NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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L’enciclica Libertas di Leone XIII

di Italo Francesco Baldo

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L’enciclica Libertas di Leone XIII

Il grillo parlante

X parte

 

 “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei

 discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".

 (Gv 8,32)

 

Introduzione

Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà; nella riflessione sulle idee e sui fatti che caratterizzano la nostra travagliata epoca, emerge costantemente il tema della libertà, che investe direttamente la ricerca in campo teoretico ed etico, anche se tendenzialmente si tende a separare i due campi, in effetti, essi sono congiunti e questo emerge in modo chiarissimo propria quando si mediti sull’importanza della libertà nella vita dell’uomo.

Proprio questo tema percorre tutta la storia della filosofia ed identifica in modo particolare il dibattito che è avvenuto all’interno della riflessione cristiana. Ricordare tutti coloro che nel mondo cristiano si sono preoccupati del tema della libertà e dei problemi connessi come quello della relazione, che sussiste tra esseri liberi, occuperebbe interi volumi e si riferirebbe a tutti i secoli dell’era cristiana a partire dalle origini fino ad oggi. Non si contano i trattati e i pronunciamenti del cristianesimo sul tema; la svolta, come abbiamo cercato di riferire, avverrà con la riforma luterana e con le altre ad essa in parte collegate. Nell’ambito della Chiesa cattolica esiste una continuità con prime riflessioni intorno alla coscienza e alla libertà, quali sant’Agostino, sulla scia del S. Vangelo, nel De libero arbitrio aveva elaborato: “All'anima è stato dato il libero arbitrio. Vi sono alcuni che con futili dimostrazioni tentano di demolirlo. Sono ciechi al punto da non capire che non potrebbero neanche sostenere tale tesi inconsistente e sacrilega senza una volontà autonoma. Tuttavia il libero arbitrio non è stato dato all'anima perché, sconvolgendo con esso qualche aspetto della realtà, turbi una parte della divina legge razionale. È stato dato appunto dal dominatore sommamente sapiente e invitto di tutto il creato. Ma è di pochi intuire tale verità, come va intuita, e non si diviene capaci di tanto se non con la vera religione. È vera religione quella con cui l'anima, mediante la riconciliazione si lega di nuovo a Dio, dal quale s'era disciolta, per così dire, col peccato.” (Ivi Premessa cap.36). infatti, prosegue il Padre della chiesa: “Dunque nessun’altra cosa può rendere la mente compagna del desiderio disordinato se non la propria volontà e il libero arbitrio” (Ivi, 11,21). In questa direzione molti Padri della Chiesa, tra cui piace citare Propserus Aquitanus e la sua Epistola Ad Rufinus 'De Gratia Et Libero Arbitrio e Bernardus Claraevallensis Abbas con il De Gratia et Libero Arbitrio Tractatus.

Anche i Dottori della chiesa tra cui San Tommaso d’Aquino e san Bonaventura che diverranno punti di riferimento della elaborazione teologica con l’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII nel 1879, continuano l’elaborazione e ad essi bisogna riandare. Sostiene il papa nella lettera: “Nostro Predecessore Sisto V: "Per dono divino di Colui il quale, solo, dà lo spirito della scienza e della sapienza, e il quale nel corso dei secoli ricolma di nuovi benefici la sua Chiesa secondo il bisogno, e la munisce di nuovi presidi, fu trovata dai nostri maggiori, savissimi uomini, la Teologia scolastica, che in modo particolare i due gloriosi Dottori l’angelico San Tommaso ed il serafico San Bonaventura, professori chiarissimi di questa facoltà... coltivarono ed illustrarono con eccellente ingegno, con assiduo studio, con grandi fatiche e con lunghe veglie e la lasciarono ai posteri ottimamente ordinata ed in molti e chiarissimi modi esplicata.”.

Il magistero dei papi, come abbiamo riferito, si pone costantemente sulla difesa del libero arbitrio, pur sempre nella consapevolezza che la Grazia di Dio e fondamentale, ma è la persona che esercita sempre la sua libertà, anche nell’assenso alla Grazia divina.

Nel secolo decimonono, i papi intervennero sul tema della libertà anche in relazione a nuove correnti filosofiche con ampio riscontro teologico, che tendevano ad affermare un’assoluta libertà. Fu il liberalismo d’origine francese con Hugues-Félicité Robert de Lamennais (1782-1854), che negava la possibilità di un qualsiasi supporto razionale alla verità di fede, facendo prevalere quasi una libertà individuale rispetto alla visione ecclesiale. La condanna che papa Gregorio XVI pronunciò con le due encicliche Mirari vos del 1832 e Singolari nos del 1834, non pose certo fine alle prospettive che tendevano ad affermare una libertà di fede individuale e di tipo sentimentale e indifferente alla verità di cui la chiesa è portatrice. Così la libertà di coscienza afferma valido tutto quello che è opinione personale, non ciò che è verità. La condanna della libertà di coscienza è intesa come negazione dell’assoluto arbitrio in tema di verità, che conduce al relativismo e al riduzionismo, non come libertà della coscienza ovvero la possibilità, libero arbitrio, di seguire o no la verità, il bene che non sono determinati individualmente, ma oggettivamente. Nel merito intervenne anche Pio IX, che non solo riprovò certo cattolicesimo liberale, che fu utilizzato strumentalmente anche contro A. Rosmini con la Qui Pluribus del 1846 primo del pontificato dove ben esprime la sua preoccupazione: “Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori delle tenebre ogni mostro d’opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e d’onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione cattolica e la società civile.” Il papa intravide da subito anche il nuovo e prepotente pericolo per la cristianità che si andava diffondendo: il comunismo. Con l’enciclica Quanta cura e il Syllabus del 1861, il papa espresse anche sulla scia delle dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano I (Sessione III, capp. III La fede e IV Fede e ragione) la condanna della cosiddetta libertà individuale di coscienza, non della coscienza, in altre parole, come abbiamo affermato, quella che ritiene per vero solo quanto ciascuno esprime nei propri pensieri e nelle proprie credenze, non rapportarsi al tema della verità qual è espressa.

Il problema, giova qui ricordare, non è il conflitto, la polemica o quant’altro tra tesi tradizionali o tradizionaliste e riformiste o rivoluzionarie che si pone la questione. Non si tratta di addivenire ad una sorta di mediazione o di compromesso, ma nel problema della verità è cogliere quanto in ogni tempo vi sia autentica ricerca e riconoscimento della verità e della sua diffusione, di là dalle mode o degli adeguamenti ai tempi.

Nella seconda metà dell’Ottocento il dibattito intorno alla libertà si fece ancora più netto, soprattutto in contrapposizione alla visione cristiana e in particolare del mondo cattolico che dovette affrontare due importanti posizioni avversarie, il liberalismo di varia origine, massonica principalmente, della rivoluzione francese, del positivismo e le istanze di liberazione, più che di libertà del socialismo e del comunismo di origine marxista. Le contrapposizioni al mondo cattolico si affacciarono alla storia in moto preciso a partire dal 1848 con tutta la loro carica di trasformazioni e rivoluzioni sociali come unica possibilità di poter godere della libertà, ovvero la libertà passa attraverso la liberazione dall’oppressione, di qualsiasi tipo o natura, in particolare dalla religione, considerata l’oppio dei popoli. Se esiste una qualche differenza tra la visione liberale e quella d’origine marxista a proposito dell’avversione alla religione, questa va rintracciata solo nel generico deismo del liberalismo, che finisce nella riduzione individualistica d’ogni situazione umana.

Di fronte a tante difficoltà e soprattutto all’alleanza, mai scritta, ma sempre praticata di liberalismo e comunismo contro la Chiesa Cattolica in particolare, Leone XIII con le encicliche Immortale Dei del 1885 e Libertas praestantissimum del 1888.

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Leone XIII

 

 

Leone XIII

L’importanza culturale del pontificato di Leone XIII (1878-1903) è comprensibile appieno se non ci si limita, come spesso accade oggi, agli interventi, attraverso le encicliche Rerum novarum del 1891 e Graves de communi re del 1901, in materia sociale, ma se prioritariamente si coglie la portata in campo teologico, filosofico e dottrinale in genere dell’enciclica Aeterni Patris del 1879. Questa è la presa di coscienza che la ricerca deve essere ricerca della verità e questa va condotta con adeguati mezzi e con un apparato metodologico che non si presenti come riduttivo, ossia la lettura della complessità della ricerca della verità appunto, attraverso un elemento parziale. La ripresa del pensiero di San Bonaventura e soprattutto di san Tommaso e della centralità della Sacra dottrina, come amava chiamare l’Aquinate la Sacra Scrittura, non esclude aprioristicamente altre possibilità, ma stabilisce una linea di comprensione, attraverso la ragione della realtà metafisica.

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Beato Angelico, San Tommaso d’Aquino

 

 

Le ragioni della ripresa del pensiero tomista sono ben precisate dal pontefice e vale la pena di ricordarle, perché esse non sono né generiche né ammesse in modo acritico. “Per la verità, sopra tutti i Dottori Scolastici, emerge come duce e maestro San Tommaso d’Aquino, il quale, come avverte il cardinale Gaetano, "perché tenne in somma venerazione gli antichi sacri dottori, per questo ebbe in sorte, in certo qual modo, l’intelligenza di tutti". Le loro dottrine, come membra dello stesso corpo sparse qua e là, raccolse Tommaso e ne compose un tutto; le dispose con ordine meraviglioso, e le accrebbe con grandi aggiunte, così da meritare di essere stimato singolare presidio ed onore della Chiesa Cattolica. Egli, d’ingegno docile ed acuto, di memoria facile e tenace, di vita integerrima, amante unicamente della verità, ricchissimo della divina e dell’umana scienza a guisa di sole riscaldò il mondo con il calore delle sue virtù, e lo riempì dello splendore della sua dottrina. Non esiste settore della filosofia che egli non abbia acutamente e solidamente trattato, perché egli disputò delle leggi della dialettica, di Dio e delle sostanze incorporee, dell’uomo e delle altre cose sensibili, degli atti umani e dei loro principi, in modo che in lui non rimane da desiderare né una copiosa messe di questioni, né un conveniente ordinamento di parti, né un metodo eccellente di procedere, né una fermezza di principi o una forza di argomenti, né una limpidezza o proprietà del dire, né facilità di spiegare qualunque più astrusa materia.” Inoltre in relazione alla diffusione di varie filosofie, Leone XIII oppone con ben precise motivazioni il pensiero del dottore angelico: “Molte poi sono le ragioni che Ci muovono a volere questo. Innanzi tutto in questi nostri tempi, essendo in uso combattere la fede cristiana con le arti e con le astuzie di una scienza fallace, è necessario che tutti i giovani, e particolarmente quelli che crescono sperando nella Chiesa, siano nutriti di una dottrina sostanziosa e robusta, affinché vigorosi e ben preparati si abituino tempestivamente a trattare valorosamente e sapientemente la causa della religione e siano "sempre pronti, secondo gli ammonimenti apostolici, a soddisfare chiunque domanda ragione di quella speranza che è in noi" (1Pt 3,15), e "ad esortare nella sana dottrina ed a convincere coloro che la contraddicono" (Tt 1,9). Inoltre, molti di quelli che, inimicatisi con la fede, hanno in odio gl’insegnamenti cattolici, dichiarano di avere a maestro e duce la sola ragione. A sanare costoro ed a riportarli in grazia con la fede cattolica, riteniamo che, dopo il soprannaturale aiuto di Dio, non vi sia mezzo più opportuno della solida dottrina dei Padri e degli Scolastici, i quali dimostrano i saldissimi fondamenti della fede, la sua divina origine, l’inconcussa verità, gli argomenti che la sorreggono, i benefici arrecati al genere umano e la sua perfetta armonia con la ragione, apportando tanta evidenza e tanta forza, quanta è sovrabbondantemente sufficiente a piegare gli animi anche più ritrosi ed ostinati”.

Proprio da quest’enciclica inizia a prendere forma quelle successive sulla libertà, che investono l’ambito della verità e della morale ivi compreso il problema politico: “Anche la società familiare e quella civile, le quali a causa di perverse ed esiziali dottrine si trovano esposte, come tutti vediamo, al più grave pericolo, se ne starebbero certamente più tranquille e più sicure se nelle Accademie e nelle scuole s’insegnasse una dottrina più sana e più conforme al magistero della Chiesa, quale appunto è contenuta nei volumi di Tommaso d’Aquino. Infatti, quello che Tommaso insegna circa la vera natura della libertà, che va oggidì tramutandosi in licenza, circa la divina origine di ogni autorità, circa le leggi e la loro forza, circa la paterna e giusta sovranità dei Principi, circa l’obbedienza dovuta ai più alti poteri, circa la mutua carità fra gli uomini, queste ed altre simili dottrine hanno una forza grandissima e invincibile per rovesciare quei principi del nuovo diritto, che si conoscono perniciosi alla tranquillità dell’ordine sociale ed alla pubblica salute”.

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Lorenzo d’Alessandro: San Bonaventura

 

Questo il contesto base per la Immortale Dei, che in relazione ai tempi delinea il compiuto della chiesa all’interno della comunità politica, in particolare per l’Europa, che non va confusa con quella religiosa, ma da quella religiosa deve trarre ispirazione per costituire e reggere gli Stati. Proprio nella comunità politica la libertà assume un grande valore, perché essa “come virtù che perfeziona l’uomo, deve applicarsi al vero e al bene; la natura del vero e del bene non può mutare ad arbitrio dell’uomo, ma rimane sempre la stessa, e non è meno immutabile dell’intima natura delle cose. Se la mente accoglie false opinioni, se la volontà sceglie il male e vi si dedica, l’una e l’altra, lungi dall’operare per il proprio perfezionamento, perdono la loro naturale dignità e si corrompono. Ciò che è contrario alla virtù e alla verità, dunque, non deve essere posto in evidenza ed esibito: molto meno, difeso e tutelato dalle leggi”. Vi è il rifiuto esplicito che l’opinione o la coscienza individuale possa erigersi ad autentica verità e quindi sia autentica libertà, “questa – prosegue il papa – è piuttosto licenza che libertà; e felicemente è definita da Agostino ‘libertà di perdizione’ […]Al contrario, la libertà autentica e desiderabile è quella che, nella sfera privata, non permette all’individuo di essere schiavo degli errori e delle passioni, terribili padroni, e che nella sfera pubblica governa saggiamente i cittadini, offre loro con larghezza le opportunità per migliorare la propria condizione, difende lo Stato dalle sopraffazioni altrui. La Chiesa, più di chiunque altro, approva questa libertà onesta e degna dell’uomo, né ha mai cessato di adoperarsi e di lottare perché ai popoli fosse garantita salda e integra. E veramente la storia dei secoli passati testimonia come tutto ciò che più giova alla difesa della società civile, tutti i mezzi più efficaci a difendere il popolo dal dispotismo dei Principi, ad impedire che lo Stato si intrometta pesantemente nelle amministrazioni municipali e della famiglia, tutte le leggi più utili a salvaguardare la dignità, il rispetto della persona, l’uguaglianza dei diritti dei singoli cittadini, tutto ciò è sempre stato voluto, o favorito, o tutelato dalla Chiesa cattolica. Essa dunque, con perfetta coerenza, se da una parte respinge una libertà smodata, che degenera in licenza o in schiavitù sia per i singoli che per la collettività, dall’altra guarda con favore e accoglie volentieri i progressi che il tempo arreca, se veramente giovano alla felicità di questa vita, la quale è come un percorso che conduce all’altra della durata eterna”.

Nella stessa dimensione del sociale e dello Stato l’enciclica è una affermazione esplicita della fondamentalità della libertà, purché essa si coniughi con la verità; è infatti “ la verità che ci renderà liberi” (Giov 8 32).

