NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il Centenario della nascita del filosofo vicentino Mario Dal Pra

di Italo Francesco Baldo

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Il Centenario della nascita del filosofo vicentino

Nel panorama filosofico italiano della seconda metà del Novecento una posizione di rilievo occupa con certezza Mario Dal Pra, la cui lucidità di pensiero sempre si è accompagnata alla serietà d’impegno civile, fin da quando, giovane professore, prima all’Istituto Magistrale “A. Fogazzaro” e poi al Liceo classico “A. Pigafetta” di Vicenza, impostava sia la propria ricerca intorno a temi che approfondirà per tutta la vita, come quella della relazione tra pensiero e realtà o quello dell’importanza della coscienza e quello dello Scetticismo sia l’impegno civile, che lo portò nell’ambito del Partito d’Azione vicentino e poi all’impegno civile inteso come capacità critica di fronte a qualsiasi aspetto o posizione. Nato a Montecchio Maggiore (VI) nel 1914 Mario Dal Pra, si forma nell’ambiente cattolico vicentino, che trovava nella grande figura del vescovo mons.Ferdinando Rodolfi la prospettiva di riflessione sul cristianesimo e le vicende storiche; dopo aver compiuto gli studi liceali nel Seminario di Vicenza, si laureò a Padova con Erminio Troilo (1874-1968) con la tesi Il realismo e il trascendente, che avrà l’onore della pubblicazione (Padova, Cedam 1937-XV). Nel dopoguerra insegnò a Milano al liceo fino al 1951. Nel 1949 assunse l’incarico d’insegnamento di Storia della filosofia antica all’Università Statale di Milano; dal 1951 passò all’insegnamento di Storia della filosofia medioevale ed infine dal 1956 a quello di Storia della filosofia, che tenne fino alla fine della sua attività accademica. Fu membro di molte Istituzioni nazionali e internazionali, tra cui l’Accademia Olimpica di Vicenza. Molti i riconoscimenti ricevuti. Morì a Milano nel 1992; presso l’Università Statale è conservato sia il suo fondo librario sia quello manoscritto.

La sua eredità filosofica è importante in particolare per la disamina critica del neoidealismo, per l’analisi degli scritti di Logica di Abelardo, del pragmatismo e del marxismo con particolare riferimento al problema della riforma della dialettica hegeliana compiuta da Marx nel periodo della sua attività filosofica (1835-1846) ed infine per quelli sul neopositivismo. Autore fecondo, la sua bibliografia abbraccia tutti i periodi della storia della filosofia con una costante attenzione alla parola dei filosofi più che a quella degli interpreti o degli ideologi. Mario Dal Pra aveva, antesignano, compreso l’importanza di preparare gli insegnanti di filosofia con rigore e con grande attenzione, affinché costoro potessero costruire per i loro allievi le basi del discorso filosofico e così poter incontrare al meglio proprio la storia della filosofia, come ben evidenzia il suo scritto Amore di sapienza. Avviamento elementare allo studio della storia della filosofia e della pedagogia (Tipografia Comm.le Ed., Vicenza s.d., ma del 1937, stante la dedica autografa nel frontespizio che l’Autore fece come “devoto omaggio” nel donare l’opera alla Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza il 27-2-37-XV. Proprio di quegli anni è anche l’attenzione al problema educativo, come ben dimostra il suo L’educazione della persona umana, in AA.VV., Aggiornamento e preparazione professionale del maestro, Off. Tipografica Vicentina 1942-XX, pp.1-48, dove è contenuta la sua prospettiva educativa, a pagina 3 infatti precisa “L’educazione tende alla formazione integrale della persona umana.”. Sul tema della formazione e dell’educazione ritornerà successivamente più volte anche in relazione agli Esami di Stato (AA.VV. L’Esame di Stato nella scuola italiana, a cura di M. Dal Pra, la Nuova Italia, Firenze 1962 e L’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria superiore, “Riv. Critica di storia della filosofia” 33(1978), fasc.IV, pp.452-456) Fu partecipe attivo anche della riflessione sulle vicende della vita sociale, ma sempre con una grande attenzione a denunciare le rigidità intellettuali e le visioni politiche interessate solo a aspetti particolari, come ben dimostra il suo intervento nel volume Pensare Milano. Intellettuali a confronto con la città che cambia (a cura di M. Bertoldini e Maria, Guerini, Milano, 1992).

L’itinerario speculativo del filosofo vicentino e milanese di adozione è complesso e rivela una personalità attenta a coniugare l’analisi storica con gli aspetti problematici che via via vengono affrontati. Dal Pra assunse inizialmente, ma in modo originale, la posizione del maestro E. Troilo, che partito da posizioni positiviste, era allievo di R. Ardigò, si era avvicinato alla formulazione metafisica dei problemi, definendo la sua una visione un “realismo assoluto”, legato a G. Bruno, B. Spinoza e avvicinandosi talora anche alla posizione plotiniana. Il giovane filosofo coniuga la posizione originaria di un realismo ontologico con una visione immanentistica, capace di unire l’aspetto cognotivistico con quello etico-religioso. In questa prospettiva è in costante dialogo critico con le posizioni di Benedetto Croce, che apprezza, e mostra di saper dialogare pure con l’altro grande maestro dell’idealismo italiano Giovanni Gentile. Delle prospettive filosofiche, allora dominanti in Italia, è quella di Croce che sente di dover approfondire cioè quella relazione tra assunzione dell’Assoluto e dimensione immanente che è ben evidenziata nella tesi di laurea: “Ecco perché possiamo concludere che l’unico vero Assoluto che abbia valore di realtà, di conoscenza, di vita, di etica e di religione, è l’Assoluto trascendente ed immanente ad un tempo; l’Assoluto causa del mondo e distinto dal mondo: Dio.” (Il realismo e il trascendente, p.159), nella prospettiva che “l’alone stupendo di questo mondo è l’amore.” (Ivi, p.166). e per questo il mondo perde la sua tragicità enigmatica ed oscura unicamente se si riesce a cogliere l’assoluto quale infinito fosforescente pulsante nel finito. Riflette anche sul cristianesimo primitivo e la catechesi, pubblica la traduzione della Didachè (tipografia Com.Le Editrice, Vicenza 1938. Degli inizi della ricerca filosofica di Dal Pra di particolare rilievo è la collaborazione con diversi articoli alla rivista cattolica, preparata a Verona, “Segni di tempi”, sottotitolo “ Rivista integralista dei valori spirituali”, edita da La Fiaccola di Fidenza, ne divenne Redattore e Vicedirettore nellepoca in cui anche don Primo Mazzolari vi collaborava. Paolo Bonatelli era il Direttore della rivista; era figlio del filosofo Francesco (1830–1911) che tenne cattedra di Filosofia all’Università di Padova, egli aveva posto al centro della sua riflessione l’uomo e la sua spiritualità contro il positivismo materialista, rappresentato a Padova da Roberto Ardigò (1828-1920).

Il Direttore aveva accettato posizioni integraliste e collaterali al fascismo; sosteneva, infatti, nel 1938 che “i principi fondamentali del fascismo traggono linfa vitali da quelli rivoluzionari del cristianesimo cattolico e intendeva analizzare anche le istanze moderne relative alla dimensione del soggetto. La rivista aveva come motto la frase di Mussolini:” Chi non è pronto a morire per la propria fede, non è degno di professarla.” A Verona il filosofo vicentino entra in contatto con Giuseppe Zamboni, che lo stimò e la sua filosofia che aveva assunto un impianto ad indirizzo empiristico, detto realismo critico della gnoseologia pura, e con Giuseppe Tarozzi (cfr. M. Dal Pra e F. Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana, Rusconi, Milano 1992, pp.40-69). Nel frattempo Dal Pra sviluppava i contenuti, esposti nella dissertazione dottorale e li esponeva nello scritto Pensiero e realtà (La Scaligera, Verona, 1940-XVIII), dove verrà prospettata una posizione che evidenzia l’importanza speciale del mondo dei valori che si coniugano alla dimensione della persona, non più semplice individuo di un tutto che, come nell’attualismo gentiliano e un po’in tutto l’idealismo. Frutto maturo di queste riflessioni è l’intervento del filosofo sul cristianesimo (Necessità attuale dell’universalismo cristiano del 16 gennaio 1943-XXI) all’indomani della pubblicazione dello scritto crociano Perché non possiamo non dirci “cristiani” (“La Critica” 40(1942) fasc.VI, 20 novembre 1942, pp.289-297). Un intervento quello di Dal Pra che è in stretta connessione con il suo saggio Valori cristiani e cultura immanentistica (Cedam, Padova 1944, che stava in quel tempo preparando e che fu terminato, come ricorda la Premessa il 21 gennaio 1943-XXI. Si noti, per inciso, come nel breve volgere di un anno, cfr. la data della Premessa e quella di stampa, sia cambiato un mondo, da piccoli segni immanenti un assoluto mutare degli eventi! Il 1942 è anche l’anno delle decisioni importanti, Mario Dal Pra è vicino al Partito d’Azione e si attiva nel movimento della Resistenza in “Giustizia e Libertà”, ma dovrà andarsene da Vicenza, trovando a Milano più sicuro rifugio. L’adesione al Partito d’Azione e gli avvenimenti influenzeranno anche le ricerche filosofiche successive, e lo sposteranno in atri ambiti rispetto a quelli giovanili, ma che con quelli avranno comunque una certa connessione.

Nel corso dei decenni successivi le ricerche e le analisi verteranno sulla disamina e l’approfondimento della filosofia nel medioevo (Scoto Eurigena ed il platonismo medioevale, Bocca, Milano, 1941) e in particolare della logica con la pubblicazione degli scritti di logica di Pietro Abelardo (Tip. Com.Le Vicentina, Vicenza 1941 e Roma-Milano, F.lli Bocca 1954). Le prospettive di indagine della natura umana e della scienza, elaborate da D. Hume (Bocca, Milano 1949 e Laterza, Roma-Bari 1984) e dai pensatori dell’età moderna, interesseranno il filosofo. Frutto di questi ambiti di studio è la fondazione, che coinvolgerà anche altri studiosi, del "Centro studi del pensiero filosofico del Cinquecento e del Seicento in relazione ai problemi della scienza" nato nel 1971 sulla base delle attività svolte dal 1964 nell'ambito di un precedente "gruppo di ricerca" del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

La ricerca sui problemi della scienza spinse Dal Pra ad analizzare fin dal 1965 il pensiero di Karl Marx e le sue riflessioni intorno alla dialettica come metodo di ricerca scientifica. Partendo dalla dissertazione dottorale marxiana Differenze tra le filosofie naturali di Democrito ed Epicuro con l’interesse per il rapporto tra l’infinità del tutto in Epicuro che è infinito per l’infinita pluralità degli atomi e l’obiettivizzazione della contraddizione, nel concetto di atomo, tra essenza ed esistenza ed infine l’analisi del rapporto tra coscienza e autocoscienza, tra individuale ed oggettivo, Dal Pra inaugurava un’analisi che trova la sua raccolta più organica ne La dialettica in Marx (Laterza, Bari, 1965 e prima con Il pensiero filosofico di Marx dal 1835-1848, (La Goliardica, Milano 1959, in realtà appunti dalle lezioni raccolti da M.E. Reina), dove viene marcata la sua differenza da quanto affermava Croce in Libertà e Giustizia (in Scritti di varia filosofia, Laterza, Bari, 1945, p.271-272): “Marx nella filosofia dialettica e storica, non fu mai altro che un ricalcatore dello Hegel deteriore; e come lo Hegel aveva pervertito la dialettica storica della libertà in una concezione teologico-metafisica che metteva a capo un ottimo stato, e disconosciuta la libertà sempre vivente e lottante e avversato e spregiato i moti di libertà che si delineavano ai suoi giorni in Europa, così egli costruì una mitologia dello svolgimento storico come sostanzialmente economico, che metteva a capo a un regno dell’eguaglianza, che egli, non si sa perché battezzava della libertà, la quale non poteva avervi luogo come, a suo detto, non vi avrebbero avuto luogo lo stato, la politica, la storia.”

