NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892-1975)

di Italo Francesco Baldo

facebookStampa la pagina invia la pagina

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892-

Introduzione

Libri, di scuola, giornali, riviste di storia, Istituti costituiti appositamente e anche una certa retorica che è esibita da più o meno illustri studiosi e soprattutto da “politici” in occasione deputate ci ricordano sovente che vi furono importanti e meno importanti uomini che dedicarono la propria vita fino alla morte, il proprio pensiero e le proprie azioni ad ideali contro movimenti e partiti totalitari, in particolare coloro che negarono valore democratico al fascismo, al nazionalsocialismo e al franchismo. Molti si opposero a queste prospettive politiche fin dal loro esordio, celebre l’ultimo discorso pronunciato da Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati del Regno d’Italia sulla libertà il 30 Maggio 1924. A Vicenza fu uno dei primi testi stampati contro il fascismo nel 1943 nelle Collezioni Del Palladio, Off. Tip. Vicentina, che editò pure diversi altri testi di rilievo tra cui quelli di Mario Dal Pra e Antonio Giuriolo.

Chi non ricorda l’opposizione al nazionalsocialismo di Dietrich Bonhoeffer impiccato nel Lager di Flossenbürg, chi non ricorda l’opposizione al franchismo di Pablo Ricasso con il celebre quadro “Guernica”. Ma un colpevole silenzio, anche da parte degli storici, in particolare quelli italiani, circonda l’analisi, la valutazione di quello che fu l’iniziatore del totalitarismo del Novecento nel 1917 il 26 ottobre (calendario giuliano). Intendo quel comunismo sovietico che fu tanto determinante a partire dalla fine del primo conflitto mondiale della politica mondiale ed in particolare di quella italiana, dapprima con Antonio Gramsci, Amedeo Bordiga e Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e altri, che al termine del “Biennio rosso” fondano nel 1921 a Livorno il partito Comunista d’Italia, mentore Vladimir Ulianov Lenin, che nei comunisti italiani vede un serio appoggio alla sua rivoluzione. Da quel momento fino al cosiddetto “strappo” da Mosca nel 1969, che però non fu finanziario, il comunismo italiano fu fedele seguace di quello sovietico, anche nella barbarie delle repressioni contro i polacchi, i cechi, gli slovacchi, i lituani, i lettoni, gli estoni, i finlandesi, i romeni, i bulgari e soprattutto gli ungheresi, bollati come teppisti e osannarono l’Urss, perché quello Stato portava la pace…dei cimiteri. Osteggio la ribellione del popolo ungherese l’esponente comunista Giorgio Napoletano, nel 1956 responsabile della commissione meridionale del Comitato Centrale del PCI. Cinquant’anni dopo nella sua autobiografia politica Dal PCI al socialismo europeo, Napolitano parla del suo "grave tormento autocritico": tutto qui e ci pare un po’ poco!

Il famoso strappo dal totalitarismo sovietico compiuto da Enrico Berlinguer fu compiuto solo, si dice, 25 anni dopo la morte di Stalin e nel momento in cui l’URSS era guidata da Leonid Il'i Brežnev, Segretario generale del PCUS. Quello strappo, strumentale con la ripresa della cosiddetta via al socialismo di Gramsci, che mai è stata chiara, era strumentale alla lunga marci al potere che il PCI aveva inaugurato con Togliatti dopo il trattato di Pace Italia-USA.

Con il totalitarismo del comunismo sovietico mai si sono fatti i conti, si è preferito e si preferisce ignorare, lasciar correre. Qualche tentativo è stato fatto, ma subito ricoperto anche d’ingiurie.Il Comunismo, i suoi ideali, i 10 punti de Il Manifesto del partito Comunista di K. Marx e F. Engels, che alla fine non si riducono ad altro che all’egualitarismo economico sono stati in ogni periodo del PCI e successori ben vivi e vegeti e ancora sono vitali. Nonostante le mascherature addirittura a livello di un blando nazionalismo, considerato strumentale e valido se necessario perfino da Lenin, dell’attuale segretario del partito erede di quello di Gramsci e Togliatti.

Di una grande storia del totalitarismo in URSS, oltre 70 anni e di quello italiano dal 1921 almeno fino al cambiamento del nome con Achille Occhetto che ebbe l’onore di intellettuali che lo considerarono a livello dell’eroe omerico, Cfr. U. Curi, Lo scudo di Achille: il Pci nella grande crisi, Milano, Franco Angeli, 1990, vi è poca traccia, tranne che nelle considerazioni dei cosiddetti “di destra2 indegni, dicono gli storici organici e politically correct, di essere considerati - come lo fu Renzo De Felice, reo di non attenersi alla vulgata antifascista, perché fece seriamente la storia del fascismo, apprezzata in tutto il mondo, ma non dai soliti intellettuali italiani.

Se non si è avuto il coraggio da parte degli intellettuali di sinistra di fare la storia del totalitarismo sovietico e delle sue appendici italiane, figuriamoci se costoro tracciano la storia degli oppositori, nemmeno intendono farne memoria, dando così la chiara ed evidente collateralità alle idee dominanti, che prevedono si possa parlare dell’antifascismo, dell’antifranchismo e derivazione, ma mai del totalitarismo sovietico, di quelli ancora esistenti in Cina, Corea del Nord, Vietnam e lo strascico a Cuba.

Il totalitarismo ha solo le vittime che debbono essere politicamente corrette, le altre sono caparbiamente ignorate. Intendo parlare di quegli oppositori in URSS e nei paesi “liberati dal totalitarismo sovietico che subirono per oltre 50 anni il ruglio dell’orso, che non minacciò operò in patria e in ogni dove contro coloro che non “la pensavano”, come dovevano pensarla. Ciò a dato origine a quel paradosso che recita”. Chi è più civile e democratico colui che nega l’uguaglianza tra le persone e manda al lager coloro che ritiene diversi da sé, oppure quello che afferma l’uguaglianza tra le persone, ma invia al Gulag coloro che non hanno identità di pensiero?

Il numero di coloro che si opposero al totalitarismo sovietico in URSS e nei paesi satelliti e in quelli Italia, bramosi dove una parte era bramosa di essere comunista, basti ricordare i fatti di Malga Porzûs, il biennio 1945-47 e l’uccisione di tanti sacerdoti e il vilipendio, che dura a tutt’oggi, di coloro che non si allineavano, i socialisti di P. Nenni o coloro che erano e sono considerati “nemici tout court, ammonta a decine di milioni, si parla di cento milioni di vittime e non si contano i vilipesi. Forse qualcuno afferma che vi è dell’esagerazione, ma quanto? Il 10% il 30%, addirittura il 50%, ma alla fine restano sempre dei milioni di morte in nome di idee che negano prima di tutto la libertà del pensiero e la democrazia in politica, a meno che non sia la democrazia come la impone il Partito. Tra tutti i milioni di vittime (cfr. AA.VV., Il libro nero del comunismo, Milano, 1998), ne ricordiamo due, una Pavel Aleksandrovič Florenskij ((1882 – 1937), filosofo, matematico e presbitero russo, che subì prima le persecuzioni e poi la morte a cura del comunismo sovietico, reo di essere per una autentica relazione tra verità e libertà. Accanto a lui quest’anno si ricorda un altro uomo di religione, che subì la vessazione continua da parte delle autorità comuniste, mai democraticamente elette e sempre imposte con la ragione delle truppe e delle armi sovietiche, Parlo di József Mindszenty (Csehimindszent (29 marzo 1892 – Vienna, 6 maggio 1975) di cui ricorre il quarantesimo dalla morte e che va ricordato. La sua grande statura morale contro il comunismo è ancor oggi monito per coloro che elevano il particolare bad assoluto, cioè a coloro che della politica hanno ancora una visione totalitaria.

 

Jozef Mindszenty

Il futuro cardinale primate d’Ungheria nasce a Mindszent nel 1892, un villaggio della campagna ungherese, da János Pehm e da Borbála Kovács; nel 1941 cambiò cognome prendendolo dalla città natale. Studiò nel seminario di Szombathely e fu ordinato sacerdote della Chiesa cattolica il 12 giugno 1915. Il primo arresto lo subì all’indomani della fine della prima guerra mondiale, quando in Ungheria s’insediò il potere di Bèla Hun, contro il legittimo sovrano Carlo d’Asburgo, che avversava la chiesa cattolica. Ben note sono le vicende che condurranno il dittatore ad essere collaterale del nazionalsocialismo. Liberato, i giovane sacerdote esercitò il suo servizio e nel 1944 fu elevato alla cattedra vescovile di Veszprém. Nello stesso anno fu imprigionato dalla polizia nazionalsocialista, fino al 1945, divenne arcivescovo di Strigonio e nel 1946 Pio XII lo elevò alla dignità cardinalizia.

L’Ungheria, secondo i Patti di Yalta finii sotto il tallone sovietico e un piccolo partito comunista ungherese prese il potere, iniziando subito a perseguitare i membri della chiesa cattolica ed in particolare il primate d’Ungheria, che, secondo tradizione, aveva anche compiti civili. Erra un simbolo da abbattere per i comunisti, che nella loro visione tutti coloro che non la pensano come loro sono nemici e particolarmente coloro che richiamano ad una visione trascendente, in altre parole la fede religiosa è il primo nemico da abbattere secondo quanto lo stesso K. Marx affermava.

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892- (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Dopo l’anni mariano proclamato dal presule nel 1947 per la nazione ungherese il proconsole di Stalin in Ungheria Rakosi, attaccò il Cardinale con inaudita violenza. Il 26 dicembre 1948 fu arrestato e sottoposto a tortura e umiliazioni, picchiato e drogato e costretto ad ascoltare oscenità di ogni tipo, per costringerlo a confessare che aveva complottato contro il regime. Fu istituito un processo per “reati contro il regime” e condannato all’ergastolo, ma sotto la sua firma, quando fu costretto a sottoscrivere l’atto in cui si accusava di aver cospirato contro il governo scrisse la sigla C.F. (coactus feci, ossia "firmai perché costretto"). Gli aguzzini comunisti avevano spezzato una delle più nobili figure della Chiesa Cattolica con metodi degni del nazionalsocialismo che dicevano di combattere per instaurare la loro dittatura, che ha la caratteristica del totalitarismo, come ha ben analizzato A. Arendt nel suo celebre testo Le origini del totalitarismo (Milano, CDE, 1996).

Il regime otteneva una vittoria, che ebbe eco in tutto il mondo. Il regime di carcerazione cui fu sottoposto l’alto prelato prevedeva addirittura l’interruzione di qualsiasi pratica religiosa, perfino la preghiera., la consolazione degli afflitti.

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892- (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)In carcere si ammalò e ciò aggravò ulteriormente la sua condizione. Nel 1956 l’insurrezione degli ungheresi contro il regime comunista. Gli insorti, tanto vilipesi dai comunisti italiani, liberarono il Cardinale Mindszenty, ma la rivolta fu soffocata, come tutte le altre fino al 1989, dalle truppe sovietiche. Il Cardinale si rifugiò nell’ambasciata degli Stati uniti d’America, fino al 1971 quando a seguito di trattative tra il presidente americano Nixon e le autorità ungheresi, non consentì la sua partenza per Roma, dove fu accolto dal papa Paolo VI. Era anche lui un esponente della Chiesa che dopo anni di impedimento ad esercitare per il suo popolo il servizio episcopale, era liberato. Come un altro esponente della Chiesa cattolica ucraina, detta uniate, il cardinale Servo di Dio Josyf Slipyj, che subì angherie, torture e carcerazione. Insieme a lui, ricordiamo: František Tomášek (1899 1992), Štěpán Trochta (1905 –1974), Josef Beran (1888 –1969), Stefan Wyszyński (1901 –1981) e molti altri sacerdoti e laici cattolici.

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892- (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il cardinale Mindszenty non fu mai favorevole alle trattative che la Chiesa, a partire dagli anni del pontificato di Giovanni XXIII, intendeva stabilire anche con i regimi comunisti, la sua visione era ancorata a quella di Pio XI e Pio XII che con lucidità avevano intravisto la portata del comunismo sovietico come repressione della libertà e soprattutto di quella religiosa, che trovò però nel Concilio Vaticano II una sua solenne affermazione, proprio contro la negazione di questa nei paesi comunisti. Il primate d’Ungheria, attraverso i canali diplomatici riuscì sempre a denunciare i governi comunisti e le dure repressioni cui sottoponevano sacerdoti e semplici credenti cattolici e alla violazione dei diritti umani per tutti i cittadini. Si oppose perfino al Cardinale segretario di Stato di Paolo VI, Jean Villot per il modo con cui la Santa sede nominava i vescovi. Era quasi tacitamente inteso, che i nuovi vescovi doveva essere graditi al regime, il primate vi si oppose, anche se la sua condizione lo rendeva impotente.

Il vento diplomatico della Chiesa cattolica con i Cardinali A. Casaroli e A. Silvestrini cambiò, si cercò una relazione di minor contrasto, con la consapevolezza che i regimi politici comunisti non poteva durare, ma la realtà chiedeva una Ostpolitik vaticana, come se questa non fosse stata condotta fin dagli anni venti del Novecento da papa Pio XI che non era certo meno intransigente del cardinale ungherese contro il totalitarismo sovietico e soprattutto nazionalsocialista, come si espresse nell’enciclica del 1939 Mit brennender Sorge (con bruciante preoccupazione).

Il numero uno della diplomazia vaticana, il cardinale Casaroli, pur ammirando quello ungherese, lo considerava però un ostacolo alla sua Ostpolitik, e chiese ripetutamente che egli abbandonasse l’ambasciata americana, trovando sicuro rifugio tra le mura leonine di Roma. La presenza del cardinale era ormai un ostacolo anche per la politica americana nei Paesi dell’Est, e con “diplomazia” il cardinale accettò di andare esule a Roma. Qui riprese il suo servizio episcopale soprattutto per le comunità ungheresi sparse nel mondo, ma la politica del regime comunista ungherese, voleva il suo silenzio e lo ottenne. Paolo VI chiese anche le sue dimissioni da Primate d’Ungheria, lo esigevano le solite ragioni diplomatiche e politiche, ma il cardinale Mindszenty oppose un secco rifiuto al pontefice, che nel 1973 lo dimise d’autorità. Triste epilogo per colui che con lucidità e chiarezza si era opposto non solo all’ideologia comunista, ma anche alla sua realizzazione e alle possibili col lateralità del Vaticano, ma non su ascoltato.Nel 1975 morì a Vienna, non vedendo la fine che il totalitarismo che aveva tanto combattuto si rovesciasse e la Chiesa cattolica con Giovanni Paolo II essere in prima fila per questa fine ingloriosa di un regime che tanto si avanzava sicuro nella storia, lastricata dalle passioni, dai carceri e dalla morte di tanti uomini.

Nel 1991 l’Ungheria ormai libera dal totalitarismo, si ricordò del suo Cardinale e organizzò la sepoltura del suo Mindszenty nella cripta della cattedrale di Nostra Signora e di sant'Adalberto. Nel 1996 si è aperta la causa di canonizzazione. Lo Stato ungherese solo nel 2012 ha chiuso la revisione del processo-farsa del 1949, riabilitando definitivamente il prelato dall’infamante accusa di aver cospirato contro l’Ungheria, in realtà solo di essersi opposto alla dittatura del comunismo in nome di una libertà che è prima di tutto libertà dell’anima e del pensiero, contro i quali non possono prevalere le forze che non hanno come primo scopo la dignità di ogni uomo e credono che “di sola politica” si possa vivere e morire.

Ricordare per riflettere: József Mindszenty (1892- (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)L’esempio di quest’uomo di chiesa non è unico, come abbiamo detto, ma ricordarlo è ricordare che l’uomo deve sempre essere al centro della visione della politica e non nei suoi aspetti particolari, ma in una prospettiva più vasta. Il Cardinale József Mindszenty fu protagonista di questa direzione di vita e il suo sacrificio sia sempre considerato importante, anche al di là di quelle esigenze “diplomatiche”, frutto della contingenza alla quale capitolano talora anche coloro che non dovrebbero curarsene.



nr. 35 anno XX del 3 ottobre 2015

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar