NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Ma chi guarisce il malessere dei medici?

di Giulio Ardinghi

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Ma chi guarisce il malessere dei medici?

MERITOCRAZIA E CORAGGIO DEL RISCHIO- Il vero punto di partenza è quello di ammettere che negli ospedali il concetto di meritocrazia si è fatto latitante da anni, e la parola d’ordine è invece diventata una sola: “riduzione”. Riduzione delle spese, degli organici, delle prestazioni, dei posti letto e dei premi assicurativi stipulati dalla Regione che ora ha invitato i singoli medici ad “acquisire una propria polizza assicurativa per colpa grave per la responsabilità civile verso terzi”. Perché non tenere conto che tali e altre scelte regionali certamente non rendono i medici più contenti né più motivati nella propria attività? Il tutto in nome di una razionalizzazione dei costi, pensata a tavolino da chi appare sempre più lontano dai reali bisogni della gente e dalle esigenze degli operatori della Sanità sempre meno contenti e motivati nel loro lavoro anche a causa di queste scelte. L’invito ad acquisire una propria polizza sganciata dall’intervento dell’ulss -che permane ma come abbiamo già sottolineato con il diabolico codicillo della resa dei conti dove per colpa accertata si paga di tasca propria- rappresenta un aut aut ben difficile da ignorare. Il medico specialista a rischio dovrà programmare il proprio lavoro in altro modo, consapevole del filo del rasoio su cui si sta muovendo, mentre sul fronte dell’interlocutore ci sono associazioni legali già ampiamente preparate nel richiedere risarcimenti corposi. Il rischio vero, per tutti, diventa un altro e ben più pesante: che di fronte ad una prevedibilità bassa di sopravvivenza per un caso molto grave il medico decida in tutta onestà che la speranza “è tanto bassa da sconsigliare ulteriori terapie”; umano e comprensibile che si verifichi una situazione come questa: chi potrebbe rimproverare al medico di non aver continuato rischiando tra l’altro di forzare la stessa volontà del paziente o della sua famiglia? Ma anche qui c’è una morale precisa ed è particolarmente scadente per il fatto di condizionare il lavoro del medico mettendolo praticamente nelle mani di un gruppo amministratore che ragiona in numeri e non i professionalità.

Ma chi guarisce il malessere dei medici? (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)LA TECNOLOGIA “CASALINGA”- Importante è anche prendere atto del fatto che i metodi di cura e le scelte degli stessi pazienti fanno registrare un cambiamento radicale delle abitudini. Grazie ai nuovissimi mezzi a disposizione in materia di terapia del dolore, sostegno delle funzioni vitali, personale che agisce all’esterno dell’ospedale, alle situazioni disperate di un malato terminale e della sua stessa famiglia si offre la possibilità di una scelta prima sconosciuta: l’ammalato non deve più rimanere confinato nel suo reparto di ospedale fino all’inevitabile conclusione, ma ha la possibilità di tornarsene a casa e di venire assistito dai suoi stessi familiari nella sua stanza, in mezzo alle cose che hanno fatto da contorno quotidiano della sua vita. A tutto questo non si è arrivati per qualche inaspettato miracolo, ma al contrario per una organizzazione efficiente che coinvolge medici, infermieri, assistenti sociali e psicologi, tutti assecondati da mezzi tecnologici di prima grandezza come appunto la possibilità di applicare la terapia del dolore, le funzioni vitali assistite, la fornitura di mezzi e situazioni tali per cui una stanza di casa si trasforma in una unità specialmente attrezzata per l’assistenza migliore ad una persone in situazione terminale, per la quale non esistono possibilità di recupero. Complessivamente ciascuna di queste situazioni richiede anche un appoggio specifico non soltanto in direzione dell’ammalato terminale, ma anche della famiglia che lo circonda e che può svolgere con la sua presenza un ruolo molto importante anche dal punto di vista della “terapia affettiva”, assecondando così al meglio le cure mediche. I gruppi di cura che si occupano di questo lavoro finiscono col fare un vero e proprio patto con la famiglia del paziente, un patto umano ed anche emotivo al quale si deve anche l’esito finale: per un malato terminale non può essere che la morte, ma la collaborazione dei familiari è in primo piano se si vogliono valutare fino in fondo gli effetti terapeutici, la difesa dal dolore e dall’angoscia, eccetera. Questa è una parte della medicina sul territorio, certo non la meno importante, ma non l’unica. Per continua efficacemente in questo tipo di lavoro servirebbe che i medici fossero formati nel modo migliore. Perché allora la Regione ha sospeso i finanziamenti per i corsi di formazione e le ulss si sono prontamente allineate e adeguate?

LA MUTAZIONE TRAVOLGENTE- Il concetto che i medici di tutta Italia stanno cercando di introdurre nel loro dialogo/scontro con il governo e le Regioni è tutto centrato attorno alla presa d’atto non ancora avvenuta da parte dei politici e cioè del fatto che gli ultimi dieci anni hanno provocato una mutazione travolgente nella realtà del mondo della sanità: è cambiato il tessuto sociale, sono cambiati i farmaci, sono cambiate le competenze degli operatori, è cambiato il concetto di formazione del personale. Oggi questo è fortemente condizionato più di prima all’ambito dei rapporti umani e non incoraggia certo che le aziende sanitarie su pressione diretta dei politici regionali decidano di punto in bianco di sopprimere i corsi di formazione che sono invece indispensabili a mantenere contatto con la realtà in continua trasformazione. Tra l’altro ci sono particolari difficoltà ad accettare anche concettualmente le decisioni della burocrazia regionale in materia di gestione del lavoro dei medici. Ogni medico di famiglia si è visto recapitare una circolare regionale che fissa i tempi di vista in ambulatorio: appena sette minuti per ciascuna mettendoci dentro non soltanto la fase del colloquio, dello stabilire i sintomi e di decidere diagnosi e terapia, ma anche la scrittura della ricetta e la comunicazione diretta all’ulss: come si fa in pochi minuti? Si fa, per così dire, ma tirando qualche segno blu sulla qualità complessiva. C’è la questione del turn-over sulle pensioni che come abbiamo visto segue la cadenza di un nuovo assunto su cinque uscenti allineando il Veneto alla maggioranza delle altre Regioni che però calcolano i numeri su altri standard, ma c’è anche la questione della distrazione sistematica rispetto alle esigenze della sanità. Modello dei modelli è la situazione di Padova dove a fronte di assenza per gravidanza di qualcosa come 130 infermiere il provvedimento tampone deciso dalla burocrazia più sparagnina è stato di assunzione di 10 nuove infermiere. Meno di una a dieci. Ecco perché non ci si deve più chiedere se gli scioperi dei medici che intanto continuano secondo un calendario tutto sommato molto moderato abbiano obbiettivi di retribuzione o “politici”: chiedono soltanto diversi rapporti.

 

nr. 04 anno XXI del 6 febbraio 2016



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