Il pensatore vicentino intravede, invece, un’importante funzione esercitata dal filosofo di Treviri, cioè la sua proposta “di storicizzare le astrazioni; infatti, una volta che le determinazioni più generali sono quelle che appartengono a tutte le epoche storiche, è chiaro che esiste un rapporto fra il grado della loro generalità e il numero delle epoche storiche nelle quali esse trovano riscontro.” (p.298), in fondo una pregiudiziale realistica, frutto dell’analisi dell’immanenza. Tutto ciò per proporre un metodo (cfr. K. Marx, Einleitung. tr. I.F. Baldo e U. Curi, Introduzione di U. Curi, Curc, Padova 1975, pp. 71-86) con il quale poter “costruire una trattazione dell’economia politica, che poggia su due punti fondamentali. Il primo è sempre costituito dalla pregiudiziale antiidealistica di derivazione feurbachiana che gli fa considerare la società borghese come il presupposto reale dell’indagine; la società borghese gli si presenta pertanto come un in sé indipendente dal pensiero e dalle sue funzioni, come un presupposto. A rigore, ciò comporta che tutta la costruzione teorica sia ricavata come analisi dall’interno della realtà stessa e che essa assuma il carattere di una descrizione empirica del presupposto reale e delle sue relazioni (p.325). Ben si nota come la preoccupazione che l’individuale non sia semplicemente un fatto accidentale, ma che esso sia realtà immanente di qualche realtà più generale, l’Assoluto avrebbe detto il Dal Pra degli anni giovanili.

L’interesse per i modi di comprensione del reale e del suo sviluppo, già analizzati dal filosofo con la disamina della logica di Abelardo e ai suoi aspetti problematici intorno alla ricerca scientifica, si accentua nella ultima parte di vita del filosofo con gli studi intorno al neopositivismo e alla costante riflessione sul metodo scientifico d’indagine del mondo empirico e le sue connessioni con la possibilità, peraltro negata, di ogni asserto metafisico o di realtà assoluta.

La sua visione globale del pensiero e della sua storia trovò nella pubblicazione, coordinò una serie di studiosi) di una importante Storia della filosofia (F. Vallardi, Milano e Piccin, Milano- Padova, 1975/76- 1998, voll. 10+1), che aprì gli orizzonti non solo al cosiddetto pensiero occidentale. Di non minore importanza per la valenza pedagogica è il manuale per le scuole (La Nuova Italia, Firenze, varie edizioni, voll. 3) che rispecchia i suoi intendimenti di apertura alla visione globale del mondo del pensiero. Nella sua natale Montecchio Maggiore precisò, quasi testamento teorico, i tre obiettivi principali e dominanti della sua ricerca filosofica in sintonia con le altre correnti filosofiche attive nel mondo contemporaneo (cfr. In onore di Mario Dal Pra, Quaderni della Biblioteca Civica, Montecchio Maggiore 1988, p.10). Il filosofo indicò nell’ordine:1) l’allargamento del tempo storico nelle più varie direzione contro ogni esaltazioni dogmatica ed esclusiva del presente, per un dominio sempre più esteso della storicità e per una concretizzazione sempre maggiore dei suoi prodotti;”2) l’affinamento critico sempre maggiore del compito consocitivo della ragione contro ogni sua assolutizzazione e contro ogni esaltazione unilaterale e parziale dell’esperienza; 3) la valorizzazione critica della prassi e del suo concreto movimento storico, contro ogni assolutizzazione pratica e sociale e contro ogni chiusura dogmatica dell’iniziativa e della libertà.”

Infine ed è quanto mai opportuno ricordarlo, Mario Dal Pra nuovamente in anni difficili, (1990-1992) mostrò la sua capacità di riflessione proprio quando denunciò nel già ricordato Pensare Milano, l’estenuarsi della cultura della città in una visione di stalinismo ideologico, imbrigliata nelle angustie dello hegelomarxismo miniaturizzato in linea De Sanctis-Croce-Gramsci. Apprezzò però i tentativi di uscire da questo contesto con il tentativo di percorrere da parte della Casa della Cultura retta da Rossana Rossanda, nuove strade come il neopositivismo di Giulio Preti o la via fenomenologica di Enzo Paci, ma vide con dolore il restringersi contemporaneo della visione politica in lotta per interessi, che certamente non aprivano ad una prospettiva politica di più ampia visione, come fin da giovane ancora legato al mondo e alla visione cristiana aveva sperato.

Il contributo che più di ogni altro segna l’attività di Mario dal Pra nel momento più decisivo della sua vita è la risposta a B. Croce e di questo testo diamo un’introduzione generale.

Il Centenario della nascita del filosofo vicentino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

 

 

Necessità attuale dell’universalismo cristiano

 

 In un momento decisivo per lo Stato Italiano, il 1942, nel pieno della guerra, dei lutti, dei dolori e delle angosce per il futuro pochi filosofi e come sempre troppi intellettuali, proposero momenti significativi e non di riflessione. In particolare si pose all’interno della cultura filosofica italiana e nell’ambito della politica il problema cristiano. Nell’estate del 1942 esponenti del Movimento guelfo d’azione, fondato nel 1928, all’interno dell’Azione Cattolica (Enrico Falck, Pietro Malvestito, Edoardo Clerici) proposero a A. de Gasperi un impegno per la rinascita del Partito Popolare. Non fu resuscitato l’antico partito, ma nell’ottobre a Milano nasce il Partito della Democrazia Cristiana, fondato da Giovanni Gronchi, Primo Mazzolari, Edoardo Clerici, Pietro Malvestiti, Achille Grandi, cui aderirono solo successivamente Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Gino Lazzati, Giorgio La Pira e anche don Luigi Sturzo. Non nasce questo partito dalle ceneri del Partito popolare, ma dalla ripresa di quelle idealità cattoliche che erano state espresse dalle encicliche di Leone XIII, la Rerum Novarum e la De communi re (dottrina sociale della chiesa) e nella Quadragesimo anno di Pio XI, con il chiaro intento, almeno in alcuni, di evitare quelle confusioni con il socialismo egualitaristico che si erano infiltrate, mentore anche la visione modernista, nei primi movimenti politici che faceva riferimento alle encicliche papali, Basti ricordare don Romolo Murri o il movimento Sillon di Marc Sangnier. Tensione questi che si riprodurranno anche nel neonato partito con le prospettive dei cristiano sociali e di Dossetti e della rinascita addirittura negli anni novanta del secolo scorso del Partito Popolare, e che si sono espresse e in parte ancora si esprimono nella visione populista e classista di certo cattolicesimo sociale, che scambia la carità con l’impegno politico sociale e finisce con il considerare la Chiesa quasi una organizzazione non governativa di solidarietà.

