NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati

Che cosa è l’uomo: la risposta kantiana; La Basilica Palladiana = fare un passo avanti

facebookStampa la pagina invia la pagina

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati

Che cosa è l’uomo: la risposta kantiana

 

Introduzione

Fin dalla sua opera giovanile Storia universale della natura e teoria del cielo Immanuel Kant (1724-1804) ci indica quale debba essere la via globale nella riflessione intorno all’uomo. Infatti, lui stesso afferma che tutta la ricerca filosofica si può riassumere in quattro domande fondamentali. La prima: “Che cosa posso conoscere?”; La seconda: “ Che cosa devo fare?; la terza “che cosa posso sperare” ed infine l’ultima: “Che cosa è l’uomo?”.Le prime tre erano comparse nella Critica della ragion pura, mentre l’ultima compare solo nel 1793 in una lettera a K.E. Stäudlin, ma poi ripresa anche nella Logica. Ogni domanda ha un preciso ambito di risposta. Alla prima risponde la Metafisica o Filosofia pura, alla seconda la Morale e alla terza la Religione e all’ultima l’Antropologia., Le prime tre domanda fanno riferimento a precise opere, mentre per l’ultima il filosofo di Koenigsberg non ha scritto un’opera. L’ultima opera scritta da KANT, l’Antropologia pragmatica raccoglie gli appunti di lezioni, ma non è la risposta al quarto quesito.

 Il tema del conoscere, dei suoi limiti e confini e analizzato nella Critica della ragion Pura e in altre opere, come i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza. L’azione dell’uomo nell’ambito morale è ben delineata dal Fondamento della metafisica dei costumi, dove viene elaborato il famoso imperativo categorico e nella Critica della ragion pratica. L’ambito della speranza nell’opera, poco considerata, La religione entro i limiti della sola ragione. L’ultima domanda richiama le prime tre; infatti la risposta è la risposta alle prime tre.

 Nell’opera indicata all’inizio di queste considerazioni, Kant traccia la sua direzione di ricerca che elaborerà compiutamente nel cosiddetto periodo critico. Si tratta del famoso saggio nel quale il filosofo ipotizza l’origine dell’universo da un’esplosione iniziale, oggi nota come Big Bang che prende il nome di teoria Kant- Laplace, perché fu pure ipotizzata dal francese Pierre Simon Laplace (1749 –1827).

 Nella Conclusione del saggio Kant di fronte alla conoscenza dell’universo, pone il quesito che da sempre è cardine della filosofia e al quale fornisce un’articolata risposta di modalità di considerazione dell’oggetto, ossia dell’uomo. Ripercorrerlo è, a nostro avviso, un momento tra i più significativi dello studio filosofico e soprattutto per le implicazioni propositive che da esso ricaveremo, dopo la lettura e il commento.

 

Il testo

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Che cosa sia veramente l’uomo, noi in realtà non lo sappiamo, benché i sensi e la coscienza avrebbero dovuto insegnarcelo, tanto meno potremo quindi indovinare quel che l’uomo sarà un giorno. Tuttavia l’avidità di sapere dell’anima umana, spinta da una grande curiosità per quest’argomento, aspira ardentemente a fare un po’ di luce nell’oscurità di simili conoscenze.

 L’anima immortale, per tutta l’infinità della sua vita futura, che nemmeno la tomba può interrompere ma solo mutare, è forse destinata a rimaner legata per sempre a questo semplice punto dell’universo che è la Terra? Non le sarà mai concesso dunque di vedere le altre meraviglie del creato? Chi sa se non è invece destinata a conoscere da vicino, un giorno, quelle lontane sfere dell’universo e l’eccellenza del loro ordinamento, che già da queste infinite distanze suscitano la sua curiosità? Forse si stanno già formando nuove sfere del sistema planetario, destinate ad accoglierci in altri cieli quando il tempo assegnatoci per il nostro soggiorno sulla Terra sarà scaduto. Chi sa, forse un giorno godremo della luce dei satelliti di Giove.

