NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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La musica di Dio

di Italo Francesco Baldo

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La musica di Dio

La musica sia come canto sia con strumenti ha ricoperto e ricopre un ruolo molto importante nella vita dell’uomo e delle sue manifestazioni, in particolare per quelle religiose. Senza illustrare minutamente molte sono le raffigurazioni nelle quali sacerdoti e/o fedeli suonano durante riti religiosi. In Grecia la cetra era ritenuta sacra al culto di Apollo, e a Delfi, nel tesoro degli ateniesi, nel 1893 furono scoperti due inni in onore della divinità, uno in notazione vocale, l'altro in notazione strumentale, entrambi incisi su pietra. La musica però è più antica, anche se non abbiamo molte testimonianze, ma sono stati rinvenuti degli strumenti: gli zufoli magdaleniani di Roc de Mercamps, o i litofoni neolitici scoperti nelle vicinanze di Dalat (Vietnam).

Anche di fronte alla scoperta di strumenti difficile è avere una percezione precisa del suono che veniva prodotto e soprattutto non abbiamo verte testimonianza del canto. Gli strumenti di registrazione infatti, sono comparsi tra le fine dell’ottocento l’inizio del novecento e la loro fedeltà non era certo paragonabile a quella odierna.

L’uomo ha sempre cantato e sempre suonato, prodotto suoni non casualmente, ma almeno con un ritmo e l’intenzione era duplice, una diretta agli altri uomini e un’altra, come abbiamo indicato, rivolta alla divinità.

Nel corso dei secoli in Europa si sono sviluppate varie forme di musica e di canto, per quello religioso, si hanno notizie di scholae cantorum nell’ambito cristiano fin dal 300 d.C, ma il canto principale nelle chiese e nei monasteri è stato principalmente il gregoriano, la musica di Dio. La leggenda vuole sia stata data direttamente da Dio a papa Gregorio I Magno. Il pontefice dettò i canti ad un monaco, che però non vedeva il papa, coperto da un velo; durante una pausa il religioso, incuriosito, sollevò il velo stesso e vide una colomba, il simbolo s dello Spirito Santo che suggeriva all’orecchio do Gregorio. A costui Paolo Diacono, il celebre autore della Historia Longobardorum, la prima compilazione di canti per la Messa: Antiphonarium centonem.

Gli studiosi sostengono che il gregoriano nasca dall’unione intorno all’ottavo secolo del canto romano e di quello canto gallicano. si tratta di un canto monodico, è una musica cioè che esclude la simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta all'unisono ed è cantato a cappella, ossia senza accompagnamento strumentale.

La musica di Dio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La storia di questo canto è plurisecolare e ha numerose varianti esecutive; fu ed è il canto della liturgia romana oltre che dei momenti di preghiera dei religiosi, in particolare degli ordini monastici. Con l’introduzione della polifonia il canto gregoriano fu trascurato, ma nell’ottocento conobbe una significativa rinascita. Al proposito ricordiamo che nel 1884, la Sacra Congregazione dei Riti emanò un primo Regolamento per la Musica Sacra in Italia.

Sarò papa Pio X a dare nuovo impulso e assetto alla musica sacra con il Motu proprio “Tra le sollecitudini" (1903) che ha rappresentato il “codice giuridico” voluto dalla Chiesa per dare inizio ad un nuovo corso nella prassi liturgico-musicale nelle celebrazioni divine e a questo. Con chiarezza il documento pontificio precisa: “3. Queste qualità si riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano, che è per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto che essa ha ereditato dagli antichi padri che ha custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno si felicemente restituito alla sua integrità e purezza.

Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica; quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.

L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, che una funzione ecclesiastica nulla perde della sua solennità, quando pure non venga accompagnata da altra musica che da questa soltanto.

In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano all’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva alla officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi”.

Seguì poi la faticosa soluzione della questione gregoriana con le edizioni di Solesmes e del Vaticano, le feste “gregoriane” del 1904 in coincidenza del XIII centenario della morte di San Gregorio Magno. In questo il papa, molto sensibile alla musica, proseguiva quanto iniziato da Patriarca di Venezia, quando, appena nominato, costituì una Commissione diocesana per la Musica sacra di cui fece parte anche il Perosi. Forte della sua collaborazione il Patriarca emanò, in data 1° maggio 1895, una Lettera pastorale al “Venerando Clero del Patriarcato” tutta incentrata sulla riforma della Musica sacra.

La Chiesa cattolica nell’ultimo Concilio, il Vaticano II, nella costituzione Sacrosantum concilium afferma al paragrafo 113: “L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo”. Pur affermando il valore della lingua latina per l’azione liturgica, il Concilio afferma anche la possibilità di utilizzo delle lingue del popolo. Per quanto concerne la musica il paragrafo 116 della medesima Costituzione sostiene: “116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30”.

Le indicazioni del Concilio sono chiare e precise e sempre in sintonia con la tradizione, non stravolgono, anzi riconoscono e invitano celebrare la liturgia con appropriati modi e con una musica consona, che è riconosciuto nel gregoriano prima di tutto e in musica adeguata ai riti e con strumenti pure adeguati. Cosa che lo stesso papa Pio X riconosceva nel motu proprio citato sopra: “. La Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve sempre le leggi liturgiche 29. Per conseguenza la musica più moderna è pure ammessa in chiesa, offrendo anch’essa composizioni di tale bontà, serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni liturgiche”.