Il tema e le indicazioni operative furono precise per il partito, anche se vi furono personaggi come Carlo Francesco D’Agostino, che, come evidenzia D. Castellano (De Christiana repubblica. C.F. D’Agostino e il problema politico(italiano), Ed. Scientifiche Italiane, 2004, p.35) non accettarono la visione degasperiana che conduceva ad una visione di cristianesimo gnostico “che contiene in sé le premesse per la necessaria secolarizzazione politica” e una vicinanza, evidenziata propria da De Gasperi nel suo primo Discorso dopo la liberazione (tenuto al Teatro Brancaccio di Roma il 22 luglio 1944): “. .lassù sull’erta […] cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita, come Marx, duemila anni fa, egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale, sulla paternità di Dio, e suscitò amori ardenti,, eroismi senza nome, sacrifici fino all’immolazione […] Ebbene bisogna riprendere il cammino, bisogna seguire quella Figura Divina. Non l’avete già incontrato questo Proletario Cristo, col suo dolce sguardo nelle giornate tremende che abbiamo passate di dolore e di tragedia?”

Certamente con queste indicazioni il Partito della Democrazia Cristiana si avviò alla gestione del futuro dell’Italia con l’aggravante finale di finire nella cogestione con il comunismo dello Stato Italiano, ma era questa la visione che la Chiesa cattolica con la sua visione del potere politico e con la sua dottrina sociale voleva? Certamente la Democrazia Cristiana fu accettata anche dalla gerarchia, fu aiutata più per timore dell’avversario storico, il comunismo ateo, che dall’Ottocento l’aveva combattuta, ma fu più contingenza, non accettazione supina. Proprio Pio XII nel Radiomessaggio natalizio del 1942 fornisce indicazioni precise sul rinnovamento della vita sociale e politica, mettendo sempre al centro l’uomo:”Origine e scopo essenziale della vita sociale vuoi essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l'umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni.” E per l’epoca travagliata affermò:”Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano; aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il conseguimento dei suoi scopi eterni; si sforzi e adoperi a sperdere gli errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente l'essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore; promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna, anche nel campo terreno, come il senso profondo e l'ultima morale e universale legittimità del "regnare" è il "servire". Su questa base ulteriori approfondimenti nelle encicliche Mystici corporis del 1943, Benignitas et humanitas del 1944 e Humani generis del 1952.

Se questa fu l’inizio del partito cristiano in Italia, ben altre erano le indicazioni che giungevano da due filosofi, uno molto noto ed importante, Benedetto Croce abruzzese, ma napoletano d’adozione, l’altro, Mario Dal Pra vicentino, meno, perché giovane, ma di sicura capacità e che con il maggiore può ben essere indicato come il primo grande nucleo del dibattito, ancora vivo ed attuale, intorno alla funzione storico-culturale del cristianesimo in Italia e in Europa, cioè a quello che indichiamo oggi con il tema: le radici cristiane dell’Europa, che si esprimono nelle istituzioni, nell’arte, ma che hanno il loro contenuto precipuo nella Buona Novella e nella Tradizione. Questo con accenti diversi, ma in parte convergenti, sostennero i due filosofi.