 È lecito, anzi è conveniente dilettarsi con simili pensieri; ma nessuno fonderà la propria speranza in una vita futura nei frutti così incerti dell’immaginazione. Quando la fragilità umana avrà pagato il tributo alla propria natura, lo spirito immortale si librerà, con un colpo d’ala, al di sopra d’ogni cosa finita e inizierà un’esistenza diversa, in cui, grazie alla maggiore vicinanza all’Essere supremo, occuperà una posizione nuova nei confronti di tutta la natura. Da quel momento lo spirito, che racchiude in sé la fonte della felicità, non cercherà più il proprio appagamento dissipandosi tra gli oggetti esteriori. Tutto l’insieme delle creature, che devono necessariamente trovarsi in armonia per il piacere dell’essere originario arriveranno a goderne anche loro e in essa si placheranno come in una beatitudine eterna.

 In realtà, quando si è nutrito il proprio animo con riflessioni di questo genera, basta uno sguardo al cielo stellato, in una notte chiara, per trovare quel senso di rapimento di cui solo le anime nobili sono capaci. Nel silenzio universale della natura, nella quiete dei sensi, la segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire. Se tra le creature pensanti del nostro pianeta vi sono degli esseri abbietti, che nonostante il grande fascino di un argomento così importante preferiscono rimanere attaccati alla schiavitù delle cose vane, allora la Terra, per aver generato creature così miserabili, ci appare all’improvviso come un luogo molto infelice. Ma, viceversa, come ci appare felice, quando vediamo aprirsi in essa la sola via degna d’essere percorsa, quella che conduce alla suprema felicità dell’anima, che nessun corpo celeste, anche quello dotato delle condizioni più eccellenti e vantaggiose, potrà mai offrire”.

I. Kant, Storia universale della natura e teoria del cielo, tr. it. di S. Velotti, Introduzione di G. Scarpelli, Ed. Teoria,Roma.Napoli 1987, pp.173-74

 

Commento

Lingua impronunciabile, nel senso di una definizione intellettuale perché:“ Ogni lingua è espressione di pensieri, e viceversa il modo migliore di espressione del pensiero è quello per mezzo della lingua, questo mezzo potentissimo di intendere se stessi e gli altri. Pensare è parlare con e stessi e quindi anche ascoltare internamente. “ (I. Kant, Antropologia prammatica, tr. it. G. Vidari, rev.A. Guerra, Bari, Laterza, 1969 p.79).

 Dobbiamo quindi superare la stessa visione razionale, ossia la via della concettualizzazione e lasciare che il pensiero “navighi” senza concetto (ohne Begriff) e affidarci a quelle che possono essere altre vie, eppure esse stesse capaci di esprimere l’uomo. Mi riferirò in particolare ad opere che si servono del linguaggio e non delle arti figurative o architettoniche, ma per esse vale la medesima considerazione).

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Alda Merini

 

  1. ohne Begriff (senza concetto) : La via della poesia, la bellezza, l’arte, la poesia

 

 Egli tarda a venire e il cuore è spento

 

 Egli tarda a venire e il cuore è spento

 Come un bracere su cui cade l’acqua.

 La sua distanza mi fa forsennata

 e mi cadono in cuore

 i suoi begli occhi come due pietre rosse

 dai colori di sangue:

 È questo il mio mutar d’amore.

 (Alda Merini, Aforismi e magie, Rizzoli, Milano1999, p.141)

 

 Non basterebbero tutte le ore di un anno scolastico per comprendere l’intera poesia di Alda Merini, dico questa poesia, perché dovrebbe essere lettura e rilettura e fluire del mio io e del suo io, in un incessante andirivieni che colga e non colga, che viva e non viva, intuisca e tenti anche concetti e così via fino a che, fra un secolo, ancora un lettore, magari uno solo, sappia accostarsi a questa poesia con cuore puro.

