NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Quando il suono diventa ancestrale

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Tell me more

Tell me more (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)La necessità di esprimere la propria coscienza di esseri umani da parte dell’uomo è documentata dai dipinti rupestri, come lo stampo delle mani, pitture antichissime. Purtroppo per il canto non abbiamo documentazione. hai fatto delle ricerche riguardo a delle ipotesi possibili di una tracciatura evolutiva o storica di qualche tipo, riguardo al canto?

“La cosa che a me più affascina da questo punto di vista, in realtà, è il legame con il battito del cuore, nel senso che non sono andata scientificamente e storicamente indietro perché approcciarsi ad un coro significa avere qualcuno che ha già una storia incredibile e lunghissima, quindi se io arrivavo portandone un’altra, diventava molto difficile iniziare a costruire. Invece io ho cercato di arrivare con pochi elementi e chiari: sono 8 e sono persone che prima di venire alle prove lavorano, arrivano qua e in due ore devono arrivare ad uno punto, sempre, ad ogni prova. Quindi, almeno per adesso, non ho voluto aumentare il carico”.

A livello concettuale è un lavoro articolatissimo.

“Sì e quindi ho avuto bisogno di non aggiungere altro. Adesso invece è il momento in cui mi sento più pronta e libera per far entrare nuovi elementi e nuovi studi”.

I cantanti si muovono all’interno dello spazio del Garage Nardini mentre cantano. Come hai strutturato il rapporto tra coreografia e canto sul piano drammaturgico (se c’è un piano drammaturgico perché è un lavoro assolutamente non descrittivo)?

Tell me more (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Adesso come adesso non ti so bene ancora rispondere, nel senso che ci sono tanti elementi che per ora non ho ancora messo insieme. In questo caso la ricerca a livello coreografico è stata molto embrionale, quindi cerchio, postura eretta, movimento libero, sempre con dei vincoli che andavano a colpire le piccole abitudini. Per esempio, loro hanno l’abitudine che se sono in difficoltà chiudono gli occhi: l’avevo limitata a tre volte, ti avvicini per usare una cassa di risonanza. Vi abbiamo resi partecipi di una sorta di pratica che noi abbiamo strutturato lentamente in questi incontri. Il dialogo è stato fondamentale perché a me non interessava, in questo momento, approcciarmi a loro come un’entità che esegue qualcosa che gli dò, io volevo veramente trovare un nostro mondo, farmi assorbire, andare in crisi: ogni incontro sono due ore, quindi arrivare lì con le idee chiarissime, arrivare esattamente al punto che mi interessava, loro andavano via e io dovevo rielaborare quello che c’era. Hanno delle vite molto impegnate e comunque hanno anche un altro tour come coro e una tournée con un coro di 30 elementi e volevo anche essere sicura che loro fossero contenti perché già gli faccio una proposta molto particolare e forte”.

Nelle tue intenzioni l’opera finita quanto durerebbe?

“Non più di 40 minuti”.

Lavori all’estero e hai lavorato anche alla Biennale. Secondo te lo “spirito” di queste città influisce sulla percezione del pubblico? Il visitatore che viene a Venezia si aspetta una certa cosa, a Madrid si aspetta un’altra cosa. c’è una forma di “pregiudizio” culturale nei confronti di queste grandi città d’arte?

“A Madrid, quando ho presentato un piccolo abbozzo di studio, ero “quella italiana”e quindi c’era molto questa idea che io avrei fatto un lavoro esteticamente forte. Effettivamente non avevo il coro, ho lavorato molto sull’immagine, che è un’altra parte. Ad un certo punto le due parti si dovranno incontrare, per adesso sono andate avanti divise. A Venezia lavoravo come performer di Rodrigo Garcia e la gente io non l’ho vista perché noi eravamo tutti incappucciati per cui non vedevo nessuno, vedevo le mani, per ciò onestamente non ti so bene dire chi sia venuto, sicuramente in quel caso, lavorando con un artista che è abbastanza conosciuto per essere radicale, è venuto un pubblico o che era molto interessato al suo lavoro o che era molto critico, non è venuto uno pubblico neutrale in quel caso, però ero talmente legata all’artista che non mi sento di dire niente rispetto al pubblico di Venezia, in generale, perché non ne ho avuto un’esperienza neutrale ma molto particolare e specifica”.


nr. 20 anno XIX del 24 maggio 2014

Tell me more (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

 



 

 



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