Il Centenario della nascita del filosofo vicentino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Benedetto Croce pubblica il suo Perché non possiamo non dirci “cristiani” sulla rivista “La Critica” il 20 novembre 1942 (ristampata come Estratto nel 1944 e in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari, 1945, vol. I, pp.11-23, ultima edizione La Locusta, Vicenza 2004), suscitando immediato dibattito soprattutto perché hegelianamente Croce tentò di far nascere proprio “il concetto dello spirito” dall’esperienza del cristianesimo. La sua visione fu apprezzato anche dagli ambienti cattolici, perché Croce sapeva indicare, pur con la sua visione filosofica, il nucleo centrale del cristianesimo: quella profonda rivoluzione nel centro dell’anima e nella coscienza morale che portò nel mondo antico e che non è paragonabile a nessuna altra. Croce ha ben chiaro il concetto di radice, tanto che proprio dal cristianesimo sorse l’Europa, la sua cultura. Dante e Petrarca, l’Umanesimo e il Rinascimento, Vico e Kant ecc. Il cristianesimo inoltre fu baluardo anche contro l’Islam minaccioso alla civiltà europea. Però Croce vede tutto ciò in funzione della rivelazione dello spirito, inteso in senso hegeliano, quella manifestazione di Assoluto – la religione assoluta- che in sé compendia e riassume ogni realtà in quella visione totale dove ogni parte esiste solo in virtù dell’Assoluto, ma rispetto ad esso la sua vita è solo contingenza. Il Dio cristiano che le affinate filosofie – dice Croce- chiamano Spirito, eleva l’uomo, congiungendolo con Dio e rendendolo veramente uomo. Il filosofo idealista indica nel cristianesimo una realtà dello spirito, supera gli ottusi ragionamenti antireligiosi e antichiesastici, eleva culturalmente la considerazione del cristianesimo, con parole affettuose, come quelle con le quali chiama Gesù cuore del cuore della civiltà moderna, ma a Croce manca la visione della vita quotidiana del cristiano, tanto che si può e si deve dire con don Giuseppe De Luca (“Il regno” Assisi, gennaio 1943) “ Dove Gesù Cristo non è, oggi manca qualcosa dell’uomo nell’uomo.”

 Il testo crociano ebbe un’immediata risonanza e giunge alla lettura di Mario Dal Pra mentre sta preparando un suo testo, completato nel gennaio 1943, ma pubblicato nel 1944 per la collana Guide di Cultura Contemporaneo, diretta da G. Flores D’Arcais, R. Mazzetti, G., Vigorelli, della casa editrice di Padova, Cedam, dal titolo Valori Cristiani e cultura immanentistica. Il piccolo saggio di Croce suscita l’immediato interesse di Dal Pra che ne discute in particolare nella prima parte del suo saggio Spirito cristiano e rinascita (pp. 9-26), ma contemporaneamente, con tutta probabilità tra il novembre e l’inizio di dicembre si preoccupa di preparare per la collana i Quaderni di cultura Moderna delle Collezioni del “Palladio” di Vicenza il saggio Necessità attuale dell’universalismo cristiano, che esce dalla Officina Tipografica Vicentina, Vicenza il 16 gennaio 1943-XXI. I Quaderni di cultura moderna nascono per contenere “brevi trattazioni su problemi di cultura e di vita, alla luce dei valori morali, emergenti dalla viva spiritualità della tradizione ed atti a rinnovare le condizioni del vivere individuale e collettivo nella affermazione dell’ideale universale.”

 In questa prospettiva il saggio di Dal Pra, che, ricordiamo anticipa quello maggiore, si presenta con le sue 31 pagine in ottavo come uno strumento di riflessione e discussione veloce. In esso l’Autore, pur tenendo presente alcuni aspetti della valutazione del cristianesimo elaborati da Croce, li riconsidera però alla luce della propria visione, cioè quella che vede l’immanente del cristianesimo come storia che propone e sviluppa il nucleo iniziale, quei postulati morali che devono continuamente essere rivissuti. Mario Dal Pra si richiamò anche a qualche sfumatura nella prospettiva modernista, cara ad A. Fogazzaro che l’aveva espressa nel romanzo Il Santo, al cristianesimo in chiave prevalentemente etica. Una visione concreta del cristianesimo, quella di Dal Pra, che apre alla dimensione universale dell’Assoluto, non un Assoluto che pone, come per Croce, la dimensione della contingenza. Infatti, il cristianesimo sottolineò i limiti della civiltà classica greco-romana, perché pose al centro l’uomo, l’uomo reale, perché ogni uomo singolo ha il valore di una spiritualità e perché nel cristianesimo il valore è che l’individuo deve farsi persona e nell’amore si fonda il vivere associato. Ma la dimensione della comunità, anche quando si fa nazione non può mettere da parte l’umanità, ecco quindi che il cristianesimo con la sua visione pone l’uomo ciascun uomo nella sua individuale personalità e contemporaneamente lo inserisce nella dimensione dell’universale, come all’università di Padova sosteneva Luigi Stefanini. Infatti “ la profondità di popolo” insita in ciascun individuo di un determinato gruppo sociale è per l’Assoluto (M. Dal Pra, L’educazione della persona umana, in AA.VV., Aggiornamento e preparazione professionale del maestro, Off. Tipografica Vicentina, Vicenza 1942-XX, p.45).

 Così anche riferendosi agli errori di Versaglia (sic), è il Trattato di Versailles con la Germania, se l’uomo non ama l’uomo fa esplodere la violenza e l’egoismo e l’una chiama l’altro. Per la negatività della guerra che Dal Pra vive con responsabile senso di pace, gli sono noti i saggi di Aldo Capitini (Elementi di un esperienza religiosa, Laterza, Bari 1937 e Vita religiosa,Cappelli, Bologna 1942, rist. Neri Pozza, Venezia 1964) sa indicare, al contrario di Croce, una via propositiva: “ Ora per la risoluzione delle presenti difficoltà secondo l’ispirazione che viene dai motivi centrali dell’etica cristiana è essenziale intanto il promovimento del più largo senso sociale, inteso come comprensione dei vincoli morali che legano gli uomini tra loro, nella legge del dovere. Naturalmente non si può promuovere il senso sociale senza educare alla personalità, alla formazione di libere individualità. E non si può avere poi una libera personalità senza interiorità. Di maniera che l’interiorità, che è tutt’uno colla libertà morale, o attività creatrice, è la radice prima dell’assetto ragionevole di più individui nel gruppo nazionale, come di più nazioni nel convivere internazionale.” (p.21). La posizione di Dal Pra è precisa, soprattutto quando sostiene che non è l’immanenza che provoca la guerra e la violenza, ma si ha negatività proprio quando non si sa inserire la dimensione immanente in quella universale e il compito del filosofo è quello di far riflettere per il bene civile, ben lungi da quanto nel 1942 affermava C. Pettinato ne Gli intellettuali e la guerra (“La Stampa”, Torino 1944²). Ecco perché la sua epoca, fors’anche la nostra, ha necessità di visione universale anche nell’immanenza, come sostiene Dal Pra e ciò in sintonia non semplicemente razionale con Gesù Cristo; infatti:” 1) per migliorare il mondo bisogna – come Cristo- vincere il mondo:” e “ 2) chi eleva se stesso, eleva con sé il mondo intero.” (p.31)

 Sono contenuti questi di Dal Pra ancora legati ad un cattolicesimo impegnato, caratteristico dell’ambiente veneto degli anni Trenta e che rifletteva sulla la necessità di una cultura cattolica in grado di dialogare con la filosofia contemporanea, come indicava Giovanni Battista Montini ai partecipanti al Congresso della FUCI a Trieste nel settembre del 1930; necessità che era ben stata espressa nella relazione di Marino Gentile, Il compito dei cattolici nella cultura (in AA.VV., Modernità della classicità. La filosofia etico-politica in Marino Gentile, a cura di D. Castellano e G. Giurovich, Forum, Udine 1996, pp.253-264). In questo contesto le ultime parole espresse in Valori cristiani e cultura immanentistica (p.107) dal filosofo Dal Pra, ancor vicentino, sono oltremodo importanti e vanno riconsiderate, anche al di là delle scelte e dei cambiamenti di prospettiva che il filosofo intraprese successivamente, perché esse sono uno stimolo a trattare sempre la vita e l’uomo come un bene prezioso: con la “fede nell’ideale morale possiamo guardare positivamente al mondo e alle sue immanenze, cosicché nel suo [della fede] richiamo a Cristo ed alla buona novella vediamo e poniamo l’invocazione d’una rinascita morale, vicino al proposito di spenderci più generosamente per una più degna vita spirituale.“

 

Per gentile concessione dell’Editrice Veneta

 

nr. 24 anno XIX del 21 giugno 2014

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