NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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“Vita Nova” per la danza

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Biennale Danza

Cosa pensi della preparazione dei giovani qui in Italia rispetto alla Norvegia?

“Non ho mai lavorato coi bambini prima d’ora e non ho molti riferimenti su come dovrebbe essere ma ciò che sta facendo Roberto (Casarotto ndr) è davvero impressionante. So che qui in Italia non avete delle scuole per la danza contemporanea e in Norvegia facciamo molte performance per i bambini ma non li facciamo diventare dei professionisti della contemporanea. In Norvegia abbiamo molte università per la danza contemporanea, la cultura del classico qui in Italia la sento molto forte e penso che sarebbe buono avere alcune scuole, soprattutto nelle grandi città, ma ci sono anche dei grandi artisti che non hanno avuto nessuna formazione e che sono davvero originali e hanno un’espressività molto chiara”.

Probabilmente sai che qui in Italia abbiamo un grosso problema di mancanza di fondi per molte cose e per la cultura soprattutto. Spesso guardiamo alla Scandinavia, e ai paesi nordici in genere, come a un modello di vita, sembrano paesi che danno più importanza alla cultura e che la promuovono. Da straniero che viene in Italia per lavorare, qual è l’atmosfera che percepisci, le possibilità che vedi qui, tu che vieni da un “paese modello”?

Biennale Danza (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Qui sono davvero ispirato perché succedono un sacco di cose e con davvero pochi soldi, non conosco il budget ma posso immaginare e penso che a volte non è un grande budget o delle grandi case a fare i programmi più interessanti però se si vuole che gli artisti abbiano l’opportunità di vivere d’arte, pagarsi l’affitto e comprarsi da mangiare penso che sia importante che il budget cresca in modo da poter pagare la gente. Per quanto riguarda i festival vedo delle cose più interessanti qui, avete dei progetti che non ci immagineremmo e penso che bene o male gli artisti vogliano sempre fare delle cose, con o senza soldi, nel senso delle opportunità di poter vivere di quello. Siamo molto fortunati nel nord, se facciamo un progetto veniamo pagati, ma probabilmente ci sono anche più coreografi e danzatori paragonando a ciò che è il mercato e quindi magari vieni pagato per un lavoro di due mesi e poi magari non lavori per un anno. Nella mia esperienza la differenza maggiore è che qui hai dei progetti dove magari non hai delle luci o dei costumi fantastici e in Nord Europa ci sono molte grandi produzioni e non si vedono quasi mai produzioni in così piccola scala. Qui ci sono tantissime cose contemporaneamente: dv8, Batsheva, nuovi coreografi italiani, i ragazzini, Parkinson. Al Black Box, una scena che abbiamo in Oslo, siamo fortunati perché accadono molte cose…”

Forse a Oslo è più facile che accadano le cose, se uno vive a Tromsø, magari meno.

“Mettiamola così: se tu non vivi a Bergen o a Oslo è quasi impossibile proprio lavorare come danzatore o coreografo perché è il modo in cui sono fatte le comunità. Se tu guardi il budget nazionale e guardi ciò che viene destinato all’arte, non siamo un paese d’arte, è importante ricordarlo, non utilizziamo nemmeno l’1% del budget nazionale. Siamo 4 milioni e mezzo di abitanti e abbiamo una buona finanza ma nell’ultima campagna elettorale nessun partito ha parlato di cultura. In Norvegia ancora ti dicono: “fai il danzatore, ma di lavoro cosa fai?”

Come in Italia. Dove ti piacerebbe vivere per fare il tuo lavoro?

“Mi piacerebbe tantissimo vivere in Italia ma non credo sia possibile, non è facile, è quello che stiamo dicendo, ma amo moltissimo l’Italia, la cultura, il cibo, la gente, sarebbe il mio sogno. Se potessi lavorare ogni giorno con la danza qui in Italia, sarei felice”.

 

nr. 26 anno XIX del 5 luglio 2014

 Biennale Danza (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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