto e del giusto. Ciò pure affermò l’Apostolo nella lettera ai Romani, cap. 13: "Ogni uomo stia soggetto alle Potestà superiori; imperciocché non v’è Potestà che non provenga da Dio, e quelle Potestà che sono qui in terra sono da Dio ordinate. Perciò chi resiste alla Potestà resiste all’ordine di Dio; e coloro che vi resistono si tirano addosso la dannazione".

In essa la tradizionale posizione che ritroveremo sempre anche nelle encicliche del secolo successivo. Proprio l’Ottocento che vedrà una fortissima avversione alla Chiesa cattolica da parte della Massoneria e del nascente comunismo internazionale, trova nel problema del potere temporale dei papi la massima avversione ai concetti di coscienza e libertà stessa della fede cattolica. Con la negazione di un possibile potere temporale della chiesa, si cercava di negare la sua missione. Pio IX non si piegò alle prospettive antitemporalistiche, espresse pure da Antonio Rosmini ne Delle cinque Piaghe della Santa Chiesa, quando si espresse contro la “servitù dei beni ecclesiastici”, perché riteneva che la Chiesa dovesse essere s libera e non condizionata da nessuno, nemmeno dal punto di vista del territorio.

Pio IX, detto inizialmente “papa liberale”, pur accettando prospettive innovatrici nel governo della Chiesa, non derogò certo dalla ufficiale dottrina e quando difese la Chiesa e la sua libertà, lo fece consapevole della difficoltà di una Chiesa dentro uno Stato e non libera. Così si espresse nell’enciclica del 1860 Cum catholica Ecclesia: “La Chiesa Cattolica fondata e istituita da Cristo Signore per provvedere alla salvezza eterna degli uomini, avendo conseguito, in forza della sua divina istituzione, la forma di società perfetta, deve godere, nell’esercizio del suo sacro ministero, di quella libertà che la sottrae alla soggezione di qualsivoglia potere civile.

Poiché per operare liberamente, come era necessario, doveva fruire di quei supporti che rispondevano alle condizioni e alle esigenze dei tempi, per una speciale disposizione della divina Provvidenza avvenne che, quando l’Impero Romano si dissolse e fu diviso in vari regni, il Romano Pontefice, costituito da Cristo capo e centro di tutta la Chiesa, ottenne un Principato civile.

Questo fu disposto con somma sapienza da Dio stesso, perché in mezzo ad una tale moltitudine e varietà di sovrani temporali, il Sommo Pontefice disponesse di quella libertà politica che era indispensabile per esercitare, senza alcun impedimento, il suo potere spirituale, la sua autorità e la sua giurisdizione sul mondo intero.”

 Sappiamo come fu soppressa l’autorità temporale della chiesa nel 1870 da parte del regno d’Italia e come essa risorse solo nel 1929 con i Patti lateranensi che limitarono la sovranità del pontefice romano a soli 0,44, 39 km². La Sacra Città del Vaticano.

Accanto alla Questione romana e la libertà del pontefice, nell’Ottocento, oltre alle visione della libertà di origine massonica che aveva trovato nella filosofia del positivismo un forte alleato, si affacciava una nuova riflessione sulla libertà, quella che il socialismo e il comunismo portavano avanti e che propugnava una “ liberazione” dal capitalismo industriale.

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  Pio IX                                           Leone XIII

 

Su queste nuove prospettive intervennero sia Pio IX sia Leone XIII. Il primo l’anno dopo la pubblicazione de Il manifesto del Partito Comunista di K. Marx e F. Engels nell’aprile del 1849 con l’enciclica Quibus, quantisque dove espressa la valutazione sul nuovo movimento sociale: “l’orribile e fatalissimo sistema del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale.”, ma soprattutto nella Noscitis et Nobiscum del dicembre 1849 che afferma: “che si attiene alle loro dottrine, già è noto a voi tutti, siccome, abusando dei nomi di libertà e di uguaglianza, mirino soprattutto a questo: di rendere familiari nel popolo le stolte e pericolose invenzioni del comunismo e del socialismo. È noto pure, siccome i maestri del comunismo e del socialismo, sebbene per diversa via e per vario modo, abbiano tutti per ultimo scopo, col mezzo di sofismi e di vane promesse di più felici condizioni, ingannare, agitare di continue scosse gli operai e le altre persone di basso stato, e adusarle a poco a poco a più gravi misfatti onde valersi poi dell’opera loro per invadere, manomettere, dilapidare le proprietà, in prima della Chiesa, e poscia di qualsivoglia altro legittimo posseditore: per violare infine tutti i diritti sia umani che divini; e per questa maniera distruggere il divin culto, e annullare ogni ordine della civile società. Ora in un pericolo sì spaventoso dell’Italia, è vostro debito, o Venerabili Fratelli, il mettervi in guardia e l’adoperare ogni sforzo, perché il popolo fedele ravvisi la perversità di questi fallaci sistemi e sappia che, se si lascerà da essi sedurre, quelle dottrine si volgeranno a sua rovina temporale ed eterna”.

 

 

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A. Rosmini

 

 

Temi considerati anche da A. Rosmini sempre nel 1849 nel suo saggio Ragionamento sul comunismo e socialismo (Padova, Cedam 1848), dove afferma il valore della libertà “come il più desiderabile bene dell’umana vita e della sociale, siccome la radice, e la generatrice di tutti gli altri beni (ivi, p.12) e considera come il socialismo anche quello utopistico neghi proprio il valore della libertà della persona (ivi, p.14 e p. 44). Infatti non nel negare la libertà della proprietà vi è il benessere di una società, ma avverte il filosofo, in una società che abbia un ben preciso e morale fine (cfr. il mio La proprietà non è un furto, Roma, Luiss, 1998).

Certamente il marxismo afferma la libertà, ma questa intende solo come liberazione dalla struttura economica capitalistica e Marx ed Engels precisano che la libertà come “ verità eterna” deve essere liquidata (Manifesto del Partito comunista, Milano, S. Berlusconi Ed., 1998, p.48). Non vi è “libertà” come bene e dimensione ontologica dell’uomo, ma solo liberazione dal capitalismo per costruire una nuova società…i cui esiti si sono ben visti!

Fu Leone XIII con l’enciclica Rerum novarum del 1891 e la Graves de communi re del 1901 ad intervenire nuovamente sul tema della libertà nell’ambito della società. nella prima afferma chiaramente: “Con l’accumulare pertanto ogni proprietà particolare, i socialisti, togliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio dal patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò più infelice la condizione.

La libertà dell’uomo

9. Questo diritto individuale cresce di valore se lo consideriamo nei riguardi del consorzio domestico.

Libera all’uomo è l’elezione del proprio stato: egli può a suo piacere seguire il consiglio evangelico della verginità o legarsi in matrimonio. Naturale e primitivo è il diritto al coniugio e nessuna legge umana può abolirlo, né può limitarne, comunque sia, lo scopo a cui Iddio l’ha ordinato quando disse: "Crescete e moltiplicatevi" (Gen 1,28). Ecco pertanto la famiglia, ossia la società domestica, società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società; perciò con diritti e obbligazioni indipendenti dallo Stato. Ora, quello che dicemmo in ordine al diritto di proprietà inerente all’individuo va applicato all’uomo come capo di famiglia: anzi tale diritto in lui è tanto più forte quanto più estesa e completa è nel consorzio domestico la sua personalità.

Nel ribadire la posizione della chiesa il papa si rifaceva all’enciclica Libertas del 1888 che esamineremo a parte,e pone le basi di quella dottrina sociale della chiesa che è stata costantemente ribadita da Pio XI con la Quadragesimo anno del 1931 e Giovanni Paolo II con la Sollicitudo rei socialis del 1987 e la Centesimus annus del 1991, dove sempre si ribadisce il valore della libertà e si nega che un sistema statalistico possa garantirla.

Il pontificato di Pio X a con il problema del modernismo affronterà proprio il tema della coscienza sulla base anche delle nuove indagini della psicologia e delle scienze storiche culminando nell’enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907, che esamineremo a parte.

Accanto alle posizione contro il nascente comunismo, la Chiesa cattolica, come abbiamo riferito, prese netta posizione contro il liberalismo di origine massonica con il Sillabo e altri documenti.

 

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  Pio XII                                     Pio XII

Sarà però nella visione universale della libertà che la Chiesa cattolica interverrà soprattutto contro i totalitarismi iniziati con il comunismo leniniano nel 1917 e proseguito con il fascismo italiano e il nazionalsocialismo hitleriano. Non si tratta di interventi in ambito politico, ma nella visione dell’uomo e del suo destino ambito del consorzio umano. Non solo denuncia, ma anche ribadire il valore della coscienza della persona e della libertà anche di religione, in parole riassuntive, la dignità dell’uomo. Così affermarono Pio XI quando in Italia si attaccava nel 1931 l’Azione Cattolica (cfr. l’enciclica Non abbiamo bisogno) o quando il mito della razza unito al nazionalismo in Germania poneva, anzi aveva già posto, la prospettiva dello sterminio degli Ebrei. L’enciclica Mit brennender Sorge del 1937 chiaramente affermava: “ Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi, e divinizzandoli con culto idolatrino perverte e falsifica l’ordine da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme.”

 Pio XI e il suo successore non avevano certo che la parola per opporsi ai totalitarismi, lo fecero e sempre in nome di una visione della persona umana che è al centro della considerazione sulla coscienza e la libertà. Temi ribattuti da tutti i successivi pontefici, da Giovanni XXIII con la Mater et Magistra, libertà delle coscienze e libertà nella società, da Paolo VI nella Populorum progressio e per Giovanni Paolo II citiamo solo Ecclesia in Europa.

 Anche Benedetto XVI nelle sue encicliche ha approfondito i temi della coscienza e della libertà. Su quello della coscienza il papa è chiaro nella enciclica Spe salvi del 2007 dove richiama alla necessità di una coscienza buona che sappia anche riconoscere i propri errori. Infatti: “Il non riconoscimento della colpa, l'illusione di innocenza non mi giustifica e non mi salva, perché l'intorpidimento della coscienza, l'incapacità di riconoscere il male come tale in me, è colpa mia. Se non c'è Dio, devo forse rifugiarmi in tali menzogne, perché non c'è nessuno che possa perdonarmi, nessuno che sia la misura vera. L'incontro invece con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un'autogiustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso.” Nella successiva del 2009

Caritas in veritate ulteriormente precisa che è la coscienza morale dell’uomo a portarlo alla sua responsabilità personale e sociale, perché: “5 Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.”

 La coscienza non potrebbe certo dirigersi al bene se non avesse la liberta e nelle encicliche così si esprime Benedetto XVI. Nella Spe salvi: “(24 b) Poiché l'uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato. Chi promette il mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente per sempre, fa una promessa falsa; egli ignora la libertà umana. La libertà deve sempre di nuovo essere conquistata per il bene. La libera adesione al bene non esiste mai semplicemente da sé. Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell'uomo, e per questo motivo non sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone.” Nella lettera enciclica Caritas in veritate precisa ulteriormente: “9. L'amore nella verità — caritas in veritate — è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.

Accanto al problema della coscienza e della libertà in ambito sociale e politico tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del successivo una nuova e importante questione interesserà la Chiesa Cattolica, è il tema del modernismo che coinvolge problemi scientifici, in particolare quelli delle scienze storiche e della psicologia e temi teologici, la natura divina di Gesù Cristo e l’esegesi biblica. Il movimento è complesso richiede un’analisi a parte, data la sua importanza che è presente anche oggi, seppur mascherato da “ esigenze” di rispondere ai tempi moderni

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 Josef Ratzinger

 

Conclusione

 I tanti documenti pontifici attestano come il tema della coscienza e della libertà sia sempre stato tenuto presente nella affermazione che l’uomo è libero arbitrio e che la coscienza è il centro di questa libertà che non dipende da circostanze esterne. Nel contempo la Chiesa per i propri fedeli esercita il ruolo pastorale di consiglio, di approvazione, di assenso e di divieto. Il cristiano cattolico che riconosce l’importanza della Chiesa come sua comunità (agape) e tenuto a seguirla, ma può anche seguire la propria coscienza, portandone la responsabilità.

 A suggellare questo excursus sui documenti pontifici, riprenderemo l’enciclica Libertas di Leone XIII e il tema del modernismo, credo sia di grande vantaggio per la riflessione il riportare le parole del cardinale Josef Ratzinger, pronunciate nel 1991, quando era a capo del dicastero vaticano Congregazione per la dottrina della fede: “Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante.” Infatti, egli vive e considera la libertà come il dono più prezioso affinché nell’esercizio libero della coscienza possa distinguere e deliberare per il bene.

 

nr. 04 anno XIX del 1 febbraio 2014

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