Più dettagliata è poi l’analisi della libertà che Leone XIII compie nella enciclica dedicata alla libertà; fin dall’inizio è ben precisata la visione che di questa dignità ha la Chiesa cattolica: “La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere "in mano del proprio arbitrio" e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina. Gesù Cristo, liberatore del genere umano, restaurando ed elevando la primitiva dignità di natura, giovò moltissimo alla volontà dell’uomo e la innalzò verso miglior segno, ora soccorrendola con la sua grazia, ora proponendo la sempiterna felicità nei cieli.”. Se vi sono coloro che sostengono la Chiesa sia contraria alla libertà umana, costoro non considerano né il fondamento della Chiesa la parola di Gesù Cristo né la sua millenaria storia, che non è una visione cronologica ma il senso della storia stessa che considera suo apice la centralità dell’incarnazione di Gesù Cristo. Il naturalismo ed il razionalismo moderni considerano la libertà nel solo orizzonte umano e finiscono con l’identificare la volontà del momento, che segue la realtà che più colpisce in quell’istante, con la libertà, mentre è la volontà che è al servizio della libertà perché un’autentica volontà “ non si manifesta, se prima non si accende la cognizione intellettuali, quasi come una fiaccola; cioè, il bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto riconosciuto dalla ragione”, non certo come pensiero individuale o sociale. Infatti coloro che affermano che esiste solo una libertà sociale, ovvero che l’uomo è libero solo secondo i dettami della società o dello Stato, non intendono che la società stessa non è quella genera la natura umana, essa piuttosto dà origine alla società e questa allo Stato.

Ancora più preciso appare il documento pontificio a proposito della libertà della singola persona e dei governanti là dove precisa che “ Nella società umana la libertà nel vero senso della parole, non è riposta nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna. D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannose e deleterio per lo Stato”.

Con precisa intenzione Leone XIII si richiama alla visione del diritto di san Tommaso d’Aquino, che vede per le leggi umane sempre il costante richiamo alla legge eterna, quella di Dio. Infatti, in uno stato dove la libertà sia considerata solo come la possibilità dell’uomo di fare quello che vuole, temprandola solo con leggi che in qualche modo sono accettate dalla maggior parte, finisce per accettare un concetto d’origine rousseiana, dove la maior pars governa non ad bonum, ma semplicemente perché ha una maggioranza quantitativa, che si esprime richiamandosi magari ai cosiddetti diritti umani. Cfr. D, Castellano, Razionalismo e diritti umani, op. cit., part. p.31 e nota 35).

La libertà è per sua natura “essa non è altro che la facoltà di scegliere i mezzi idonei allo scopo che ci si è proposti, poiché chi ha la facoltà di scegliere una cosa tra molte è padrone dei propri atti. Invero, poiché ogni cosa che sia assunta come causa di desiderio, ha carattere di bene che prende il nome d’utile, il bene è tale per natura in quanto sollecita un desiderio e perciò il libero arbitrio appartiene alla volontà, o piuttosto è la volontà stessa, perché nell’agire ha facoltà di scelta. Ma la volontà non si manifesta, se prima non si accese la cognizione intellettuale, quasi come una fiaccola; cioè, il bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto riconosciuto tale dalla ragione. Tanto più che in tutti gli atti volontari, la scelta è sempre preceduta dal giudizio sulla verità dei beni e sul bene da anteporre agli altri. Nessun filosofo dubita che l’atto di giudicare appartenga alla ragione e non alla volontà. Dunque, se la libertà è tutt’uno con la volontà che per sua natura è desiderio sottomesso alla ragione, ne consegue che anch’essa, come la volontà, inclini al bene conforme a ragione.

Sennonché, poiché entrambe le facoltà sono lontane dalla perfezione, può accadere, e spesso accade, che la mente proponga alla volontà ciò che in realtà non è affatto un bene, ma ha solo un’apparenza di bene e che ad esso la volontà si adegui. Ma come la possibilità di errare, e l’errare di fatto, è un vizio che denuncia l’imperfezione della mente, similmente l’appigliarsi a beni fallaci e apparenti è una prova di libero arbitrio, come la malattia è prova di vita, e tuttavia denota un vizio di libertà. Così la volontà, in quanto dipende dalla ragione, quando desidera alcunché di difforme dalla retta ragione, inquina profondamente la libertà e fa un uso perverso di essa”.

Un’analisi questa precisa e puntuale, che considera la libertà dell’uomo come una sua dignità, ma una dignità capace di dipendere da Dio ed essere soggetta alla Sua volontà ovvero la libertà è facoltà di accettare il Bene e di tradurlo bene in ogni atto umano, leggi statali comprese.

Il liberalismo e lo stesso comunismo, oggetto di riflessione da parte di Leone XIII, che negano la dimensione trascendente della verità, negano con ciò la stessa libertà, così come la negano oggi tutte quelle posizioni che ritengono che la vita dell’uomo si consumi solo nella dimensione mondana o in un’esistenza dove la ricerca di un qualche significato sia affidata alla solitudine del singolo individuo, che agisce per volontà senza ragione e solo in relazione alle circostanze o storiche o del proprio tempo.

Le affermazioni di Leone XIII sono rimaste costanti nella riflessione della Chiesa cattolica e ad esse molte volte ci si è richiamati successivamente sia in modo esplicito sia implicito e riecheggiano anche nella già ricordata costituzione del Concilio Ecumenico Vaticano II Gaudium et spes, come nelle parole di numerosi altri pontefici romani. Inoltre esse hanno la capacità di stimolare ad un’attenta considerazione intorno alla libertà proprio nei nostri tempi, perché quando si parla di libertà non si può non incontrare anche il tema della verità, perché è questa che ci rende liberi. La “ religione cristiana, afferma il vescovo S.B. Cazzaro (Fede alla deriva, s.l. e s.n., 2013, p.228), e la Chiesa cattolica non tolgono la libertà, ma insegnano a usarla bene. E’ come la segnaletica stradale, che non toglie la libertà al viandante, ma indica la strada giusta per arrivare ad un determinato luogo!” e questo luogo è la verità e il bene.

 

Conclusione

Le encicliche che abbiamo preso in considerazione, in particolare quelle di Leone XIII ribadiscono la costante dottrina della Chiesa, che trova il suo fondamento nella sua stessa storia a partire dalla predicazione evangelica – la verità vi renderà liberi – e pone alla nostra epoca l’esigenza di interrogarsi proprio sulla verità. Non vi è libertà là dove vi sia solo l’arbitrio del singolo o il puro piacere inseguito e voluto senza autentica relazione con gli altri esseri umani nella società e nello Stato, o dove la volontà del momento o quella quantitativa, seppur di maggioranza, prevale e magari si fa legge di uno Stato o ed è ancor peggio, lo Stato detta le norme per la coscienza. La libertà è inalienabile, perché essa costituisce l’uomo e la sua dignità, ma questa è autentica se è capace di scegliere il bene alla luce della propria ragione e dell’intelligenza divina, diviene oggetto disponibile e quindi alienabile quando è demandata ad un capo, il quale ne può disporre come nelle visioni totalitarie di varia natura.

La posizione del Magistero riprende in modo preciso ed esplicito il pensiero del filosofo Tommaso d’Aquino, che in sintonia con il pensiero aristotelico considera punto apicale della riflessione razionale propria il ragionamento intorno a Dio, ovvero la teologia, che va distinta dalla Sacra dottrina, che è scienza per altro lume. Non mancano però i riferimenti nelle encicliche ad ambiti problematici diversi e riferimenti ad altri pensatori.

La conoscenza di quanto è stato elaborato nell’ambito del Magistero consente di porre anche quell’aiuto scambievole che è finalizzato all’uomo e alla sua dignità. Questa conoscenza è altresì importante per le sue notazioni filosofiche, perché spesso proprio il terreno della filosofia è l’unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la fede cristiana, e quindi può porre in relazione ambiti di riflessione diversi, che dovrebbero sempre essere attenti al bene dell’uomo. Argomentare alla luce della ragione e secondo le sue regole significa anche prendere in considerazione quanto altri ambiti hanno elaborato sugli stessi temi.

Nel tema della libertà può maturare un proficuo dialogo che mettendo in piena e responsabile relazione ragione e fede può potere frutti matura per gli uomini. Così, crediamo di poter esemplificare in senso propositivo, nella libertà s’incontrano gli uomini, stabiliscono mutue e fruttuose relazioni volte al bene personale e del genere. Non vi è autentica dimensione politica se questa non è elevazione del sociale a dimensione morale, perché la società non è, come sosteneva Antonio Rosmini un’aggregazione di corpi, perché l’unione di meri corpi non forma la società, dato che per formarla si esige un’unione di anime intelligenti, che cercano l’approvazione morale delle loro azioni, in qualunque sistema organizzato esse decidano di costituirsi. Ciò non per un appagamento di quanto ciascun cittadino desidera, ma di quello che è effettualmente il bene comune, perché, afferma sempre Rosmini “il governo non può fare nulla di ciò che è contrario alla giustizia.” (A. Rosmini, La società e il suo fine, Milano, G. Boniardi-Pogliani, 1839, pp.81-102).

Infatti, se la democrazia annulla il principio “quod principi placuit lex est”, nessun cittadino può affermare “quod mihi placuit lex est”. Proprio da quest’ultima richiesta nasce quella democrazia sociale, che è negazione della libertà nel mentre l’afferma. Se la libertà è scelta razionale del bene, la libertà come volontà singolare diviene una libertà che si definisce solo con se stessa e si pone in quel razionalismo dove si esercita la libertà con il solo criterio della libertà. Già Pio Vi nel discorso al Concistoro del 17 luglio 1793 affermava:” Questi perfidissimi filosofi osano ancora di più: dissolvono tutti quei vincoli con i quali gli uomini si uniscono tra loro e ai loro superiori mantenendosi nel compimento del dovere. E vanno gridando e proclamando fino alla nausea che l'uomo nasce libero e non è sottomesso all'imperio di nessuno e che di conseguenza la società non è altro che un insieme di uomini stupidi, la cui imbecillità si prosterna davanti ai sacerdoti dai quali sono ingannati, e davanti ai re dai quali sono oppressi; sicché la concordia tra sacerdozio e impero non è altro che una mostruosa cospirazione contro la libertà dell'uomo. A questa falsa ed ingannevole parola libertà, questi tracotanti padroni del genere umano ne agganciarono un'altra egualmente fallace: l'uguaglianza”.

In queste società, se ancora possono chiamarsi tali, non vi è alcun dovere, né aspirazione morale, dove la libertà, la dignità umana, la giustizia e la pace siano la prospettiva del bene. Proprio in questa prospettiva, ad esempio, il bene della pace è un bene che realizza la libertà di tutti i popoli e la dignità di ciascuno ed essa deve essere posta alla base, un a priori della vita umana, in modo particolare proprio da coloro che si professano cristiani, in virtù del fatto che Gesù Cristo indica se stesso come la pace. (Cfr. Erasmo da Rotterdam, Pace e guerra, a cura di I. F. Baldo, Roma, Salerno Ed., 2004.) Quando un popolo, infatti, costituisce uno Stato in esso il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri, e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui, proprio perché nell’esigenza di questa realizzazione è importante ricordare che lo Stato stesso è e deve restare una strumento per l’uomo, non un arbitrio di un individuo o di una parte, ma sovra ogni umana costruzione vi deve essere la capacità di essere liberi e a tale fine, che parte del riconoscimento della dignità umana come creatura di Dio, ciascun uomo è impegnato per sé e per gli altri, secondo il precetto evangelico, l’unica grande legge, ama Dio e il prossimo tuo.

 

(Testo in parte tratto da I.F. BALDO, Cristianesimo e culture, Vicenza, Il Sileno 2007, pp.87-120; per gentile concessione dell’Editore)



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