NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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La scuola: da Adamo a Renzi

di Italo Francesco Baldo

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La scuola: da Adamo a Renzi

Introduzione

È stata approvata dal parlamento Italiano l’ennesima riforma della scuola sia statale sia privata, che ha come vero obiettivo l’eliminazione del precariato statale. Sarà vero cambiamento? A sentire Il Ministro della Pubblica Istruzione e il presidente del consiglio certamente sì, come dissero tutti coloro che li hanno preceduti nel fornire lo Stato Italiano di riforme della scuola.

In realtà ciò che cambia di solito è l’organizzazione della scuola, coloro che sono chiamati a realizzarla, tranne i Direttori Didattici, i Preside trasformati in “Dirigenti scolastici” e con loro i Provveditori agli Studi in Italia nel 1998 dalla riforma Berlinguer. Il docente è sempre lo stesso, colui che decide i contenuti, che li spiega e che pronuncia giudizi, che né il Tribunale Amministrativo e talora nemmeno il Padreterno potrebbe cambiare.

Forse l’unica vera riforma sarebbe di cambiare il modo di esistere e operare dei docenti, ma…

 

Origini e sviluppo

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La scuola nasce con Adamo ed Eva, allorché Abele e Caino impararono dai loro genitori, il primo a coltivare la terra, il secondo ad allevare gli ovini. Da quella lontana epoca la scuola ne ha percorsa di strada fino alla riforma voluta a tutti i costi, fino alla rottura in seno al suo stesso partito, da Matteo Renzi, il Primo ministro italiano pro tempore.

Ogni epoca ha avuto il suo o i suoi modelli educativi, quella paideia (educazione), detto con il greco, che caratterizza una civiltà e il modo con cui questa ha creduto di poter continuare la propria civiltà. Se, infatti, comprendiamo quale sia la prospettiva educativa, comprendiamo al meglio quel popolo, quello Stato. Fino a tempi recenti, la scuola era un fatto esclusivamente privato, lo Stato non aveva pressoché alcuna interferenza nell’istruzione e nell’educazione; si limitava, ma per le Università al controllo che tutto si svolgesse senza danno per lo Stato stesso.

L’educazione come l’istruzione era affidata ai genitori che provvedevano direttamente, come sapevano fare, o con l’ausilio di pedagoghi, di maestri e solo in età adulta il giovane provvedeva da se stesso, se le condizioni anche economiche lo permettevano, a quella formazione che oggi diremo universitaria e post laurea, i master di oggi.

Per restringere il campo, la scuola che oggi consociamo in Europa è nata nel mondo greco con l’Accademia di Platone, il Peripato di Aristotele il Képos di Epicuro, la Stoa e tante altre specializzate in vari settori, come quella di retorica a Rodi. Anche a Roma vi furono scuole importanti, tutte private che si reggevano sulla fama dello scolarca, il fondatore, e dei suoi aiutanti. Si pagava la retta e si otteneva l’insegnamento. A Roma, com’è noto, l’apice della formazione era nella figura dell’oratore come ben illustra Quintiliano sulla scia anche di Cicerone; era l’uomo buono esperto nel parlare, spesso assimilato ai nostri avvocati, ma è un paragone non propriamente preciso.

Nel mondo ebraico la scuola era quella della sinagoga, luogo di formazione religiosa e civile, perché nel Libro sacro vi era il contenuto e le prescrizioni previste dalla religione. Ogni Ebreo era tenuto a conoscerle e venerarle. I commenti erano pubblici e attraverso le sinagoghe dapprima si diffuse il cristianesimo, che poi ebbe propri momenti d’insegnamento del Vangelo che non aveva un luogo deputato, ma poteva esserlo qualsiasi, L’Aereopago ad Atene, ma anche la strada, perché l’ insegnamento rispondeva alla missione dell’annuncio della buona novella affinché coloro che l’udivano si convertissero. Non era un convegno o una manifestazione pubblica, un festival si direbbe a Vicenza, e nemmeno una diffusione per interessati al problema o iniziati: era una predicazione in ogni dove. Un modello che sarà seguito anche dalla predicazione di Maometto.

