Prosegue la stagione della prosa del Comunale di Vicenza con il dramma più famoso dello scrittore americano Arthur Miller, “Morte di un commesso viaggiatore”, messo in scena dal Teatro dell’Elfo con una traduzione di Masolino D’amico. Sul palco, nella parte di Willy Loman il padre di famiglia che si sente fallito, c’è il regista Elio De Capitani, che abbiamo incontrato per approfondire le tematiche sociali tornate oggi di estrema attualità soprattutto nel Nord Est, ed è intervenuta Cristina Crippa co-fondatrice della compagnia, che nella pièce veste i panni della moglie Linda.
In questo testo si parla molto dell’ossessione per la felicità, ma cosa viene inteso per felicità? Perché sovrappongono il successo materiale a uno stato d’animo che spesso non c’entra con il lavoro o il successo?
Elio De Capitani: “Più che la felicità è un ruolo sociale. Willy Loman vuole che suo figlio Biff ottenga qualcosa che lui nella vita ha sempre detto di avere ma che non ha mai avuto, cioè essere qualcuno, il numero uno; che poi oggi si è realizzato anche in Italia questo meccanismo di diventare “qualcuno” attraverso qualunque tipo di cosa, se si vede XFactor o Amici, cioè il fatto che la gente comune possa saltare le fasi di qualunque tipo di vicenda professionale, di costruzione di un avvenire, attraverso questo successo. Nel caso di Biff è sembrato lo sport perché lui ha fatto questa partita al campionato scolastico, era il capitano della squadra e ha segnato un goal”.
Si però poi lui, in 10 anni o quant’è, ha cambiato tanti lavori, lo dice.
“Si ma soprattutto quello che ha scoperto Biff, attraverso questa irruzione nella stanza dell’albergo dove l’ha trovato con l’amante e ha scoperto la costruzione di un piccolo castello di menzogne del padr, che ha fatto crollare tutto. Il padre continua a rimuovere questo episodio perché non vuole attribuirsi la colpa della demotivazione del figlio, rifiutandosi di ammettere che il figlio è diverso da lui, che ha altri desideri, non vuole vivere a New York, non vuole commerciare, vuole farsi una vita diversa. Questa diversità non fa parte del sogno di Willy per suo figlio e quindi addirittura decide di uccidersi per lasciare un’eredità materiale di danaro che poi non ci sarà perché l’assicurazione ha già capito che lui ha tentato mille volte di fare questa operazione”.
Arthur Miller scrive questo testo in cui racconta la vita e il mondo di un americano della classe media, lo pubblica nel ‘49 vince il Premio Pulitzer e altri premi prestigiosi, grande successo di pubblico e più versioni cinematografiche. Potrebbe sembrare che lui critichi il mito del sogno americano quando in realtà alcuni anni dopo sposerà Marilyn Monroe, a quanto pare usufruendo economicamente della fama di lei. Questo è in qualche modo incompatibile col tipo di testi che lui scriveva? Cioè l’autore impegnato che critica certe ideologie imposte da una società consumistica e mercificata e poi ne sposa l’emblema?
“Beh lui sposa una donna e una donna molto complicata perché la vita con Marilyn non è stata facile, era vittima lei stessa del suo successo; Marylin Monroe era una cosa e la donna era un’altra, quindi lui è finito in mezzo a questo matrimonio per certi aspetti disastroso che sicuramente gli ha fatto comodo ma è stato anche un supporto incredibile per lei e una vita complicatissima per loro due perché Marilyn è un grande mistero, il suo successo quasi la straniava da se stessa. Forse lui stesso prima di conoscerla ha mitizzato e deve essere stato molto difficile conviverci perché era la donna di tutti gli americani, non poteva essere solo la sua”.
Cristina Crippa: “Differiscono molto le storie, se si prende l’autobiografia di Miller, tutta una storia difensiva di quanto lui si sia sforzato di arginare in qualche modo anche il malessere di lei, le influenze che subiva da altre persone che la condizionavano molto, o se la vediamo raccontata da altre parti: io mi ero fatta un’idea molto antipatica di Arthur Miller. Sulla questione del rapporto con la società americana Miller stesso ironizza molto sul fatto che il testo di “Morte di un commesso viaggiatore” è stato presentato, ha avuto successo e reazioni incredibili in paesi dove è stato interpretato in maniera assolutamente di contrasto, dalla cattolica Spagna, all’Unione Sovietica dove è stato visto come una critica al capitalismo americano o in Cina dove hanno visto un aspetto esistenziale; ha fatto lui la regia in Cina, anche non capendo la lingua, ha fatto delle cose anche in difesa della classe operaia per cui era visto in un certo modo”.