NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il grillo parlante: I libertini: la libertà diventa “libertina”

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante: I libertini: la libertà divent

Parte XV

Introduzione

La Riforma della Chiesa cristiana d’occidente iniziata da M. Lutero non si restrinse, come pure voleva il monaco agostiniano, al solo ambito della fede e delle istituzioni ecclesiastiche, ebbe riflessi in ogni campo ed in particolare sulla nuova concezione dell’uomo che propose. La svolta luterana è una svolta antropologica oltre che religiosa; infatti, l’uomo è solo davanti a Dio, egli è un individuo che è solo se stesso. La comunità non ha una precisa consistenza nella sua vita, è ricondotta al solo ambito politico e non a caso in questa situazione vi sarà il maggior dibattito intorno alla libertà, che assumerà sempre più importanza nel contesto giuridico e non in quello della realtà della persona. Dio predestina l’individuo ed egli non gode di un’autentica libertà; solo la Grazia di Dio e non quanto l’uomo compie anche nella fede incide nel destino assegnato. Nella comunità politica il potere, stabilendo le leggi, garantisce il margine d’azione, che non è libera, ma permessa. Nemmeno l’affermazione dei diritti naturali, tanto cara a J. Locke, è un’autentica affermazione di piena e totale libertà per l’uomo. Egli è circoscritto da questi stessi diritti e dalle leggi che il potere sovrano, non importa di quale natura, stabilisce.

 Di contro l’affermazione della Chiesa Cattolica di una totale libertà dell’uomo, come coscienza del bene e rifiuto del male con l’aiuto, possibile, santificante di Dio, la Grazia, è considerata come una pura affermazione teorica, perché i fedeli debbono essere sempre e comunque soggetti all’autorità ecclesiastica, che stabilisce in nome di tutta la comunità ciò che deve essere creduto e ciò che è bene. Non è ammessa opposizione. Non si tratta di quanto un singolo fedele può ritenere, ma della possibilità della divulgazione di quanto egli sostiene senza validazione dell’autorità del Magistero, che si fonda sulla Sacra Dottrina e la Tradizione. Di questo ne sono esempio Giordano Bruno e Galileo Galilei, che opposero ragioni diverse a quelle stabilite dalla Chiesa. Questa una visione che non tiene presente che il problema dell’eresia, non investe la libertà della coscienza, semmai la presunzione che il proprio individuale pensiero debba essere necessariamente quello dell’intero. Quanto poi al “caso Galilei” si dovrebbe andare più alla radice degli stessi problemi scientifici posti dal matematico e alla sua visione di fede cristiana, mai negata, che non alle letture “sociologiche” di qualche drammaturgo tedesco. Ma non è questa la sede per ricordare che in Galileo non vi sono intenti rivoluzionari di tipo marxista né negazioni della verità di fede.

 Certo sia Bruno sia Galileo sono testimoni di un’epoca di grandi cambiamenti e di difficoltà e a ciò nona sfugge nemmeno B. Pascal. Anzi il pensatore e scienziato francese diviene quasi il simbolo di una fede arroccata e incapace, secondo i detrattori, di cogliere il vero senso della capacità della ragione d’essere l’unica determinante guida dell’uomo.