Nei primi secoli dell’era cristiana l’educazione era essenzialmente formazione religiosa e questa occupò fino all’Unità d’ Italia, ad esempio, un posto di rilievo con numerose ore dedicate allo studio dei contenuti della fede cristiana. La famiglia era direttamente coinvolta, ed era responsabilità dei genitori compiere questo importante compito. Accanto ad essa la comunità, soprattutto di domenica, quando con la lettura dell’Evangelo e la recita del Credo si imparava e si rinnovavano i contenuti della fede. Altri contenuti culturali erano trasmessi da scuole private, talora vicine o gestite dalla comunità cristiana stessa. Sorsero poi le scuole di formazione del clero sia nei vescovati sia nei monasteri. Quest’ultime soprattutto dopo la nascita dell’ordine benedettino. Scuole di questo genere sono ancora presenti in Italia e nel mondo e si rivolgono sia a coloro che intendono entrare nella vita religiosa o sacerdotale oppure hanno genitori che desiderano un ambiente religioso per una formazione educativa e non solo istruttiva.

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Solo con Carlo, re dei Franchi, dei Longobardi e primo Sacro Imperatore Romano nacque una scuola che è però un’istituzione che oggi sarebbe detta post-universitaria, come la Galileiana a Padova. La Scuola Palatina come si chiamava fu organizzata da Alcuino di York, Eginardo e Paolo Diacono ad Aquisgrana, la sede principale del nuovo Impero. Vari furono gli esponenti, tra cui ricordiamo il friulano Paolino di Aquileia. Costoro si rifacevano all’ideale antico, soprattutto romano e l’istituzione, quasi del tutto formata da religiosi, era però indipendente in qualche modo dal potere ecclesiastico. L’ambito dell’educazione e dell’istruzione rimaneva in ogni modo familiare o organizzato dagli ordini religiosi.

Un avvenimento di grande importanza è la nascita dello Studium bolognese nel 1088, l’università più antica d’Europa e per questo detta l’Alma Mater Studiorum. La data fu stabilita nell’ottavo centenario da una commissione presieduta da Giosuè Carducci. “Fondatore” è considerato Irnerio che, studioso di diritto romano, insieme a maestri di retorica e di logica approfondiscono proprio i temi giuridici, che saranno vanto dell’Università e richiameranno studenti da tutte le parti d’Europa. Famoso è ancor oggi il Collegio di Spagna e nella patria iberica “il bononiense” è lo studente che non è proprio dedito alle fatiche dello studio, quanto alla taverna e connessi.

 

In taberna quando sumus

Non curamus quid sit humus

Sed ad ludum properamus

Cui semper insudamus, ecc.

 

L’organizzazione universitaria di Bologna e delle altre università che nasceranno in seguito, nel 1222 Padova per distacco da quella felsinea, dopo un periodo in cui i maestri, trafughi, si erano stabiliti a Vicenza, era caratterizzata quattro Facoltà. Quella delle Arti liberali che è propedeutica alle altre. Vi si studia il Trivio (Grammatica, Retorica e Logica) e il Quadrivio (Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica). Seguono la Facoltà di Diritto, le Facoltà di Medicina e di Teologia, che è considerato lo studio apice degli studi e in cui eccellerà quella di Parigi, che sarà considerata per molti secoli la facoltà di riferimento e dove insegneranno i grandi teologi medioevali, tra cui Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.

 

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Scuola Medioevale

 

L’insegnamento è svolto secondo una formula precisa e presuppone che gli studenti abbiano già conoscenza precisa e puntuale del latino. Dapprima gli studenti radunati in un’aula ascoltano la lectio (lettura) di una parte di un testo considerata importante e che necessità di essere compresa, ma non vi è intelligenza del testo se non vi è lettura dello stesso. Segue la quaestio (questione) dove sono posti in luce le domande che si fanno al testo stesso e che un commentatore, il docente vero e proprio, illustra e spiega sulla base del testo e d’altre fonti: Infine, la disputatio (discussione), dove anche gli studenti portano il loro contributi, al fine di chiarire il testo e lumeggiare le varie questioni. I titoli accademici sono divisi in tre gradi progressivi: il baccalaureato, la licenza ed il dottorato, al termine degli studi. È spesso richiesto che gli studenti abbiano frequentato le lezioni di almeno due università diverse; esempio Tommaso Moro studiò a Lovanio e a Bologna, dottorato in teologia; Niccolò Copernico alla Jagellonica di Cracovia, poi a Bologna, Padova ed infine a Ferrara dove si laurea in diritto.

Dello schema medioevale rimane solo la lectio/ lezione, che, oggi, non consiste più nella “lettura”, ma nell’esposizione di contenuti da parte di un docente. Gli studenti ascoltano, talora pongono delle domande, molto raramente e infine studiano al proprio domicilio per sostenere gli esami, all’Università, le interrogazioni o i compiti e compitini nelle scuole. Di fatto il lavoro del docente nelle scuole italiane, tranne che per la scuola primaria, è molto vicino a questo schema, tanto che quando vi è necessità di chiarimenti e spiegazioni gli studenti si rivolgono a insegnanti privati.

L’educazione e l’istruzione primaria sono svolti dalle famiglie e a loro carico con maestri privati o qualche rara scuola. Una certa preoccupazione di ordine pedagogico precisa e strutturata rivelano alcuni umanisti per i ragazzi non in età di frequentare l’università. Si tratta delle riflessioni di Leon Battista Alberti, quelle di Guarino Guarini e di Vittorino da Feltre.

 

Il primo insisterà molto sulla formazione familiare con il suo Trattato del governo della famiglia, un tempo attribuito a Agnolo Pandolfini. Con chiarezza il grande umanista insiste perché le famiglie sono degne solo con buone assuetudini (educazione) e lodati studi (istruzione) e ciò porta all’onestà, ovvero alla formazione morale. Trattato importante di cui si hanno spesso echi anche in testi ad uso familiare come quello della famiglia dei San Bonifacio di Verona/Padova, cfr. Civiltà ed educazione: la Secreta Prammatica dei San Bonifacio, " Quaderni del Gruppo Bassa Padovana" 1986, Parte I, pp.165-188.

Di particolare interesse quella di Guarino dÈGuarini veronese che a Ferrara per circa trent’anni ebbe una “scuola –convitto” dove insegnò con metodi innovati le arti liberali. A Mantova, Vittorino da Feltre con la “Zoiosa” operò analogamente al veronese, ed ebbe circa 70 allievi tra cui i figli del Duca, della aristocrazia, ma anche figli di povera gente, ma desiderosi di studio.

Sono esempi che però ebbero qualche diffusione. Anche se dobbiamo tener presente che “il leggere, lo scrivere e l’abaco (il far di conto) non erano proprio così necessari alla vita quotidiana, ma erano comunque circondati da rispetto. Proprio dall’attenzione che ebbero gli umanisti si può dire nacquero le istanze di una scuola maggiormente diffusa, dove non fossero solo i religiosi o i mercatanti ad avere delle conoscenze.

Un passo decisivo in tale direzione sarà compito dalla riforma di M. Lutero. Egli riteneva che tutti dovessero leggere la Sacra Bibbia, che lui stesso tradusse nella lingua tedesca. Ciò perché ogni individuo era, attraverso il testo sacro, doveva essere in relazione diretta con Dio e senza mediazioni della gerarchia ecclesiastica. Accanto alla lettura la conoscenza del canto per i Salmi. Questa istanza, che non era una novità, l’avevano proposta anche altri, Jan Huss in Boemia nel Quattrocento, fece sviluppare sempre più l’esigenza di un’istruzione elementare. Tutti i movimenti riformati sostennero questa, ma l’istruzione era funzionale solo alla fede.

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

Comenio, orbis pictus

 

Il primo che con chiarezza impostò il valore della scuola del popolo, detta anche successivamente, elementare fu Jan Amos Komenskẏ, latinamente Comenio, di origini ungheresi e riformato con i suoi testi Didatica magna, Leges scholae bene ordinatae, Schola pansophica, e quelli di grammatica latina e boema, pose le basi per un insegnamento non lasciato all’improvvisazione e all’arbitrio del docente, ma impostato con chiarezza di fini e mezzi e ciò per formare il buon cristiano, perché educare è vivere e questo vale anche per tutti anche per le donne (novità). La sua eredità è ancor oggi con I piccoli libri di illustrazione del mondo destinati ai bambini, si tratta dell’l’Orbis terrarum pictus (1658)

Anche nell’ambito della Chiesa cattolica, soprattutto dopo il Concilio di Trento, si operò nell’ambito educativo e ne furono protagonisti diversi ordini religiosi, tra cui quello dei Gesuiti, dei Barnabiti, degli Scolopi (Ordo Clericorum Regularium Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum) e ricordiamo anche le scuole delle Dame Inglesi. Molti altre istituzioni religiose fino ad oggi si sono preoccupate e si preoccupano della formazione dei giovani, istruzione ed educazione.

La ratio studiorum era diversa da istituto a istituto, quella dei Gesuiti ebbe molto successo ed era oltre che istruttiva anche formativa del carattere e della relazione con la società. Difficile ricordare tutti gli importanti allievi delle scuole religiose, quasi tutti,m dato che non esistevano certo le scuole gestite dallo Stato, se non per quel che riguarda qualche importante istituzione accademica. Il sovrano si limitava al controllo e insieme all’autorità religiosa vigilava sull’ortodossia, ne fece le spese il monastero e le scuole di Port Royal a Parigi che furono letteralmente abbattute, su pressione soprattutto dei gesuiti, perché accusate di deviazione dall’ortodossia, erano considerate seguaci di Giansenio il vescovo olandese che propugnava una visione integralista dal punto di vista morale del cattolicesimo.

Solo nel secolo dei lumi iniziò ad affacciarsi l’esigenza di scuole “Statali” e questo per sottrarre alla ambito religioso il monopolio della istruzione e d educazione dei giovani. Tale prospettive ebbe soprattutto seguito in Francia e dopo la Rivoluzione del 1789 soprattutto con il potere di Napoleone si sparse in tutta Europa continentale.

Un preciso interesse per l’istruzione elementare del popolo mostrerà l’Impero asburgico nei domini diretti di Casa d’Austria, dove l’Imperatore Giuseppe II, il re sacrestano, promosse “scuole parrocchiali” per l’istruzione elementare e religiosa.

È però l’Ottocento che vede nascere l’impegno dello Stato nelle scuole in particolare di quelle che oggi chiamiamo “licei” Nei domini diretti Napoleone volle l’istituzione di Licei ed Educandati almeno nelle principali città e scuole elementari in ogni Comune. Nacquero così nel regno d’Italia i licei di Venezia, Padova, Vicenza (oggi “A. Pigafetta” e Verona, ecc. e a Montagnana L’Educandato “S. Benedetto di Montagnana” nel 1811, destinato alle ragazze, cosa che durò fino a tempi alquanto recenti.

Già nella temperie illuminista alcuni pensatori si erano preoccupati del problema educativo, tra questi è ben noto il nome di J.J. Rousseau con Emilio considerato un testo pedagogico, ma più che per i fanciulli il testo era una proposta di nuova umanità. Nonostante ciò però ancor oggi da riferimento per un’educazione dove è la natura ad educare più che la civiltà corrotta degli uomini. Meno noto è I. Kant che s’interessò alla pedagogia, perché riteneva che solo l’uomo è essere suscettibile di educazione de per educazione intendeva, “ l’assistenza e il mantenimento (allevamento), la guida (disciplina, governo) e l’istruzione collegata alla formazione spirituale (cultura) ” (cfr. I. Kant, Pedagogia, a cura di N. Ruspantini, Firenze, F. Le Monnier, 1953, p.3).

Nell’Ottocento la scuola sarà, soprattutto con il Romanticismo e il Positivismo, un punto centrale per la riflessione e soprattutto per la sua organizzazione in tutta Europa. Dopo il periodo napoleonico che aveva di proposto e realizzato la scuola statale, abolendo quella “,ossia quella organizzata dagli ordini religiosi, numerose sono le proposte per la scuola. Lo svizzero J.H. Pestalozzi e il tedesco F.Froebel dal versante romantico e lo stesso A. Comte per il positivismo delineano i nuovi orizzonti. In particolare l’ambito del positivismo avrà numerosi seguaci e possiamo senza dubbio affermare che l’impostazione di questo movimento avrà nella scuola molto successo. Legato alla dimensione della ricerca scientifica si apre ai nuovi orizzonti che la sociologia e la psicologia offrono. L’impostazione è molto precisa e avrà successo, perché intende fornire le basi, ossia gli elementi fondamentali dell’istruzione: leggere,scrivere e far di conto, e si richiama costantemente a ciò che è verificabile direttamente. Una prospettiva anche dal punto di vista organizzativo facile ad essere realizzata; infatti, a questa si richiamerà soprattutto la struttura organizzativa della scuola statale dapprima del regno di Sardegna e dopo l’Unità d’Italia a tutto il nuovo Stato. La diffusione della Scuola elementare diverrà importantissima e segnerà anche l’avvio dell’emancipazione dei ceti sociali, con la proposta di scuole elementari serali o organizzate dal Partito Socialista, Come non ricordare per l’Italia l’opera di R. Ardigò di A. Gabelli, ma anche la narrazione del grande compito sociale della scuola da parte di E. de Amicis con Cuore, che ha formato generazioni intere di docenti e alunni alla sensibilità culturale, nazionale e sociale.

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Certo, esistono molti altri modelli, come quello dello scrittore russo L. Tolstoj, o quella di R. Steiner, il fondatore dell’antroposofia, che ha ancora diversi seguaci nell’ambito pedagogico, ma ciò che finisce con il prevalere è la prospettiva che la scuola sia prima di tutto statale quindi laica, come si direbbe oggi, e solo scuola d’istruzione, dove siano fornite le nozioni fondamentali della conoscenza e della vista associata. Non è una prospettiva priva di dimensione ideologica, ma ha avuto un vero e grande successo e ad essa ancor oggi ci si richiama quando si ha modo di verificare quanto poco di strumenti culturali abbiano i giovani.

L’Italia, come altri Stati, sposò questa prospettiva soprattutto nelle dimensione delle scuole elementari e di quelle tecniche, che proponevano una precisa prospettiva scientifica, basti ricordare M. Montessori. Il modello era quello adottato in Germania, e non incontro difficoltà ad essere adottato, nonostante che si avvertisse qualcosa di non propriamente consono alla cultura italiana, come ebbe modo di dire G. Zanella (cfr. Giacomo Zanella educatore, Vicenza, Editrice Veneta, 2013).

L’ambito della ricerca scientifica entrò a partire dalla seconda metà dell’Ottocento in modo preponderante nella prospettiva di formazione scolastica e nel Novecento proseguì in particolare nel mondo anglosassone con lo statunitense J.G. Stanley Hall (1884-1924), la quale si propone di studiare il fanciullo in tutti i suoi aspetti, somatici e psichici e di controllare con rigore sperimentale l'efficacia dei vari metodi e delle varie tecniche nel campo didattico.

Lo stesso marxismo adottò la visione scientifica della formazione scolastica, ma la rivestì del suo peculiare contenuto ideologico. La scuola doveva formare i militanti e i “convinti” del comunismo e così la scuola ebbe in unione Sovietica la dimensione di essere uno strumento statale al servizio di una particolare prospettiva ideologica. È l’esempio della nascita della scuola del totalitarismo, dove non l’uomo, la persona, la formazione, la scienza ma l’ideologia è determinante la vita di ogni individuo, che non è mai propriamente tale se non si riconosce nella dimensione unitaria che il Partito stabilisce per tutti indistintamente i membri dello Stato.

Proprio nel Novecento si consolida nell’Europa continentale una visione solo “statale” della scuola, perché lo Stato è l’Educatore del popolo e nessuno può interferire. Ben diversa la situazione nei paesi di cultura anglosassone, dove la scuola privata si affianca senza problemi, nonostante qualche prospettiva laburista, a quella statale.

Per rimanere in Italia nel Novecento abbiamo tre grandi riforme della scuola (G. Gentile, G.Bottai e L. Berlinguer) che investono tutti gli ambiti della scuola, dalla inferiore alla superiore e perfino quella universitaria. Vi sono poi altre riforme parziali, quella della Scuola elementare nel 1955, quella della Scuola media nel 1962. Dal 1948, dopo che una Commissione degli Alleati fece piazza pulita della Riforma Bottai, recuperando in parte quella di Gentile. La Costituzione della Repubblica Italiana con chiarezza parla di una scuola, statale e privata d’istruzione (art.33), lasciando alla sola privata dei compiti educativi. Quest’ultima è istituita, (fondata) senza oneri per lo Stato, il che, in italiano, non vuole dire che lo Stato non possa contribuire alla sua gestione. Dal 1 gennaio 1948 entrò in vigore la Costituzione e quasi ogni governo si è fatto vanto di proporre una riforma della Scuola, tanto che le idee riformatrici occuperebbero tanti grossi volumi.

Ecco il quadro generale delle riforme in Italia, che sempre guardò con interesse più alla scuola statale che non a quella privata e con precise motivazioni ideologia, dapprima anticlericali che provenivano dall’ambiente positivista e massonico, successivamente quelle stataliste e totalitarie del fascismo e nel dopoguerra si privilegiò la scuola statale, secondo le istanze popolari della Democrazia Cristiana, culminate nella prospettiva che chiamiamo”alla don Lorenzo Milani”, quelle socialiste e quelle del variegato mondo comunista che ebbero successo soprattutto dopo il 1970 con il loro carico ideologico e che ancor oggi è preciso riferimento per molti docenti, che confondono la scuola pubblica con quella statale, ma ciò perché nella loro visione ciò che è pubblico non può che essere statale. Questo spiega la difficoltà di relazioni tra l’ambito scolastico e quello privato dell’industria, che se finanzia, dicono gli intellettuali del politicamente corretto nella scuola, è per condizionare. In realtà si teme di non poter proporre la prospettiva ideologica che, negata in pubblico, è ben seguita nel proprio pensiero e perché si opera nella scuola.

Ecco il quadro generale delle riforme:

7.1 La legge Casati (1859)

7.2 La legge Coppino (1877)

7.3 I programmi della scuola elementare del 1888

7.4 Primo Novecento

7.5 La legge Orlando (1904)

7.6 La legge Daneo - Credaro

7.7 La riforma Gentile (1923)

7.8 Istituzione della scuola di avviamento professionale (1928)

7.9 La carta della scuola (1939)

8 La scuola nell'Italia repubblicana 8.1 I programmi della scuola elementare del 1945

8.2 La scuola nella Costituzione del 1948

8.3 Il progetto Gonella di riforma

8.4 Proposte di legge del 1959

8.5 La riforma della scuola media del 1962

8.6 Istituzione della scuola materna statale

8.7 La liberalizzazione degli accessi all'università e le modifiche dell'esame di maturità

8.8 Anni settanta Riforma della Scuola media e inserimento dei portatori di disabilità, abolendo le classi differenziali.

8.9 Anni ottanta Riforma Brocca

8.10 Anni novanta La riforma Berlinguer

8.10 Anni duemila

8.10.1 Riforma Moratti

8.10.2 Riforma Fioroni 2006-2007

8.10.3 Riforma Gelmini

8.10.4 Riforma Renzi

 

Accanto, come si è detto, miriadi di proposte di riforma, ma una mai è stata proposta, è quella di cambiare la figura del docente, ancorata ad una funzione molto simile a quella medioevale. Non un docente, tranne che per la scuola primaria in parte, che affianca gli studenti e con loro “lavora”, ma un “esperto” che spiega una parte del programma con una lezione frontale, qualche ulteriore spiegazione, ma soprattutto interrogazioni, compiti e compitini. Il docente svolge la sua professione in massimo 18 ore frontali, dopo ha, come dicono gli insegnanti, una parte cospicua, mai possibile ad essere quantificata, di preparazione delle lezioni frontali, bisogna pur ripassare Giotto, l’isocronismo del pendolo, Anassimene, la battaglia delle dune 1639, o la parafrasi del XVII canto del Paradiso dantesco o ancora il verso della filettatura di una vite o il modo di fare bene un tiramisù. A questo segue la correzione dei compiti, per quelli in italiano, mi si è detto che servono fino a 40 minuti a compito. Poi gli impegni per gli organi collegiali, che richiedono preparazione, e fatica, il ricevimento settimanale e tri-quadrimestrale dei genitori. Una vita lavorativa che alla relazione con gli studenti lascia ben poco, appunto quei massimo 50 minuti di spiegazione.

Come si diceva, quasi nessuna riforma ha “osato” mettere in discussione la funzione docente, essa rimane ancorata all’antico modello e ciò che importa è il numero di posti di lavoro, quasi che il vero problema della scuola sia solo quello dell’immissione in ruolo dei docenti, come ben attesta l’ultima riforma, che deve tener presente il richiamo europeo a una maggiore precisione e serietà nel trattare i lavoratori della scuola, abolendo, di fatto, la piaga del precariato.

Ma tutte le riforme non sono approdate che all’altre riforme, in una catena di cui non s’intravede la fine.

Questa è la realtà, accanto le favole. Ogni riforma dice di se stessa che sarà quella definitiva, quella risolutiva e così fa coltivare l’illusione che la scuola cambierà.

 

La scuola: da Adamo a Renzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Il docente oggi… come ieri

 

Forse è tempo di cambiare, ossia di pensare una nuova figura di docente, slegata dall’antico modello e capace di operare insieme con i discenti e di considerare che un modello unico, tipico dello statalismo totalitario, non è necessariamente il modo migliore di esistere della scuola. La scuola statale non è la miglior scuola possibile. Infatti, solo un’articolazione diversificata, può fornire prospettive diversificate. Lo Stato controlli, ma non determini il modello, perché esso è fallimentare oltre che troppo costoso e non gratificante i lavoratori stessi.

Solo qualche voce osa dire che i docenti dovrebbero svolgere tutte le attività a scuola, con un orario eguale a tutti color che lavorano, ossia circa 36 ore alla settimana, suddivise nelle varie attività necessarie, in fondo si può correggere i compiti anche a scuola, come fa oggi qualche docente durante i Collegi dei docenti, e non si neghi!

Insomma Il Primo Ministro Italiano, che certo non ha la statura né di Gentile e nemmeno di Bottai e neppure quella di Nosengo, avrebbe fatto meglio a cambiare il ruolo del docente e basta. Forse così un vero cambiamento poteva avviarsi, invece rimarremo sempre nel solito copione. I docenti insegnano dalla cattedra e gli studenti, ubbidienti, come Abele, impareranno qualcosa… forse.

 

nr. 28 anno XX del 18 luglio 2015



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