La storia della musica durante le liturgie cattoliche non ha certo tenuto presente questa indicazione, ma ha cercato strade “nuove” con la traduzione dei canti di tradizione latini, in lingue locali, traduzioni spesso infelici e soprattutto sono stati introdotti, strumenti musicali che hanno lasciato talora perplessi i fedeli. Si è consumata nella musica per la liturgia più che una rivoluzione, uno sconquasso di suoni e ritmi, che molte volte non facilitano certo la meditazione del sacro, come quando si suonano tamburi durante l’elevazione eucaristica o musica suonata “in qualche modo”.

L’indicazione del paragrafo 114 della Sacrosanctum Concilium è spesso trascurata e l’improvvisazione tende a dominare. Infatti con precisione si afferma: “114. Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra. Si promuovano con impegno le « scholae cantorum » in specie presso le chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori d'anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l'assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente, a norma degli articoli 28 e 30”. Il grande patrimonio dei canti religiosi del popolo è apprezzato e nel paragrafo 118 è scritto:”Si promuova con impegno il canto religioso popolare in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli”.

La musica di Dio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Che cosa è mancato? Dato che spesso il canto e la musica durante le azioni liturgiche “lascia a desiderare”? Forse è stata la mancanza di autori (poeti e musicisti), che abbiano riflettuto e composto nuovi canti e melodie e si è adattata la musica antica su canti che nella traduzione non riescono ad essere in sintonia con la musica stessa, oppure musica scritta in fretta o ancora frutto di spontaneità, quando non di improvvisazione o per essere “alla moderna”.

 Il Vescovo di Vicenza Ferdinando Rodolfi si raccomandava che il popolo cantasse durante le funzioni religiose, ma con serietà ed impegno.

 Da un lato il canto gregoriano e dall’altro la Costituzione conciliare ricorda al paragrafo 120 che:” Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli”. Nella storia altri strumenti si sono affiancati all’organo, ma con una sobrietà e un grande intento religioso, tanto che non tutto ciò che viene detto “musica sacra” viene riconosciuto per tale dalla Chiesa. La musica e i canti destinati alla celebrazioni liturgiche debbo avere il permesso ossia essere approvati. I ricorda a tale proposito che la musica di Giuseppe Verdi nel Requiem non è musica liturgica. Ciò nulla toglie di valore della composizione verdiana, ma considera che nelle funzioni religiose il centro non è mai il canto, o la musica, ma Dio stesso e quindi per l’esecuzione di musica nelle chiesa vale quanto dispone la Congregazione per il culto divino che nella sua recente ristrutturazione, voluta da papa Benedetto XVI nel 2012 ha aperto un ufficio specificamente dedicato all’arte e alla musica per la che offrirà linee guida affinché i canti per la messa come pure la struttura delle nuove chiese siano davvero adeguati e corrispondenti al mistero che viene celebrato.

Oggi si assiste ad un rinnovato interesse per la musica sacra ed in particolare per il gregoriano e il grande patrimonio di musica e canto che ci è stato affidato dai nostri maggiori.

Riscoprirlo e attraverso questo tentare anche nuove elaborazioni è una prospettiva di grande attenzione ad un patrimonio che attende solo di essere nuovamente amato e valorizzato, perché solo da un dialogo attento e continuo con la tradizione nasce la possibilità stessa di elaborare nuove forme di canto e di musica consone al compito sacro cui sono destinati.

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San Pancrazio-Ancignano

 

 

La musica di Dio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Nell’intento di riscoprire il valore di tante composizione per la liturgia ad Ancignano-Sandrigo il parroco don Pierangelo Rigon nella chiesa parrocchiale, dedicata a San Pancrazio, ha promosso la celebrazione di liturgie accompagnate da varie corali o maestri d’organo che facciano conoscere il grande patrimonio che non deve andar disperso e che suscita una partecipazione attenta e interiore alle sacre liturgie stesse. Il maestro Mattia Cogo, organista della parrocchiale, si è impegnato a predisporre in prima persona con l’aiuto e gli entusiasmi di molti musicisti che operano in varie chiese della diocesi vicentina, un programma di esecuzioni. Queste sono al servizio della liturgia e in stretta connessione con essa evidenziano l’importanza che nei secoli ha avuto il canto e la musica sacra.

 Spesso si tratta di una riscoperta per i giovani, ma molti ancora ricordano che prima di “qualche nota stonata” nelle celebrazioni liturgiche, il canto e la musica richiedevano impegno e davano il significato di servizio al culto divino, che è lo scopo della musica sacra.

 In questo l’attenzione dedicata da don Pierangelo Rigon e dal maestro Mattia Cogo invitano a quella prospettiva, che proprio il Concilio indicava e che non ha trovato finora grandi protagonisti, ossia quanto la Sacrosanctum Concilium dice al paragrafo 121: “ Missione dei compositori. I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori «scholae cantorum », ma che convengano anche alle «scholae » minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche. “

 Un itinerario quello proposto, come da calendario, che intende favorire la liturgia con l’aiuto del canto e della musica secondo un’importante tradizione religiosa e culturale e, nel contempo, apra ad orizzonti di elaborazione artistica a lode di Dio, come tanti grandi del passato hanno compiuto.

 

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nr. 07 anno XX del 21 febbraio 2015 

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