 Contro l’ésprit de finesse pascaliano prende corpo nella Francia una corrente di pensiero che sostiene l’autonomia della ragione, anzi essa è l’unico possibile referente della realtà umana e questa è intesa come possibilità d’emancipazione contro ogni autorità. In primis chiaramente quella ecclesiastica, ma anche quella politica è oggetto di serrata critica. L’uomo non può che riferirsi alla propria ragione, essa è il tribunale della sua stessa vita e non è una ragione astratta, universale, ma la mia, perché con questa io, individuo, ho a che fare. È la prima e radicale affermazione che l’uomo ha un unico referente: la ragione e che per affermare ciò egli deve affrancarsi completamente da qualsiasi altro riferimento. L’uomo si è liberato, è questa liberazione è frutto del suo stesso volere. L’uomo è un liberto, ossia da schiavo delle ragioni altre da sé, si autoafferma con le proprie. Nasce il libertinismo che è il primo genitore dell’illuminismo /(cfr. E. Mastrogiacomo, Libertinismo e lumi: André-François Boureau-Deslandes (1689-1757), Premessa di G. Paganini, Napoli: liguori, 2009) e di quella visione, che non è certo oggi sopita, si pensi al neoilluminismo italiano di Nicola Abbagnano (1901-1990), Giulio Preti (1911-1972) e in qualche misura anche il filosofo vicentino Mario dal Pra (1914-1992)e altri (cfr. F. Minazzi, Il problema della ragione nel dibattito del neoilluminismo italiano: (il contributo di N. Abbagnano, L. Geymonat e M. Dal Pra), S.l. s.n. 1991), e Il neoilluminismo italiano: cronache di filosofia, 1953-1962, a cura di M. Pasini e D. Rolando, Milano, Il Saggiatore, 1991). Immanuel Kant (1724-1804) darà la più lucida definizione di questa corrente di pensiero nel breve saggio Risposta alla domanda: che cosa è l’illuminismo del 1784.

 Ripercorrere le affermazioni del filosofo tedesco, che certamente “libertino” non fu, fa comprendere sia l’illuminismo sia la sua matrice, il libertinismo, che non ha strettamente unitarie, perché è più un “atteggiamento filosofico” che non una comunione di pensieri.

 Lasciamo parlare I. Kant:

“L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza - è dunque il motto dell'illuminismo.

 La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall'etero-direzione (naturaliter maiorennes), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l'intera vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. È tanto comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero per me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno dì pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l'alta sorveglianza sopra costoro.

 Dopo averli in un primo tempo instupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole….”

 Certo, come abbiamo sopra riferito l’illuminismo godrà di maggior successo, rispetto al libertinismo, per la fama maggiore dei suoi esponenti, per le modalità con cui operò e per il successo, anche popolare che ebbe, ma le sue radici sono tutte nel pensiero di coloro che per primi non posero la libertà a fondamento dell’uomo, ma la liberazione da ogni vincolo sia teoretico sia morale e sono gli autentici anticipatori di quella visione della libertà come pura volontà individuale che a partire dal secolo XIX inizierà ad affermarsi e che oggi è la più nota definizione di libertà stessa.

 

Il Libertinismo

“Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.” (D.A.F. De Sade)

 

Con il termine “libertinismo” si suole designare una corrente di pensiero che si sviluppò in Francia a partire dal Seicento e in opposizione alla visione della fede cristiana e alla gerarchia ecclesiastica e politica, ma il termine serviva nel Cinquecento ad indicare anche una corrente riformata, che sosteneva l’impossibilità di peccare per coloro che sono salvati da Dio. Furono indicati e combattuti anche con l’appellativo di “anabattisti” e assimilati ai libertini e ai nicodemiti da Giovanni Calvino (Contro nicodemiti, anabattisti e libertini, in ID, Opere Scelte, Torino, Claudiana, voll. 2).

I libertini o gli esprits forts nascono dalla rivalutazione del pensiero aristotelico operata nel Cinquecento, in particolare nell’ambito dell’Università di Padova (E. Troilo, Averroismo e aristotelismo padovano, Padova, Cedam, 1939 e A. Poppi, Introduzione all'aristotelismo padovano, Padova, Antenore, 1991) con Pietro Pomponazzi (1462 –1525) il quale con il suo scritto Tractatus de immortalitate animae, del 1516, afferma, sulla scorta anche di alcune tesi del filosofo arabo Averroè (1126 – 1198) che l’anima non può essere dimostrata razionalmente e ciò concludeva alla tesi che la stessa non fosse immortale. La posizione fu giudicata eretica e solo l’influenza del Cardinale Pietro Bembo gli evitò le più terribili conseguenze. La tesi era svolta nel momento in cui la Chiesa affrontava il problema luterano e una prospettiva antitomistica non era certo ben accetta. Con Cesare Cremonini (1550–1631) l’Aristotele redivivus, l’amico di Galilei che si rifiutava di guardare nel telescopio, la tesi della mortalità dell’anima ebbe ulteriore approfondimento, anche se il suo sostenitore fu certamente più abile di altri a sfuggire alle conseguenze che poteva subire.

La rivalutazione della filosofia naturalistica è l primo passo, operata da Bernardino Telesio (1509 –1588) e soprattutto da Giordano Bruno (1548 –1600), assurto ad emblema, in particolare nella visione massonica, dell’opposizione alla Chiesa cattolica in nome della libertà, e una rivalutazione del pensiero di Epicuro e della sua filosofia naturale, atomistica e materialista, nonché dello scetticismo antico di Pirrone ((365 a.C. circa – 275 a.C. circa), il quale sosteneva l'impossibilità della conoscenza delle cose nella loro intima natura (acatalepsia) e che avrà nel filosofo inglese D. Hume (1711-1776) la sua più importante espressione filosofica moderna, inizierà il movimento libertino. La mitigazione dello scetticismo operata da M. de Montaigne (1533-1592) che introdusse la necessità di una sospensione del giudizio (epoché), poiché la conoscenza umana era limitata, non ebbe successo.

Molti ambiti filosofici concorrono a formare quella che possiamo chiamare una mentalità, quella “libertina”, che può essere considerata il collegamento tra il pensiero rinascimentale e l’illuminismo, anche se non ebbe un grande sviluppo nell’ambito scientifico, data la sua posizione ancorata all’aristotelismo, piuttosto che ai risultati della rivoluzione scientifica del già ricordato C. Cremonini, ma anche l’aristotelico Antonio Rocco (1586 – 1653) il quale con il suo saggio Esercitationi filosofiche di d. Antonio Rocco filosofo peripatetico. Le quali versano in considerare le positioni, & obiettioni, che si contengono nel Dialogo del signor Galileo Galilei Linceo contro la dottrina d'Aristotile, Francesco Baba, Venezia 1633, combatté, in nome dello Stagirita il matematico pisano.

La prospettiva del libertinismo è quella del rifiuto d'ogni autorità, come abbiamo più volte ricordato e l’affermazione che la religione è un’impostura volta ad assoggettare il popolo al potere dominante, quasi un anticipazione del famoso “oppio dei popoli” di K. Marx. L’uomo deve riferirsi alla sola sua ragione, non vi possono essere dogmi e questa posizione fu sostenuta in particolare da

Giulio Cesare Vanini (1585-1619), di formazione patavina e Théophile de Viau (1590-1626), poeta francese. Il primo, frate carmelitano, nel suo testo del 1615 Amphitheatrum aeternae Providentiae Divino-Magicum, ultima edizione Galatina, Congedo, 1979, cerca in apparenza difende il dogma cattolico, ma in realtà lo canzona, Possiamo considerarlo quasi un anticipatore del testo di L. Feuerbach (1804-1872), L’essenza del cristianesimo del 1841.

 

Il grillo parlante: I libertini: la libertà divent (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Accanto a questa prima fase, la successiva vede impegnati diversi esponenti della cultura francese che cercano anche un appoggio politico per le loro tesi. Tra loro si annoverano François La Mothe le Vayer (1588-1672), Gabriel Naudè (1600-1653) e lo stesso presbitero, l'abate Pierre Gassend, detto Gassendi (1592 –1655), che affiancò alle posizione libertine, un vero interesse per la ricerca scientifica, era professore di matematica al Collège Royal. Criticò l’aristotelismo, un carcere per il sapere, e promosse il valore della ricerca sperimentale. Nel 1621 fu il primo a fornire una descrizione scientifica del fenomeno luminoso dell'atmosfera che egli denominò “aurora boreale”, partendo dall'osservazione. Entrò in polemica con Galileo a proposito della verifica sperimentale sulle legge della caduta dei gravi (De proportione qua gravia decidentia accelerantur del 1646); e criticò il razionalismo astratto di Cartesio. Rivalutò il pensiero atomistico d’Epicureo in particolare la concezione del “vuoto”: cercò anche di conciliare il cristianesimo con la visione atomistica, attenuandone l’aspetto materialistico. Infatti, e gli considerava che la struttura dell’universo fosse atomistica, ma la sua origine derivata, ossia creata da Dio. Gli atomi, quasi! ”operatori di Dio” sosteneva, quasi anticipando il cosiddetto “disegno intelligente” noto come creazionismo scientifico, ma certo senza quella consapevolezza con cui quest’ipotesi fu affermata ma che l'American Association for the Advancement of Science e la National Science Teachers Association bollarono di “pseudoscienza”, più come presa di posizione ideologica a favore dell’ipotesi evoluzionistica, che non di dibattito filosofico e scientifico che riflette sulla causa prima dell’universo. (cfr. S. Zoli, Europa libertina tra controriforma e illuminismo, Bologna Cappelli, 1989) La filosofia di Gassendi ebbe buona diffusione in Italia, soprattutto presso le Accademie del Regno di Napoli.

In realtà il libertinismo di Gassendi è più una prospettiva antidogmatica in campo religioso che non quella visione che del movimento abbiamo ancor oggi, che ha invece nel testo, apparso anonimo nel 1659 Theophrastus redivivus, contenente un immane compendio delle opinioni filosofiche sostenenti l’ateismo e la materialità dell’anima. L’autore che forse meglio di qualunque altro assomma in sé tutte le caratteristiche della nuova temperie culturale (critica alla religione, difesa del materialismo e della mortalità dell’anima, attacco ai miracoli) è Cyrano de Bergerac. Anche in Italia ci fu una grande diffusione di scritti e associazioni libertine: il più celebre scrittore e filosofo libertino italiano è il già citato Giulio Cesare Vanini (1585 –1619), che afferma la necessità di seguire solamente le leggi di natura e fu considerato ateo, in realtà egli opera un sincretismo tra varie prospettive filosofiche, N. Cusano, P. Pomponazzi, G. Bruno, G. Cardano e altri. A Venezia fu fondata dal Loredano l’Accademia degli Incogniti di cui facevano parte Cesare Cremonini e Ferrante Pallavicino Echi si ebbero anche a Padova con Carlo De’ Dottori, cfr. G. Pellizzari, Umori libertini, autobiografismo e fenomenologia dell'amore nell'Alfenore di Carlo de' Dottori, in AA.VV., Carlo de' Dottori e la cultura padovana del Seicento: atti del Convegno di studi, Padova, La garangola, 1990.

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Teatro delle Muse di Ancona: W. A. Mozart, Don Giovanni, allestimento di P.L.Pizzi

 

DON GIOVANNI: il libertino

Diversi e non sempre in sintonia tra loro, sono i pensatori “libertini”, che esprimono più un atteggiamento che non un’identità, ma senza dubbio una figura quasi paradigmatica emerge: è quella di Dom Juan (don Giovanni), il personaggio della inventato da Jean-Baptiste Poquelin più noto con lo pseudonimo di Moliére (1622-1773) che divenne il commediografo di corte di Luigi XIV. Nella commedia tragica la figura di don Giovanni è quella del libertino ed è ripresa da quella ideata dal frate spagnolo Gabriel Téllez, con lo pseudonimo di Tirso de Molina (1584 –1648) nel testo El Burlador de Sevilla y Convidado de Pietra, edito nel 1630. Il personaggio Don Juan Tenorio avrebbe dovuto servire a monito contro ogni trasgressore della legge di Dio e della morale. Il testo ebbe grande successo e fu ripreso da molti scrittori, oltre il già citato francese, anche da George Gordon Byron, Aleksandr Sergeevi Puškin, José Zorrilla, José de Espronceda o ancora José Saramago e nel XX secolo fu occasione di diversi film a partire dal 1916 con la regia di Edoardo Bencivenga e l’ultimo è del 2009 per la regia di Carlos Saura.

Ebbe anche trasposizioni musicali tra cui uno di Ch.W. Gluck e V. Righini, R. Strauss e altri ma la sua fama fu consacrata dal capolavoro di W.A. Mozart su libretto di Lorenzo da Ponte. Don Giovanni per raggiungere e soddisfare la sua brama di “femmine” non esita di fronte a nulla, nemmeno l’assassinio gli è sconosciuto. Non ha remore d’alcun genere, nemmeno per la giovane sposa, Zerlina. Nemmeno le fiamme dell’Inferno gli fanno paura. La dannazione “ è il fin di chi fa mal:/ e de' perfidi la morte/ alla vita è sempre ugual!”, ricorda Da Ponte ed è monito a tutti a “trovar padron migliore “.

 

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Teatro alla Scala di Milano, G. Verdi, Rigoletto, il duca di Mantova, 1912

 

Simile e poco ricordato come personaggio libertino nel melodramma italiano è il Duca di Mantova nel Rigoletto, testo di Francesco Maria Piave e musica di Giuseppe Verdi che ben esprime l’identità irrisione di ogni morale:

”Questa o quella per me pari sono…

La costanza, tiranna del core,

detestiamo qual morbo crudele;

sol chi vuole si serbi fedele;

non v’ha amor, se non v’è libertà.

De’ mariti il geloso furore,

degli amanti le smanie derido;

anco d’Argo i cent’occhi disfido

se mi punge una qualche beltà...”.

Questo il modello del libertino che andrà affermandosi nella storia più che i pensatori, un trasgressivo che erige a norma della sua vita la negazione di ogni dovere/valore.

In realtà altri autori dobbiamo considerare per comprendere appieno che il libertinismo ha prospettive di nuovi orizzonti “ Il libertino si affranca da tutto ciò che è fede, credenza, e concede la sua fiducia a ciò che è dimostrabile, verificabile.“ (M. Onfray, L’età dei libertini, tr, it. G. De Paola, Roma, Fazi Ed., 2009 p.9). E uno sviluppo della visione cartesiana “chiara e distinta” del mondo, dove Dio, non negato serve, come sosteneva Pascal a “ dare un colpetto per mettere in movimento il mondo: dopo di che, non sa che farsi di lui.” (Pensiero n.51). (cfr. anche D.Foucault, Storia del libertinaggio e dei libertini, tr. it. M. Matullo, Roma, Salerno, 2009)

René Pintard aveva già dal 1943 messo in luce nei suoi studi (cfr. Le libertinage érudit dans la premiére moité du XVIIe siècle, Paris, Boivin, 1943, 2 voll.) come il fenomeno libertino sia una sorta di ribellione morale alla legge, alla tradizione stantia, a ciò che non permette all'uomo di liberare la sua creatività. L’uomo “libertino” è colui che non deve rispondere a nessuno su quello che pensa ed opera. Egli erige se stesso, stabilendo che “ciò che si può essere, è”, come ben affermerà Max Stirner due secoli dopo, quando riterrà che proprio la Chiesa, lo Stato soprattutto, ogni altra prospettiva “comunitaria” sia di per sé negativa, in quanto ostacola la dimensione creativa dell’individuo, ed espressione di questa negazione, è la negazione, come dirà S. Freud e soprattutto H. Marcuse: “ La civiltà si base, in Freud, sulla repressione degli istinti, procede in base a questa repressione, e si nutre di essa, imponendo all’individuo sacrifici sempre maggiori. La società accresce la sicurezza materiale, la produttività e l’ordine, ma impedisce al singolo la piena esplicazione delle tendenze erotiche e ne incanala gli istinti distruttori sottraendogli in definitiva, con queste energie, anche la libertà […] Ogni civiltà è dunque repressiva.(G. Jervis, Introduzione a H. Marcuse, Eros e civiltà, tr. it. L. Bassi,, Torino, Einaudi, 1964, p.23).

Il grillo parlante: I libertini: la libertà divent (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

H. Marcuse

 

Il libertinismo in diversi autori che esamineremo propone proprio una “ liberazione” anche da quella libertà che è richiamata formalmente, ma non realizzate dalla civiltà e dal dominio istituzionale. (cfr. H. Marcuse, Eros e civiltà, op. cit., p.127). Manca certamente al libertinismo quella prospettiva, cara invece a Marcuse, di una liberazione in prospettiva freudiano-marxista, ma la carica antiautoritaria, antistatale nonché antiecclesiale è presente.

 

 

[continua]

 

nr. 17 anno XIX del 3 maggio 2014



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