Il vento dei nuovi direttori generali delle ulss insieme con la riduzione drastica del numero delle aziende sta portando decisamente la categoria dei medici (di famiglia o ospedalieri non marca alcuna differenza di qualità) sull’orlo di una crisi di identità molto forte. Si è creata una scatola chiusa e piena di problemi pesantissimi che portano all’evidenza orari europei che costringono i reparti di ospedale a chiudere quando il turno è al termine, le carenze di personale determinate dalla suicida decisione della Regione Veneto che ha subìto il sistema del “se ne vanno cinque e se ne assume uno” rispetto alle altre Regioni legate ancora ai vecchi e permissivi parametri (vecchi di almeno vent’anni) che finora hanno consentito turn-over più o meno ragionevoli, ed infine la doppia decisione di riformare anche il sistema assicurativo in direzione sfavorevole per i medici oltre che abolire i corsi di formazione e aggiornamento a spese delle ulss. Tutto questo messo in fila provoca un fortissimo disagio nei medici. Come vedremo subito, anche attraverso le posizioni espresse chiaramente dal presidente dell’Ordine Michele Valente, il medico finirà col domandarsi –ammesso che non lo faccia già oggi- se e quanto intervenire in certi casi. Parliamo naturalmente dei prodotti da stress che accompagnano l’attività quotidiana di un chirurgo, ma in genere di qualsiasi specialista. I nervi delicati, quelli davvero scoperti del lavoro di un medico, risiedono nelle specialità considerate più a rischio dalle stesse compagnie assicurative che propongono proprio per questo livelli di contratto proibitivi con polizze da 10mila euro ed oltre, specialità ad alto rischio per definizione: ostetricia, ortopedia, tutte le chirurgie e le chirurgie pediatriche. La sospensione dell’intervento Regione+ulss nel settore delle polizze assicurative è particolarmente grave e scoraggiante per il medico: bene, ti pago la polizza, ma se alla verifica contabile e di merito della Corte dei Conti c’è contestazione mi rivalgo su di te e sarai tu a pagare alla fine, magari “in comode rate”.
MENO OSPEDALI E PIÙ TERRITORIO- Qualcuno anche tra i politici ha cominciato o comincerà a chiedersi se tutto questo problema ragionieristico dei soldi il cui gettito si sta raccogliendo sempre più dentro un imbuto via via più stretto non sia il caso di rivederlo, di riprenderlo dall’inizio e analizzarlo come mai è stato fatto in precedenza. Le cosiddette eccellenze nei nostri ospedali, eccellenza autentiche, tanto che nei nostri ospedali convergono pazienti che a casa loro non trovano altrettanti livelli, hanno richiesto negli anni l’importante decisione di accompagnare alla crescita tecnologica della medicina ospedaliera una equivalente dilatazione dell’offerta di ospedali. La domanda, e prima che la fila di nuovi progetti si allunghi ancora di più, è la seguente: vale la pena di costruire ospedali con investimenti di pesantissima entità che tra l’altro ipotecano il futuro di cassa di chi paga, cioè il pubblico, oppure sarebbe meglio uscire finalmente dall’equivoco e investire sulla medicina alternativa, quella sul territorio, considerato che proprio questo è il versante direttamente e pesantemente coinvolto negli anni futuri? Considerato ciò che questo punto interrogativo pone come esigenza di risposte e di qualità di scelte, va da se’ che è alla politica che bisogna chiedere di ritrovare una via di dignitosa logica su questo terreno. Le scelte non possono sicuramente essere affidati ai burocrati di nomina regionale che non possono non considerare come loro compito principale quello di ridurre i costi e basta. Non è questione da ragionieri, con tutto il rispetto, ma di scelte politiche, se si considerano queste come progetti misurati sulla realtà della società che cambia. Ricordandoci che negli ultimi dieci anni il cambiamento è stato travolgente e lo sarà sempre più dal momento che una società si anziani non può ragionare come se i parametri si potessero misurare sui giovani. I disagi del resto si vedono ampiamente anche a occhio nudo: una signora vicentina si è lamentata in tv per la lunga lista d’attesa nel suo centro prenotazioni. Chiamato subito in causa il direttore generale dal presidente della Regione, che rispondeva all’insistente ed indignato quesito della signora, subito è stata recuperata la lacuna e la signora ai primi di febbraio avrà la prestazione richiesta. Per tempi di attesa accettabili (o decenti) basterà dunque telefonare a Zaia che telefonerà al DG il quale forzerà la lista già stilata e assicurerà la visita specialistica richiesta.
POCO PERSONALE, TROPPE ATTESE- L’opinione del presidente dell’Ordine Michele Valente è precisa e la mette nero su bianco: “Il problema delle liste d’attesa si risolve solo con l’aumento degli organici del personale medico e il Veneto, Zaia dovrebbe saperlo, ha il più basso numero di medici ospedalieri in rapporto alla popolazione assistita e rispetto al fabbisogno dichiarato. Se non si assumono medici, il Pronto Soccorso, gli esami notturni, le medicine di gruppo integrate senza personale sufficiente, rimangono palliativi, fumo negli occhi, argomenti buoni solo per i talk-show televisivi. Se la coperta è corta, ti vanti che i giorni di degenza in ospedale sono diminuiti ma trascuri di dire che il paziente è solo stato spostato a carico della medicina sul territorio, verso i medici di famiglia che non sempre sono in grado di fronteggiare qualsiasi situazione, compresi i malati oncologici. Se vuoi dare l’impressione di far tornare i conti insisti pure perché le ulss risparmino, continui a fare corsi per medici al Cuoa o con i bocconiani, insegni loro a essere dei bravi manager: la sanità però è fatta di medici, i pazienti vogliono medici bravi e con il tempo sufficiente per le visite e le diagnosi: per guarire non sanno che farsene dei manager. Con il recepimento della direttiva europea sugli orari di lavoro la situazione è ancor ulteriormente peggiorata. Il problema è nazionale e il torto è di vantare i risultati del Veneto, che sono i meno peggio dell’Italia, senza però denunciare i mali profondi della Sanità”. La morale vera di tutto questo discorso è chiarissima: l’informazione è indispensabile, ma lo è ancora di più ribadire che la vera missione del medico è di risolvere i problemi della gente, ascoltandola, comprendendola, diagnosticando la malattia, prescrivendo la terapia? E anche che il tempo che deve dedicare alle attività burocratiche, imposte da circolari continuamente pensate dai burocrati gli sottraggono dal 35 al 40 per cento del tempo. Forse è il momento per cominciare a pensare a strategie riformatrici in cui siano i medici a fare da controparte senza che invece ci si preoccupi come è avvenuto finora di decidere una scacchiera di nomine utili solo a fare da accompagnamento all’altra politica di fondo, quella di realizzare nuovi megaospedali (l’ultimo in ordine di tempo sarà in provincia di Vicenza quello di Arzignano/Montecchio mentre il penultimo è quello di Santorso che ha sostituito Schio/Thiene).