 Tutto ciò indica quanto si debba oggi riaccostarsi alla poesia, all’arte, senza le mediazioni intellettualistiche o storicistiche, tipiche di uno studio disciplinare, vale a dire, ad esempio, quello della storia della letteratura, che negli ultimi decenni si è affannata, come sostiene Ernesto Guidorizzi (“Il bello e il sublime in Kant, “Nuova Secondaria”, 18 (2000), n.3, 53 ss., e ID, Letture e immagini, Bibliopolis, Napoli 2000), a precisare, dettagliare tutti i possibili elementi storici, economici, estetici e quant’altro, dimenticandosi però della vera relazione con la poesia, quella che non ha necessità di conoscere tutti gli elementi, ma di riuscire a far godere della poesia, o di un quadro. Non si tratta di ritornare sic et simpliciter all’idealismo crociano dell’intuizione lirica, ma di avere chiaro il quadro che non attraverso la disciplina scientifica, la critica intellettuale si comprende il poeta, Ma, come affermava Immanuel Kant, ohne Begriff senza concetto, senza la mediazione che devia dalla comprensione autentica e diretta della poesia, dell’arte, Vi è, come affermava Benedetto Croce, in Aesthetica in nuce (Laterza, Roma-Bari 1979, p, 7.): vi è “ un qualcosa d’ineffabile in termini logici e che solo la poesia, al suo modo, sa dire a pieno”.

 Ecco che l’arte diviene compimento di quella segreta facoltà dell’animo, non ha un linguaggio preciso, univoco, ma apre alla possibilità che lo spirito s’immedesimi, colga, come affermavo già nel 1984 “ una relacion directa ùnica e irrepetible” En efecto el lector indaga por el significado y el valor de la poesia, y se emblesa, cuando esta es auténtica, en el placer que se traduce primiero en relectura y luego en memoria que no rapresenta la “historializacion” del vate, però sì su posibilidad de permanecer come acto que suscita la imaginaciòn poetica, cautivando ejemplarmente al lector en el mundo de la verdadera fruiciòn poetica”. (Introduzione a J. E. BRICEŇO BERR, Del amor profano al amor sublime, La tipografica Varese, Varese, 1984, p.1).

 Ecco che lo spirito si coglie, e si distende, non ha bisogno di verifica, stupisce continuamente la poesia, l’arte pittorica, o altra, ma soprattutto l’arte è elevazione dello spirito, come comprensione non compresa né comprensibile, eppure significante.

 Educare a questo coglimento, alla bellezza libera come direbbe Kant, significa fare una lezione completa, che prima sappia avvicinare e come valore aggiunto, ma non indispensabile proprio conoscere di quel significato, di quel contesto, ecc.. Che Paolo a Francesca siano o meno personaggi autenticamente storici, che abbiano o no letto di Lancilotto, non importa, ciò che importa è la loro poesia nella quale il lettore si raffigura e cogliendo di Dante il verso, sa del proprio amore verso l’amata.

 Di critici d’arte, di intellettuali del verso e del pennello, non ne possiamo più. Se proprio si vuole far critica, questa deve seguire la fruizione poetica, prima il poeta, perché se l’arte non è esercizio retorico, o propaganda o altro, allora essa può aprire allo spirito un suo stesso dispiegarsi.

 

Educare a questa possibilità dello spirito, significa far emergere la complessità e la globalità dell’uomo, di cui oggi appare solo il lato oscuro, negativo.

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Don Luigi Monza fondatore delle Piccole Apostole della carità

 

Ohne Begriff: la via della preghiera che “è necessaria come l’aria che respiriamo” diceva don Luigi Monza.

 Kant la definiva: “servizio divino interiore“ il sincero desiderio di esser graditi a Dio mediante tutto il nostro fare e non fare, l’intenzione, che si accompagna a tutte le nostre azioni, di compierle cioè come se fossero fatte a servizio di Dio, è lo spirito della preghiera, che può e deve senza interruzione trovarsi in noi. Ma il rivestire questo desiderio (sia pure solo interiormente) di parole e di formule può tutt’al più assumere soltanto il valore di un mezzo adatto per vivificare ripetutamente in noi stessi quell’intenzione; ma non può avere immediatamente alcun rapporto con il compiacimento divino, né in conseguenza può essere un dovere per ciascuno (nel senso di un obbligo per conversare con se stessi)”.

Basti pensare

Al Magnificat

Magnificat anima mea Dominum, et exultavit spiritus meus in Deo salvatore meo, quia respexit humilitatem ancillae suae. Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes, quia fecit mihi magna, qui potens est, et sanctum nomen eius, et misericordia eius in progenies et progenies timentibus eum. Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordi sui; deposuit potentes de sede et exaltavit humiles; esurientes implevit bonis et divites dimisit inanes. Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiae, sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula. (Lc 1, 46-55)l

 

Su cui tanta poesia e tanta preghiera

Dante, Paradiso XXXIII, v.1 ss.

