NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelling

Parte XXI 2ª

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli

Hegel - Schelling 



Introduzione

Accanto all’elaborazione di G.F.W. Hegel vi è quella di G.F.W. Schelling (1775-1854), compagno di studi del primo e poi quasi “nemico”; anche lui è uno dei grandi protagonisti dell’idealismo tedesco, ma non per tutta il corso della sua elaborazione “un idealista”. Varie le fasi e soprattutto una distinzione dal pensiero di Hegel, il quale, riflettendo proprio all’inizio del suo filosofare si distingue dal pensatore più giovane. Nel saggio Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, tr. it. Introduzione R. Bodei, Milano, Mursia, 1971, Hegel dopo aver esposto il sistema di Fichte lo confronta con quello di Schelling di cui apprezza la prospettiva che l’intero è il fondamento, come unità di soggetto ed oggetto, ma vi è confusione nella confusione tra scienza della natura e sistema dell’intelligenza. Permane sempre una dicotomia perché “nessuna delle due scienze può costruirsi come unica e nessuna delle due può togliere l’altra. L’assoluto - che è il superamento dell’opposizione/contraddizione tra le due – sarebbe posto solo in una farsa della sua esistenza, e, così come si pone nella forma dell’esistenza, deve porsi in una dualità della forma; infatti, manifestarsi e scindersi è una sola cosa". (ivi, p.83 e p.87)

Ciò che Hegel rimprovera tanto a Fichte quanto a Schelling è l’impossibile superamento della differenza tra la natura e l’intelligenza, tra l’io e il non-io, in altre parole uno è ridotto all’altro, senza che la differenza stessa sia superata. Permane sempre una sorta di dualità, che solo in apparenza viene risolta. La necessità della natura e la necessità dell’intelligenza possono superarsi solo e soltanto nello Spirito, risolve il filosofo, che si pone come intiero a fondamento, intiero coscienze nell’alterità e intiero saputo alla fine, perché esso è coscienza della libertà nella sua necessità.

Proprio la risoluzione che opera Schelling della realtà nella natura, appare allo Hegel, una spiegazione solo dal punto di vista fisico (ivi, 97), dimentica che è la “ragione l’autonomo e vero creatore del tutto. Infatti, la ragione pone se stessa come coscienza ed è consapevole dell’altra da sé e intuandosi nell’altro da sé diviene autocoscienza. In questo estraniarsi (etnfremden) – non alienarsi (sich entäußern) - la ragione diviene consapevole di sé nell’altro da sé (autocoscienza) perché sa della realtà dell’altro da sé, come manifestazione indipendente da sé dello spirito. Non può permanere solo in questa opposizione tra coscienza ed autocoscienza, è nella necessità di superarla per essere libera di sapere di se e dell’altro da sé. In questo la ragione supera se sia come coscienza sia come autocoscienza e si pone come sintesi della libertà nella sua necessità di sapere che l’altra da sé, libero in apparenza, non può che unirsi come sintesi e non semplice somma, a sé.

L’idealismo schellinghiano non approda a ciò, pertanto esso rimane “prigioniero” della necessità, ossia della natura, come l’Io fichtiano rimanere prigioniero di se stesso senza comprensione dell’alterità che è solo posta: così Fichte matura in una visione assoluta dell’Io, Schelling in quella della natura. In uno la riduzione ad una libertà nella quale solo un Io indistinto ed incapace delle necessità è il fondamento, nell'altra una indistinzione della realtà nella natura. Insomma un mondo come una notte in cui “tutte le vacche sono grigie” o: “Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio”, non vi è possibilità di determinazione (G.F.W.Hegel, Fenomenologia dello spirito, op. cit. p.13 Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini Roma-Bari, Laterza, p.17) e tutto rimane indistinto.

Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ma Schelling, spesso ricondotto troppo alla critica hegeliana, ha una sua autonomia e una sua statura che è stata quasi solo evidenziata nelle pagine dell’opera Sistema dell’idealismo trascendentale del 1800 nel quale il filosofo espose la sua visione della relazione oggetto-soggetto risolta nel ruolo del genio che, superando il suo scindersi dalla natura che è l’intiero, il tutto, ad essa si unisce totalmente, esprimendo questa unione mediante l’arte, l’unica in grado di comprendere l’assoluto, ossia la natura stessa.

Se questa è la prima prospettiva filosofica non dovremo però dimenticare che la filosofia schellinghiana si articola in tre fasi, e la seconda e la terza non possono propriamente definirsi di idealismo, ma senza dubbio la prima, quella dell’idealismo trascendentale ne costituisce la base. La seconda si sviluppa in acerrimo contrasto con Hegel ed è la considerazione che possa esistere una filosofia positiva, capace di trovare il fondamento metafisico, che non è solo speculativo, ma esperienziale, quindi pratico e ciò alla luce della fede, che coglie le manifestazioni di Dio, quasi una religione filosofica. Questa dapprima coglie il valore del mito perché in esso vi è l’espressione della verità di Dio primordiale, più profonda e, seppur espressa dalla fantasia, consente di cogliere il profondo della manifestazione divina.

Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

Jacob Böhme


L’ultima è la filosofia della rivelazione (Filosofia della rivelazione a cura di A. Bausola, Bologna, Zanichelli, 1972) quando l’uomo sa cogliere la diretta manifestazione di Dio, perché egli si rivela all’uomo stesso. È la fase detta anche di misticismo nella quale Schelling come il teurgo-mistico e considerato uno dei padri della massoneria il luterano Jacob Böhme (1575-1624) comprende che solo cogliendo l’illuminazione divina l’uomo può comprendere il fondamento e tentare di descriverlo, ma non nella specificazione intellettuale, ma in quella di una rapporto personale, dove l’assoluto non è determinato, ma continuamente professato e indagato. Proprio di quest’ultima fase è anticipazione la considerazione schellinghiana della libertà, che nel suo rapporto con Dio lo comprende come centro emanatore della massima libertà possibile.

 

Schellin e la libertà

Schelling nel 1809, un anno di svolta, pubblica le Ricerche filosofiche sulla essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi (a cura di S. Drago Del Boca,Milano, Istituto editoriale italiano, 1947), un saggio che intende sviluppare proprio il valore della libertà nella visione dell’assoluto che tutto compenetra. Per il filosofo si tratta di comprendere se esista la libertà in una visione nella quale Dio è onnicomprensivo, in altre parole se nella totalità determinante di dio, esista oppure no la liberta che è la possibilità di compiere il bene e il male, indipendentemente da Dio, ma proprio perché l’uomo è polo tra Dio e l’esistenza, quasi un’anticipazione del pensiero esistenzialista di S. Kirkegaard.

Una riflessione che si collega apertamente al grande dibattito di Lutero Sullavolontà schiava (Vom unfreien Willen), del 1525 che è il titolo del testo, noto però più come De servo arbitrio, e che non ha trovato che un unico esito, quello della negazione della libertà dell’uomo. Il saggio luterano è una risposta precisa a attenta a quanto sostenne nel 1524 Erasmo da Rotterdam con il suo De libero arbitrio. L’umanista fiammingo ben si era avveduto che la riforma protestante, iniziata quasi come una bega tra teologi sulle indulgenze, aveva preso una via che costruiva una nuova realtà cristiana, separata da Roma, ma soprattutto con una nuova impostazione teologica, il cui perno era la dipendenza totale dell’uomo da Dio. La “mosca” Erasmo si pone contro “l’elefante” Lutero e con la chiarezza, che gli era caratteristica, denuncia come il riformatore sulla linea di John Wyclif ritenga che l’uomo agisca solo per pura necessità. Non vi è quindi libertà nell’uomo, ma azione meccanica dettata da chi ha posto in essere il movimento stesso dell’uomo, cioè Dio. Ben sostiene Erasmo che se la volontà non è libera, non si potrebbe mai imputare ad un uomo il peccato. (Erasmo da Rotterdam, Libero arbitrio, tr.it. di I. Pin, Pordenone, Studio Tesi, 1989, p.21). Ciò che l’uomo compie, lo compie perché non può non compierlo, afferma Lutero, ma Erasmo ha chiaro che il peccato originale ha “azzoppato” l’uomo e pertanto “ prima della grazia siamo più inclini al male che al bene” tutta via non è mai troncata la libertà al bene o al male. Erasmo si richiama esplicitamente proprio a Sant’Agostino, mentre il monaco agostiniano Lutero accentua proprio la totale dipendenza dell’uomo da quanto Dio stesso ha stabilito per cui il male o il bene non sono frutto arbitrario, ossia libero, dell’uomo, ma dipendono da Dio; è lui che compie, attraverso l’uomo, il bene e il male. Non vi è quindi necessità né della redenzione, né di una chiesa, ma solo dell’abbandono a quanto Dio ha stabilito. Non vi è necessità di una riflessione e indicazione morale. Lutero legge quanto San Paolo scrive ai Romani, alla lettera, quando afferma nel capitolo 7 che “il volere è alla mia portata, realizzare il bene no”. Questo dipende solo da Dio, ma anche il male e quindi: nessuna libertà. Nel de servo arbitro precisa” Se la volontà non si lascia impedire, neppure l’opera può essere impedita, talché non avvenga secondo natura, il tempo, il modo e la misura che Dio ha previsto e vuole” (M. Lutero, Il servo arbitrio, tr.it. Introduzione e note di G. Miegge, Roma, Doxa Editrice, 1930, p.27), perché l’Eterno, l’assoluto non può mutare e l’uomo, mediante la libertà, non può perfezionarsi, perché non è autenticamente libero.

Nel mondo protestante le affermazioni di Lutero hanno avuto molto seguito, tanto che ciò che più caratterizza le posizioni dei riformati, è proprio il servo arbitrio; solo Dio è libero: ” il nome libero arbitrio non si addice all’uomo, ma è titolo divino, che nessuno deve né può portare se non l’alta maestà divina. Poiché soltanto Dio, il Signore fa (come dice il Salmo 115,3) quello che vuole e come vuole nel cielo, in terra, nel mare, e in tutte le profondità” (Ivi, p.49). Certo Lutero ritiene che la vera libertà non è verso ciò che è sopra, Dio, ma solo verso ciò che è sotto “ come i miei beni, campi, casa, fattoria” (ivi, p.519, quasi che Dio lasciasse la sola libertà economica, che non ha a che fare con il divino. Una prospettiva che sarà propria del contrattualismo di Th. Hobbes e del liberalismo anglosassone: nell’orizzonte materiale dei beni si può fare quello che si vuole, ma se vi è un orizzonte divino, allora l’uomo non può che adeguarsi a ciò che Dio ha stabilito, anche se non è evidente che cosa abbia stabilito: ma il solo riferimento a Dio, sufficit.

La domanda che viene spontanea è: quale parte può avere l’uomo di questa libertà e se questa possa manifestarsi nell’uomo e in quale misura allora egli è responsabile del bene e del male? La risposta nell’ambito della teologia luterana è costante e la ritroviamo anche in Hegel. Nella concezione del filosofo solo lo Spirito, l’Assoluto è libero, l’uomo non può che cogliere la manifestazione di questo e adeguarsi, comprendendo la dimensione di opposizione (tesi/antitesi), ma appagandosi del superamento della stessa nella sintesi, che suprema è Dio stesso, perché l’oggetto della filosofia e della religione rivelata è identico (cfr. G.F.W.Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio tr. it Prefazione e note B.Croce, rev. C. Cesa, Roma-Bari, Laterza, 1984,pp. 550 ss.).

Schelling si pone invece criticamente la domanda e tenta una risposta proprio nello scritto del 1809.

 

Il tutto si fa parte

Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Nella pensiero schellinghiano la prima affermazione è di un Dio onnicomprensivo (Ricerche filosofiche sulla essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi, p.IX) che è Assoluto e nel quale vi è coincidenza tra l’amato e l’amante e proprio l’amato, l’uomo individuo realizza l’amore dell’Assoluto. Non vi è meccanicismo tra l’amore in quanto tale (Dio) e l’amante(l’uomo), perché l’individuo si collega in qualche modo sempre con la totalità dell’universo (Ivi, p.11), e ciò perché tutti gli esseri dipendono da Dio. La dipendenza quindi produce il bene, perché è sempre dato che l’amante comprenda ciò che l’amato propone per lui. È un’affermazione mistica dove l’individuale, che è parte del tutto e il tutto è nel tutto, quindi anche nell’individuale, riconosce se come parte del tutto, anzi come tutto. Non si tratta di una visione panteistica, come spesso si afferma, ma di una comunione, dove nel tutto, il tutto è presente, quasi ad affermare che il totus si fa omnia. Un’indipendenza che è autentica libertà quando riconosce l’essere dipendente, quando vi è un cattivo uso della libertà, ossia quando l’indipendenza si ritiene assoluta, allora compare il male (ivi, p.75). Come afferma il filosofo a proposito dell’uomo: “ egli è posto su una vetta dove ha la possibilità egualmente di muoversi spontaneamente verso il bene o verso il male. In lui il vincolo dei principi non è necessario, ma libero. Egli sta nel punto di mezzo per decidere”(ivi, p.91) Il male è “una scelta propria dell’uomo” (ivi, p.109), quando la sua azione non segue immediatamente l'intellegibile, ovvero non si conforma alla manifestazione dell’Assoluto. Vi deve essere quindi unità di”necessità e libertà” (ivi, p.115). Questa unione è, in realtà, la consapevolezza che tutte le azioni dell’uomo sono determinate, ma la volontà che si allontana da questa stessa consapevolezza compie il male, esercitando la sola libertà. Se, invece, unisce la libertà con la necessità (Dio si manifesta necessariamente) allora la creatura sa dello spirito e si allontana dal possibile male o dal male stesso (ivi, p.125).

Per Schelling si ripropone l’unità assoluta per cui l’Amore(Dio) che sa di sé, lo spirito che intellige sé, determina l’azione, la morale dell’individuo (ivi, p.141) che consiste nel legame tra il bene compreso nella manifestazione di Dio e il bene originario (ivi, p.161). La stessa rivelazione divina, il bene che si fa esso stesso manifestazione deve morire per separarsi dal male, affinché Dio sia consapevole del suo tutto. La morte del Verbo porta al ricongiungimento a Dio, del Dio manifestato (ivi, p.167).

La libertà che è Dio stesso come amore, che alla creatura, sua manifestazione, chiede di essere amante affinché, mediante Lui stesso manifestato nel Verbo, si possa stabilire la perfetta unità del tutto, in modo che l’apparente divisione dialettica della realtà tutta, pur necessaria, non permanga in se stessa e si ricongiunga con l’Assoluto consapevole di sé e del tutto.

Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Una visione unitaria comprensibile nella dimensione mistica, proprio quella che Jacob Böhme proponeva nei suoi scritti:“Si rivelò infine all’anima il fondamento stesso dell’inferno, cioè la collera divina , ed essa allora perse Dio , il Paradiso e il Regno dei cieli, divenendo un verme simile al serpente infuocato che il diavolo le aveva mostrato nella propria immagine. Prese a regnare sulla terra in modo bestiale, obbedendo alla volontà del demonio e vivendo secondo la vana superbia, l’avarizia, l’invidia e lira. Non ebbe più giusto amore per Dio, poiché ad esso era subentrata una falsa, animalesca passione per la lussuria e la vanità non vi fu più purezza nel suo cuore, giacché aveva abbandonato il Paradiso e posseduto la terra. Ora il suo pensiero seguiva solo l’artificio, la scienza, la grandezza e la molteplicità delle cose naturali. Né la giustizia, né la virtù divina restavano in lei, dove agiva invece e sempre una falsità velata di astuzia e violenza che essa chiamava Legge”. (J. Böhme, Dialogo tra un’anima illuminata e una priva di luce, pdf in internet, 20).

L’uomo è come individuo libero, ma questa libertà è autentica solo nell’accettazione del bene che l’assoluto dio propone, se ne allontana quando segue solo la manifestazione che la imprigiona in se stessa.

 

Conclusione

I grandi pensatori dell’idealismo tedesco propongono una riflessione sulla libertà diversamente articolata, ma nelle linee generali può essere ricondotta ad unità. Determinato quale sia il fondamento sul quale bisogna avere scienza, tutto dipende da questo. L’Io fichtiano, lo Spirito hegeliano, la Natura/ l’Assoluto-Dio di Schelling sono la realtà libera, l’uomo può avere solo coscienza7comprensione di ciò e questo lo rende libero. Allontanandosi dalla realtà tutto, egli nega a se stesso la libertà e compie il male. Si tratta di una nuova frontiera dove non è più una deliberazione razionale a stabilire quello che è bene e che pertanto va compiuto, ma di una liberazione da qualcosa che vincola.

Il grillo parlante: L’idealismo di Hegel e Schelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La libertà è quindi liberazione e affermazione di un assoluto, che, compreso, determina la realizzazione completa dell’uomo, perché egli supera l’opposizione sia come contrario sia come contraddittorio che gli appare (scheint). Intuito l’assoluto (Io, Spirito, Dio) si tratta di svincolarsi da ciò che impedisce la perfetta unita con l’assoluto stesso.

L’identificazione di un assoluto diverso da quello proposto dai massimi pensatori dell’idealismo tedesco, genererà le correnti idealistiche nella loro variegata particolarità e pertanto, direbbe lo Hegel, incapaci di essere autentico assoluto, quell’idea eterna “in sé e per sé” che “ si attua, si produce e gode sé stessa eternamente come spirito assoluto”(G.F.W.Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, op. cit. p.566), che nel linguaggio di Schelling suona: “ L’infinito essere affermato di Dio nel tutto, o l’in-formazione (Einbildung) della sua infinita idealità nella realtà come tale, è l’eterna natura". (F.W. Schelling, Filosofia dell’arte, a cura di A. Klein, Milano, fabbri ed. 2001, p. 83.).

Così la parte sa del tutto e si congiunge al tutto; consapevole di quello che costituisce la parte, attua una liberazione e diviene perfetta unità.

 

nr. 09 anno XXI del 12 marzo 2016

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