Tra i molti libri sulla Grande Guerra, il suo affronta un tema originale: com'è nata l'idea?
"Faccio ricerche sulla Grande Guerra da vari anni, specificamente su come il conflitto venne vissuto dalle persone, i combattenti e i civili. Nel nostro Paese la Grande Guerra è stata raccontata spesso male, quasi sempre sul piano delle operazioni militari e con molte omissioni o lacune: il risultato complessivo è che la spiegazione di un conflitto che ha determinato la storia di tutto il ‘900, e i cui effetti ancora influenzano quella attuale, ha tediato intere generazioni di scolari, producendo noia e repulsione. In occasione del Centenario avevo intenzione di presentare un argomento che riguardasse la nostra quotidianità. Spesso ho sentito dire, non soltanto tra i più giovani, che in fondo “è roba di 100 anni fa”, riguardante episodi e popolazioni ormai definitivamente lontani. Se non distorta, questa visione è come minimo molto limitata. La lingua italiana, ad esempio, che è un patrimonio in continuo divenire, comprende molti neologismi e modi di dire coniati in trincea negli anni della Grande Guerra: ogni qualvolta li utilizziamo facciamo rivivere i pensieri e le emozioni di quelle stesse persone. È anche un modo per onorare il loro ricordo. Tanti, sia uomini sia donne, diedero la vita senza che ognuno intendesse necessariamente immolarsi per la Patria. Tra le persone incontrate finora nelle serate in cui ho presentato il libro, la più grande soddisfazione mi è giunta da un giovane che avvicinandosi alla fine ha detto: “ascoltandola si sente che lei dentro ha l’animo di quei ragazzi”. Sono parole che mi hanno toccato il cuore, e insieme a tante altre espressioni di piena accoglienza mi fanno pensare che questo lavoro, a cui ho dedicato tre anni per lo studio e l’elaborazione, può servire per riportare la voce di quegli uomini e di quelle donne tra noi".
Il nuovo linguaggio dei soldati al fronte era anche un modo di creare uno scudo agli orrori della guerra?
"Sì, penso fosse un modo per rendere più sopportabile l’atroce realtà in cui erano costretti a sopravvivere e in cui dovevano relazionarsi a vicenda. Al fronte vennero a trovarsi affiancati centinaia di migliaia di uomini che provenivano da ambienti e contesti culturali del tutto differenti, addirittura quasi alieni tra loro, per quell’epoca. Il nuovo linguaggio formatosi in trincea nacque così dapprima come un modo, appunto, di intendersi, una vera e propria forma di codice espressivo condivisibile da tutti, e poi venne a costituire una lingua comune che i reduci avrebbero portato nella vita civile. È anche per tale motivo che la Grande Guerra, nonostante la sua tragicità, può essere considerato un momento fondamentale per la prima vera formazione dell’Unità d’Italia, della consapevolezza di appartenere ad un contesto nazionale unitario, seppur differenziato. La nostra lingua è meravigliosa e amata in tutto il mondo perché nessun’altra, forse, possiede tante sfumature come la nostra. Nel libro riporto vari esempi di termini ed espressioni nati o affinati nel contesto della Grande Guerra e spentisi nel corso dei decenni. Se hanno perduto l’utilizzo, la loro freschezza e l’immediatezza interpretativa rimangono intatte. Anche dopo cento anni".
Da cosa deriva il suo interesse per la storia e in particolare per la Grande Guerra?
"Nasce dall’impulso datomi dalla volontà di sapere per capire sempre di più, anche se una passione non si può mai spiegare fino in fondo: la mia parte dall’amore per lo studio dei dettagli, da una curiosità che mi spinge ad andare oltre le apparenze, le cosiddette verità ufficiali. È una strana forma di testardaggine, forse. La Grande Guerra presenta molti aspetti inediti, molti lati nascosti su cui ancora oggi occorre fare piena luce. Di certo non per spettacolarizzare una tragedia, ma per ricostruire oggettivamente situazioni ed eventi ripulendoli da incrostazioni dovute alla convenienza pratica, alla pigrizia mentale, a comodità contingenti, a retaggi culturali ereditati dal passato e a deliberate omissioni. Io ritengo che solo così possiamo cercare di comprendere molte situazioni e grandi eventi anche analizzando documenti in apparenza marginali, oppure tramite la ricostruzione di piccoli e circostanziati avvenimenti, i cui dettagli però, una volta esaminati con obiettività, consentono di avvicinarci maggiormente alla verità effettiva dei fatti".
Siamo nel Centenario: che significato hanno per lei queste celebrazioni?
"Prima di tutto spero che in occasione delle varie celebrazioni non ci si fermi alla superficialità oppure alla ritualità degli appuntamenti, altrimenti il rischio è che non si sedimentino conoscenze, non si producano cultura e capacità di critica obiettiva in un confronto aperto e plurale. Il Centenario ci offre una importante, e direi pure unica, opportunità in tal senso. L’obiettivo è che rimanga qualcosa nelle nuove generazioni, in coloro che ci succederanno nella conservazione di quanto avremo loro lasciato e saranno a loro volta promotori della divulgazione dei valori fondanti e che stanno alla base della nostra attività di informazione e sensibilizzazione. A me fa molto piacere vedere in sala ragazzi in occasione delle conferenze che tengo. Mi sento così onorato di conoscere e di poter collaborare con molti ricercatori del nostro territorio che custodiscono cimeli, documenti, oggetti e memorie della Grande Guerra non soltanto come patrimonio individuale. In occasione del Centenario penso sia inoltre giusto ricordare anche le persone il cui contributo è stato fondamentale per la ricostruzione, la comprensione e la divulgazione dei fatti e delle conseguenze prodotti dal Primo conflitto mondiale. Ad esempio studiosi ed appassionati del nostro territorio che hanno dato un apporto essenziale alla cultura storica sulla Grande Guerra e verso i quali è doveroso un ringraziamento, come Gianni Pieropan, Giovanni Cecchin e Vittorio Corà".
Ritiene sia giusto ricordare un avvenimento così tragico? E per quali motivi?
"La memoria è una forma di presenza. Ricordare persone, ricostruire fatti, è pure un modo per rispettare il sacrificio, spesso silenzioso, di molti uomini e di innumerevoli donne, al fronte e nelle retrovie, i cui nomi sono rimasti sconosciuti. Purtroppo la guerra è un terribile gorgo in cui l’uomo non smette mai di ricadere: in questo momento storico poco più di una decina di Paesi al mondo sono completamente estranei a qualunque coinvolgimento bellico. Penso sia quindi giusto riproporre i fatti e i danni collaterali della Grande Guerra per seguitare a tener presente l’assurdità e l’idiozia di una guerra, di una inutile strage, come la definì papa Benedetto XV. Negli anni successivi al conflitto i destini dell’Europa e del mondo furono decisi da persone che non erano migliori di coloro che persero la vita tra il 1914 e il 1918, e qualche lustro più tardi la Terra fu sconvolta da un secondo tremendo conflitto a causa di rancori mai sopiti a causa delle umiliazioni inferte dai vincitori sugli sconfitti. La Germania, cui venne attribuita tutta la responsabilità di quel conflitto, ha saldato per sempre il suo debito nell’ottobre 2010, oltre 90 anni dopo la sua resa, con l’ultima rata di 70 milioni euro sugli interessi e il capitale legati alle obbligazioni estere emesse nel 1924 e nel 1930 per raccogliere i fondi necessari a finanziare le enormi richieste di risarcimento imposte dagli Alleati dopo la Grande Guerra. Il danno sul piano delle vite umane rimarrà invece inestimabile. Abbiamo infatti perduto intere generazioni di uomini che avrebbero potuto realizzare cose eccezionali, governare bene ed effettuare scoperte fondamentali per l’umanità. L’uomo porta in se stesso il germe dell’autodistruzione. L’unica consolazione è che siamo pure capaci di realizzare cose meravigliose. Come la pace, che non è un’utopia".
Saverio Mirijello è nato a Vicenza nel 1969. giornalista pubblicista dal 1992, ha collaborato con diverse testate locali e regionali, agenzie di stampa e web radio. Ricercatore storico ha tenuto diverse conferenze in Italia e all'estero riguardo la Grande Guerra e il periodo del Risorgimento. Fra le sue molte pubblicazioni, ha curato inoltre "Con il cuore verso Dio - Intuizioni profetiche di Albino Luciani" utilizzato dalla testata giornalistica "La Grande Storia" di Rai 3 nel 2005 per la produzione di un documentario sul pontificato di Giovanni Paolo I. Su Amazon ha pubblicato gli e-book "Amare Dio è un viaggio meraviglioso - I 33 giorni di Papa Luciani" e Il soldato fanciullo e Garibaldi. Ha partecipato al Convegno di Cesuna 2014 “L’Altopiano di Gianni” con un intervento sui neologismi nati nel periodo della Prima Guerra Mondiale. È partner dell’Archivio Storico Dal Molin al quale presta il suo supporto riguardo gli aspetti specifici della lingua italiana nella Grande Guerra.
nr. 17 anno XX del 2 maggio 2015