 

“Vergine madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

 termine fisso d’eterno consiglio,

 tu sÈ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che il suo fattore

 non disdegnò di farsi sua fattura……”.

 

G. Leopardi

A Maria

È vero che siamo tutti malvagi, ma non ne godiamo,

Siamo tanto infelici.

È vero che questa vita

E questi mali

Son brevi e nulli

Ma noi pure siam piccoli

E ci riescono lunghissimi e insopportabili.

Tu sei già grande e sicura,

abbi pietà

di tante miserie.

 

Giovanni Paolo II

Maria, Madre della speranza,

cammina con noi!

Insegnaci a proclamare il Dio vivente;

aiutaci a testimoniare Gesù, l’unico Salvatore;

rendici servizievoli verso il prossimo,

accoglienti verso i bisognosi,

operatori di giustizia,

costruttori appassionati

di un mondo più giusto;

intercedi per noi che operiamo nella storia

certi che il disgeno del Padre si compirà

[…]

“vieni Signore Gesù”

Che la speranza della gloria

Infusa da Lui nei nostri cuori

Porti frutti di giustizia e di pace.

 

Educare a questa possibilità dello spirito, significa far emergere la complessità e la globalità dell’uomo, di cui oggi appare solo il lato oscuro, negativo.

 

 

 3. Ohne Begriff


La Mistica

 La segreta via dell’animo umano, dell’uomo al di là delle semplici cognizioni e delle determinazioni intellettuali ha strade molteplici. Prima abbiamo indicata quella dell’arte, perché la ritroviamo nella scuola, avvilita da troppa erudizione e da stringimenti ideologici, quasi che bisognasse avere prima un’idea per leggerla in questo o in quel poeta, popi quella della preghiera che avvicina, dialoga con Dio ed è autentica teologia, anche quando si sofferma, come abbiamo fatto noi nell’iperdulia a Maria, madre di dio. Ora un’altra via, quella della mistica, dove veramente il linguaggio non è comprensibile, soprattutto alla nostra epoca, che si è disabituata ad andare oltre il linguaggio descrittivo. Riprendere quella secreta via, significa, andare per noi al cuore stesso dell’Europa, come sosteneva il poeta Novalis nel saggio Cristianità o Europa. Non abbiamo certo il tempo per indagare tutti i mistici dell’occidente cristiano e dell’Oriente, mi limiterò a qualche esempio.

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Raimondo Lullo

 

 Raimondo Lullo (1256- 1315), venerato come beato in Catalogna e a Maiorca, famoso per l’ars lulliana, in altre parole il tentativo di fornire, mediante opportuna costruzione intellettuale, la capacità di definire in modo preciso il mondo, ha una copiosa produzione di libri di mistica, tra tutti il Libro dell’Amico e l’Amato (, tr. A. Baracco, Introduzione di J. Perarnau, Città Nuova, Assisi, 1996.) Questo dialogo tra l’amato e l’amico porta intriso in sé il senso dell’amore in tutte le sue sfumature. “ Dimmi, folle Amico, chi conosce di più l’amore: chi riceve gioie o chi ne riceve pene e tribolazioni? Rispose che l’uno non po’ conoscerlo senza l’altro”. E ancora: “ Chiesero all’Amato chi era il suo Amico. Rispose: -Colui che per onorare e dar gloria al suo nome non aveva paura di nulla e rinunciava a tutto per obbedire ai suoi comandamenti e seguire i suoi consigli”. E “ Dimmi, folle Amico: perché pali in modo così sottile? Rispose: - per innalzare la mente alla perfezione del mio Amato, e perché da molti più uomini sia egli onorato, amato e servito”.

 Se questo è Raimondo Lullo, che dire di un Teilhard de Chardin nell’Ambiente divino (tr. A. Daverio, rev. F. Ormea, Il saggiatore, Milano 1968): “ le tentazioni del Mondo troppo grande, la seduzione del Mondo troppo bello, dove sono ora? Non esistono più. La terra mi afferri, ormai, tra le sua braccia giganti. Diffonda in me la sua vita, o mi riassorba nella sua polvere. Si adorni per me di tutte le seduzioni, di tutti gli orrori, di tutti i misteri. Mi inebri con il suo profumo di tangibilità e di unità. Mi prostri a terra nell’attesa di ciò che le sta maturando in senso. I suoi incantesimi non mi possono più nuocere da quando essa è diventata per me, al di là di se stessa, il Corpo di Colui che è, il Corpo di Colui che viene!”

 Sono parole mistiche, nulla di concettuale, ma mistero autentico, per quanto le approfondisce, tanto più insegui un significato che si presenta, appare, ma non soggiace mai ad un'unica direzione interpretativa, parla una lingua che è quella dello spirito.

 

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ildegarda di Bingen Epilogo a Il libro delle opere divine, tr. it. M. Pereira, e a cura di M. Cristiani e M. Pereira, A. Mondadori, Milano, 2003, p.1131

E udii la voce che viene dalla luce vivente, quella che mi è stata maestra in queste visioni, che mi diceva: “ Coloro che ti hanno aiutato e consolato, semplice creatura umana, nelle scritture delle mie visioni, li renderò partecipi della mercede di questo lavoro”. e io povera donna, resa dotta nella visione, risposi:” Signore mio, a tutti coloro che mi hanno aiutato e dato consolazione a proposito di queste visioni, che hai impresso in me fin dall’infanzia e delle quali provavo grande timore, dona la ricompensa dell’eterna chiarità nella Gerusalemme celeste, sicché ad opera tua gioiscano in te”.

Educare a questa possibilità dello spirito, significa far emergere la complessità e la globalità dell’uomo, di cui oggi appare solo il lato oscuro, negativo.

 Oggi tutti scrivono si dice, pochi leggono, ancor meno coloro che rileggono, eppure lo spirito necessità di rilettura, di religione, come sosteneva Cicerone nel De natura deorum (II,28,72). Rileggere, porsi dentro quanto si legge, far parlare ed ascoltare, interrogare e dubitare della risposta, questa è l’educazione dello spirito!

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Fin qui abbiamo potuto tentare di dire, e lo spirito può avere e ricevere educazione, ma alla fine proprio alla fine non c’è né concetto né lingua: tutto si fa impronunciabile come sosteneva Kant.

 

Ohne Begriff

 

Io sono D-O (Il signore) che ti ha fatto uscire da Ur dei Caldei per darti possesso di questo paese (Genesi, 15,7) In realtà la pronuncia del tetragramma è ignota, perciò il nome divino è rimasto privo di vocali (nell’aramaico antico) e per questo è impronunciabile.

 

L’approccio

Dante, Paradiso, canto XXXIII, vv. 66 ss.

 

“O somma luce, che tanto ti levi

Da concetti mortali, a la mia mente

Ripresta un poco di quel che parevi,

e fa la lingua mia tanto possente,

ch’una favilla sol de la tua gloria

possa lasciare a la futura gente;”

 

“Oh quanto è corto il dire e come fioco

Al mio concetto! E questo, a quel ch’io vidi,

è tanto, che non basta a dicer poco’.

O luce eterna che solo in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta

i s’appaga  

e intendente te, ami e arridi”

e quindi

“ A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio desio e ‘l velle,m

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

 

 Così Kant nell’ultimo appunto dell’Opus postumum, si chiede intorno all’Esistenza di Dio, perché questa è la domanda dello spirito cioè dell’uomo che intende dare risposta a se stesso. Esiste Dio?

 

Conclusione

OPINIONI: Italo Francesco Baldo e Mario Giulianati (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera in finitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) l materia della quale si formò, dopo esser stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo,invece, eleva infinitamente il mio valore, come valore di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dell’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a finiti della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”. (I. Kant, Critica della ragion pratica, tr. it. F. Capra, rev. E. Garin, Bari, Laterza 1970, pp.201.202 e con lui l’eco di Dante:

Paradiso, XXXIII, vv. 22-33.Or questi, che da l’infima lacuna / de l’universo infin qui ha vedute / le viste spiritali ad una ad una, / supplica a te, per grazia, di virtute / tanto, che possa con li occhi levarsi / più alto verso l’ultima salute. / E io, che mai per mio veder non arsi / più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei preghi / ti porgo, e priego che non sieno scarsi, / perché tu ogni nube li disleghi / di sua mortalità co’prieghi tuoi, / sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

 

Italo Francesco Baldo

 

 

 

 

 

 



continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar