La compagnia Teatro del Lemming è stata grande protagonista a Vicenza la scorsa settimana con un progetto che riprende uno dei lavori più celebri del teatro di ricerca italiano, firmato da Massimo Munaro, direttore della compagnia: “L’Edipo dei Mille-parte III”. Andato in scena in varie location della città per 10 giorni, lo spettacolo prevede la partecipazione di un solo spettatore a replica che viene bendato e che vive l’esperienza in totale interattività con gli artisti. Il Teatro del Lemming tornerà in scena a Vicenza prossimamente all’Olimpico con uno spettacolo sul mito di Amore e Psiche, per due spettatori, un uomo e una donna, e al TCVI a dicembre per la rassegna “luoghi del contemporaneo-prosa” con “Romeo e Giulietta”. Info http://www.teatrodellemming.it/vicenza/ab23
Questo spettacolo hai cominciato a concepirlo alla fine degli anni ’90.
Massimo Munaro: “Sì, l’“Edipo- tragedia dei sensi per uno spettatore” nasce nel ’97, per me rappresenta il grado zero perché un solo spettatore è il grado minimo dell’esperienza teatrale. È una sorta di manifesto della nostra poetica ed è sempre rimasto in repertorio anche perché ha una valenza pedagogica per l’attore e per lo spettatore, è un’esperienza a suo modo radicale, una sorta di ribaltamento delle abitudini. Nel 2011, nel 150°anniversario del’Unità d’Italia, interrogandomi su come era possibile passare questa esperienza, ho immaginato un progetto pedagogico spettacolare che ampliasse l’esperienza dell’Edipo. Ho preparato degli allievi come ho fatto qui a Vicenza, divisi in più gruppi che in contemporanea realizzano Edipo in 10 giorni, per 300 spettatori. L’“Edipo dei Mille” è l’idea di come nell’immaginario collettivo l’Unità d’Italia si fondi sul coraggio, fa parte costitutiva anche del mito, non mi interessa la storia: 1000 giovani, e non a caso erano giovani, rischiano il tutto per tutto per un’utopia totale perché l’Italia era scissa e sono riusciti in qualche modo a produrre una grande trasformazione. L’idea che dei giovani possano comunque incarnare e presentare un altro modo possibile di fare teatro e che in qualche modo lo affermassero nei luoghi storici e simbolici della città, oltre all’ab 23 che è la nostra sede da qualche mese qui a Vicenza, abbiamo deciso di realizzarlo a Palazzo Cordellina, un palazzo storico della città, e alla Basilica Palladiana che è l’emblema della città. Allora l’Edipo, così diverso dalle abitudini dello spettatore di oggi, in realtà ritorna e si afferma nella centralità del corpo in tutti i sensi: corpo della città, dello spettatore e del corpo scenico, che diventa soggetto drammaturgico di un’esperienza. Gli occhi sono chiusi ma per aprire e per far esplodere gli altri sensi che diventano elementi della drammaturgia".
Nella teatralità convenzionale l’interazione dello spettatore con l’artista è la risata oppure lo stupore, oppure il pubblico ha la possibilità di orientare lo sguardo verso dei particolari prescelti. Qui invece ho avuto l’impressione che l’interattività determinasse l’andamento drammaturgico.
“L’idea è che almeno in due momenti fondamentali del lavoro lo spettatore è “costretto”a scegliere, uno è “prendo la mela o non prendo la mela” l’altro è il momento in cui non può non scegliere, quando appaiono due figure, una bianca e una nera. Uno dei temi dell’Edipo di Sofocle e del mito di Edipo è il tema della libertà: siamo liberi o siamo mossi dal destino? Allora lo spettatore è libero di fare quello che vuole ma comunque è sempre mosso dagli attori. Come nella vita in cui siamo liberi però forse ci sono delle forze che ci muovono: la psicanalisi ci dice che è l’inconscio ci muove. Lo spettatore fa esperienza in questi 30 minuti in modo vertiginoso del suo statuto di essere libero ma non del tutto, a volte essere costretto a una libertà è una cosa anche angosciosa: alcuni spettatori fanno fatica a scegliere per esempio tra il bianco e il nero, passa un tempo indefinito".
Tutto quello che succede in ambito teatrale per quanto possa essere forte, ti può smuove delle opinioni però fisicamente non può mai essere pericoloso: tu arrivi, chiudi la porta dietro di te e hai una guida.
“Quando Edipo viene esiliato, alla fine, è la figlia-sorella Antigone che si prende cura del vecchio padre. L’idea è che ci sia sempre una guida, un angelo, un’Antigone che appunto ti protegge. Tutte le esperienze anche estremamente forti e violente sono comunque accettate dallo spettatore perché viene sempre accudito. C’è una dimensione estremamente affettiva nel lavoro: quando dico “grado zero” è perché ci riporta ad un atto primario e fondamentale dell’esperienza teatrale che è quella della relazione, del contatto umano, della solidarietà, della fraternità, dell’amore, se non fosse difficile usare questa parola. Anche nei momenti più crudeli e più forti, c’è sempre un’affettività potente e questo lo spettatore lo sente e sente che tutto ci che accade non è gratuito. Il teatro è uno dei pochi luoghi che ci sono rimasti in cui possiamo costruire e vivere un’esperienza di condivisione emotiva di fraternità e affettività tra sconosciuti".