NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il grillo parlante: La libertà distrutta da un torrente di fuoco

Parte XXII 1ª

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor

L. Feuerbach

 

Premessa

L’idealismo tedesco ha avuto continuità soprattutto nei seguaci di G.F.W. Hegel in Germania nei primi 15 anni dopo la sua morte, ma trasformandosi sia nella riflessione intorno alla dialettica sia nei contenuti. Una nutrita serie di pensatori, definiti fin dal 1837 da D. F. Strauss, destra e sinistra hegeliana (cfr. Streitschriften zur Vertheidigung meiner Schrift über das Leben Jesu und zur Charakteristik der gegenwärtigen Theologie.II, Tubinga, 1837) o anche vecchi-hegeliani, giovani-hegeliani, neo hegeliani (K. Loewith, Da Hegel a Nietzsche, tr. it. G. Colli, Torino, Einaudi, 1969 rist.), p.8), ha decretato il successo del pensiero hegeliano. La distinzione di Strass, grazie anche al pensiero giovanile di K. Marx, ebbe molta fortuna e ancor oggi s’indicano gli esponenti della ”destra” come i ligi conservatori, i fedeli dello Stato prussiano e del luteranesimo come religione di Stato, in un’espressione “i reazionari”, mentre quelli della “sinistra”, capeggiati da L. Feuerbach, furono “i rivoluzionari”, che trasformarono radicalmente l’idealismo hegeliano, soprattutto con la critica alla religione, ritenendo che Hegel stesso ne fosse il profeta (cfr. B. Bauer, La tromba dell'ultimo giudizio contro Hegel, ateo ed anticristo. Un ultimatum, tr. it. di E. De Conciliis, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici - Associazione culturale Porta di Massa, 1996). Tra tutti però: il più capace, il più bravo, il migliore fu, secondo una retorica ormai consolidata soprattutto in Italia, K. Marx, attraverso il cui pensiero si filtra nelle scuole, quello dello Hegel stesso. Sia detto apertis verbis, ciò è sostenuto da coloro che han letto Marx nei manuali e professono in genere l’ideologia detta “di sinistra”, che imperversa ancora nelle aule, talora senza nemmeno sapere che cosa disse Hegel in merito, ad esempio solo, alla figura di “signoria-servitù”, da loro propalata come “servo-padrone”.

Il pensiero hegeliano trovò soprattutto in Italia numerosi seguaci, meno in Francia e in Inghilterra dove si andava sviluppando il movimento della filosofia positivista. F. De Sanctis (1817-1883) diede inizio insieme ai fratelli Bertrando (1817-1883) e Silvio (1822-1893) Spaventa, A. Labriola (1843-1904) e altri, a quella stagione di idealismo e marxismo di stampo hegeliano che avrà in Benedetto Croce il suo massimo esponente, mentre in Giovanni Gentile un seguace non propriamente ortodosso, dato che nel pensatore siciliano possiamo rintracciare molti elementi della visione dello Stato di Fichte.

Hegel incontrò anche molti oppositori, che giudicavano negativamente la sua filosofia, a tale schiera appartenne il suo contemporaneo e collega all’Università di Berlino A. Schopenhauer, e successivamente quei “distruttori della ragione” come li chiamava il filosofo marxista G. Lukács, ossia M. Stirner, S. Kierkegaard, F. Nietzsche (cfr. La distruzione della ragione, tr. it. E. Arnaud, Torino, Einaudi, 1959). Certo è che il pensiero hegeliano è diventato fin dalle sue prime battute, un riferimento importante per la filosofia e anche per gli esiti che da questa nacquero e che non ben presenti nella cultura europea, lo sono in particolare in quella italiana, pur evolvendosi questa da un idealismo crociano ad un variegato marxismo, difficile perfino da recensire nelle principali sfumature, a causa della connessione diretta con la militanza politica. (Cfr. M. Rossi, Storia delle interpretazioni di Hegel, Ferrara, Edizioni Messina, 1953).

Un secondo importante punto da tener presente nello sviluppo del pensiero hegeliano nei suoi seguaci, è quello relativo alla dialettica. In Hegel questa riflette sull’esito (sintesi) dello sviluppo dello Spirito e ne deduce ciò che ne l’ha causata (l’opposizione tesi/antitesi), in un processo logico/storico, dove la determinazione razionale è reale perché la realtà, in quanto manifestazione dello Spirito è essa stessa razionale. Nelle elaborazioni successive, invece, il processo dialettico è storico, ossia quasi un passaggio temporale dalla tesi, all’antitesi per produrre la sintesi, che è negazione/distruizione dell’antitesi, una liberazione da essa e quindi una riaffermazione del positivo contenuto nella tesi. Ecco la ragione della figura del “servo padrone”. Il servo deve negare la sua negazione, il padrone, e liberandosi da tale negazione, afferma sè come autentica realtà positiva, perché produce, ma non costretta dal profitto che ricercato dal padrone, il quale organizza lo sfruttamento, che produce alienazione nel lavoratore, in altre parole l’operaio non riconosce sé nella sua produzione perché questa non gli appartiene. E “il rovesciamento della dialettica astratta”, che M. dal Pra, rintraccia proprio in un piccolo e incompiuto scritto di Marx, quella Critrica della filosofia hegeliana dello Stato, che porterà il pensatore di Treviri alla critica dell’economia politica, non più nei moduli della riflessione filosofica, ma in quelli dell’analisi del concreto modo di produrre nel capitalismo (cfr. M. dal Pra, La dialettica in Marx, Roma-Bari, Laterza, 1972, ed. riveduta, p.33 ss). Ciò è possibile solo con l’analisi del metodo dell’economia politica, ben indicato in un altro manoscritto, quella Introduzione a Per la critica dell’economia politica dove la critica a Hegel diviene precisa: “Hegel cadde nell’illusione di concepire il reale come risultato dle pensiero, che si compendia e si approfondisce in se stesso, e da se stesso si muove, mentre il metodo di risalire dall’astratto al concerto è soltanto il modo per il pensiero di impadronirsi del concreto, di riprodurlo come un concreto spirituale. Ma in nessun modo il processo di formazione del concreto stesso (K.Marx, Einleitung, tr. it. I.F.Baldo e U. Curi, Padova, C.U.R.C. 1975, p.73). Una trasformazione che Dal Pra indica come non compiuta e risolutiva del “superamento della dottrina hegeliana (Ivi, p.324), ma a ben vedere il terreno sul quale Marx si muove a partire proprio dal 1857 non è più la filosofia hegeliana, con la quale “civetterà” anche ne Il capitale, ma la critica dell’economia politica come perché l’oggetto “che ci sta immediatamente di fronte è la produzione materiale nella sua concretezza e non nella considerazione astratta deglie economisti come Smith e Ricardo che tendeva ad eternizzare le categorie dell’economia (K.Marx, Einleitung, op. cit. p.43 e p.46).

Il processo dialettico dei seguaci di Hegel è quindi la comprensione della negazione per negarla in sé e per l’in sé, ma ciò può avvenire come processo di liberazione della coscienza. In Marx questa liberazione, dapprima politica come coscienza di classe che non maschera i suoi scopi che intende raggiunge “solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale finora esistente” (K. Marx.-F. Engels, Manifesto del partito comunista, tr. it. L. Caracciolo, Milano, S. Berlusconi, 1998, p.78).

 

In Hegel la liberazione e non la libertà è il nuovo motore della dinamica dello Spirito e proprio questa diviene nei seguaci il primo e fondamentale momento, proprio perché liberarsi dalle elaborazioni astratte e l’affermazione della realtà materiale e della finitudine dell’uomo appare come il vero risultato. Questa posizione che L. Feuerbach indica, troverà in K. Marx una dinamica che non interpreta, ma cambia la realtà stessa, perché non è nella comprensione che avviene la liberazione, ma questa può avvenire nel con testo delle forze che si muovono nella datità materiale con le sue leggi (materialismo dialettico) che è base delle condizioni che gli uomini vivono nel tempo (materialismo storico). Negare questa connessione tra i due materialismi, significa negare il pensiero marxiano per trasformarlo in uno dei tanti marxismi a la page filosofici, spesso ad uso e consumo degli intellettuali, che temono il cambiamento e per questo lo “frenano” in modo da poterlo cavalcare, per ricordare una critica “di sinistra”, cfr. R. de Carria, Proletari senza rivoluzione: storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950, Milano, Oriente, 1970.

Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Questo processo di liberazione che dall’idealismo è transitato in molte correnti di pensiero. La principale è il pensiero di Marx e gli innumerevoli marxismi, ma anche la cosiddetta “teologia della liberazione”, nata in ambiente germanico, non ne è certo immune, anzi in Camillo Torres (1929-1966), il prete guerrigliero trova la sua prima affermazione cfr. Liberazione o morte: antologia degli scritti di padre Camilo Torres, Prefazione G.M. Albani, Milano, Feltrinelli, 1968 e si rafforza nell’ambito della Compagnia di Gesù e nel cosiddetto “dialogo” tra cristianesimo e marxismo, culminato nella proposta di una integrazione tra i due filoni di pensiero, al fine di liberare la società umana dal capitalismo e di cui furono promotori in Italia, tra i tanti, Padre G. Girardi e l’ex Abate di San Paolo fuori le mura Dom Franzoni, ma anche i sacerdoti Josè Maria Diez-Alegria e José María González Ruiz, secondo i quali bisogna estrarre tutto il potenziale liberatorio del cristianesimo. Con loro, la Compagnia di Gesù e, secondo alcuni critici, qualche porporato milanese e argentino.

Così: “Non v’è altra strada che vi porti alla verità alla libertà, se non quella che passa attraverso il Feur-bach: il torrente di fuoco. Il Torrente-di-fuoco è il purgatorio dell’epoca presente.” K. Marx, Lutero arbitro fra Strass e Feuerbach, in ID, Scritti poltici giovanili, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1950, p.56.

 

“Der Mensch ist was er isst”

Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut, 28 luglio 1804 – Rechenberg, 13 settembre 1872) è il più noto tra gli esponenti della “sinistra hegeliana”; la sua prima formazione è teologica, come per tanti esponenti dell’hegelismo tedesco, ma la frequentazione delle lezioni di Hegel a Berlin gli aprirono la via della filosofia. Seguace, ma non allievo né continuatore, il pensatore non ebbe in vita grande fortuna, tranne che per l’apprezzamento, le citazioni e le prese di distanza di K. Marx. Non fu un accademico Solo nel 1848 tenne ad Heidelberg un corso, promosso dagli studenti in rivolta sulla religione. Si “era bruciata” la via universitaria con il suo primo scritto Pensieri sulla morte e sull’immortalità del 1830 (a cura di F. Bazzani, Roma, Editori riuniti, 1997), dove negava l’immortalità per l’individuo, ma questa era ammessa per l’umanità. Gli interessi del pensatore si rivolsero successivamente alla natura della religione e ai suoi contenuti. Nel 1845 con L’essenza della religione (a cura di A. Marietti Solmi, Torino, G. Einaudi, 1976) iniziò la sua analisi del cristianesimo e del paganesimo, individuando nella divinizzazione pagana e cristiana dell’uomo stesso la radice della nascita della religione. Fin dalle prime pagine evidenzia come “la venerazione di Dio nella ragione non è altro che la venerazione di Dio come essere razionale, e quindi della ragione stessa; la venerazione di Dio nell’arte non è altro che la venerazione dell’artisticità stessa come essere sommo; e così anche la venerazione di dio nell’uomo non è altro che la venerazione dell’uomo stesso.” (vi, p. 3). I contenuti della religione non sono che contenuti antropologici perché “nell’uomo non c’è nient’altro che l’essenza una; l’uomo esprime solo se stesso, la sua propria essenza” (ibidem). In questo il paganesimo venera la qualità dell’uomo, mentre il cristianesimo l’essenza. Ma questa essenza, proprio dell’uomo, l’uomo stesso la proietta in altro essere, ritenendosi solo creazione di questo essere elaborato. Così tutto ciò che è pensato di Dio, altro non è che ciò che è pensato dell’uomo. Si tratta di una proiezione perché l’uomo “teme” la propria realtà, che è finitudine assoluta. In questa proiezione, in questo “divenir altro” l’uomo non si riconosce e perde se stesso. La centralità è dell’uomo e con “Lutero (Th.XXII, p.114)- afferma il filosofo, bisogna dire- Io sono un uomo, questo è un titolo più alto che quello di essere principe. Motivo: Non è stato Dio a fare il principe, ma gli uomini, ma che io sia un uomo, è stato solo Dio a farlo”(ivi, p.5). Ma Dio non è nemmeno lui prima dell’uomo, perché è l’uomo che pone Dio, così come pone il re: senza l’uomo Dio non può essere posto, non esiste. Tutto dipende dall’uomo, che si autodivinizza, producendo con la ragione un Essere nel quale perde se stesso. Nel Cristianesimo l’uomo produce, divinizza, un uomo come Dio. Questa creazione mostra come la produzione di un essere indipendente dall’essere umano, altro non sia che un’autoproiezione, la dipendenza che egli pone da un Dio, un’invenzione nella storia, ma soprattutto un “dimenticare” che solo la natura è il suo fondamento: "È una pura fantasia che l’uomo abbia potuto elevarsi al di sopra dello stato animale solo grazie alla provvidenza, all’assistenza di essere sovraumani - dei spiriti, geni, angeli” (ivi, p.13). In realtà “solo per mezzo degli animali l’uomo si elevò sopra l’animale; solo grazie alla loro protezione e al loro aiuto poté svilupparsi il seme della civiltà umana” (ibidem). L’uomo, un animale tra gli animali, che possiede capacità che lo distinguono dagli altri animali, ma nè più nè meno come un leone si distingue dalla gazzella per propria natura. (cfr. G. Ditadi, I filosofi e gli animali, Este (PD), Isonomia editrice, 1994, vol. II).

Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Solo la natura è la vera condizione dell’uomo con le sue leggi e i suoi meccanismi. La capacità dell’uomo di elevarsi, in apparenza, sulla natura, è una capacità essa stessa naturale e pertanto ciò che egli produce con questa sua capacità altro non è che una produzione naturale. Essa va riconosciuta come tale e null’altro. La causa stessa della mia esistenza è la natura e se rivolgo ad un essere la mia origine con venerazione, altro non vènero che la natura che mi ha generato, secondo i suoi meccanismi.

Si tratta di uscire dall’equivoco e ritornare alla natura, riconoscendola come unico fondamento di tutto, e analizzare come il dio del sale degli antichi messicani è venerato ma perché esso “ rappresenta, nei suoi effetti economici, medici e tecnologici, l’utilità e beneficenza della natura”(ivi, p.17). Lodare il dio del sale, è un atto innaturale, bisogna ricondurre tutto alla natura, negando la proiezione in entità estranee alla natura. Questa alienazione di sé e delle natura in esseri metafisici, rende l’uomo incapace di essere se stesso. Dio non è altro che l’uomo che si immagina come dio: ora l’uomo deve rivelarsi a se stesso come uomo e come natura, scoprendo tutte le “invenzioni”, generate nel tempo come religione e suoi contenuti, ad esempio i dogmi che vengono ad uno ad uno considerati da Feuerbach come prodotti umani. Ciò non attraverso un processo logico, ma storico: “ Non la dialettica hegeliana, bensì il tempo è il mediatore che concilia antitesi e contraddizioni in un unico medesimo essere” e questo altri non è che l’uomo liberato dalla schiavitù della religione che lui stesso ha prodotta (cfr. L. Feuerbach, L’essenza del Cristianesimo, tr.it. C. Cometti, Prefazione di A. Banfi, Milano, Feltrinelli, 1960 p.49). Tutti i contenuti della religione sia pagana sia cristiana non sono che prodotti umani siano contenuti teorici siano contenuti morali. Solo Dio è il riferimento, tutto deve cedere dinnanzi a lui, perfino la stessa cultura, perfino l’amore terreno (ivi, p.203). Dio “è la beatitudine dell’uomo” affermava Tommaso da Kempis, ricordando che solo in dio vi è salvezza, ma questa salvazione che non è un bene terreno, illude l’uomo e lo fa dimentico della sua condizione, quindi non è vera salvezza (ivi, p.225).

La natura considerata nella sua materialità e non nella sua definizione metafisica, deve essere il mondo, tutto il mondo dell’uomo, perché in esso vive e genere e ciò che mangia lo determina, come ciò che gli animali mangiano, li determina. Bisogna “riconoscere la luce della realtà nel buio dell’astrazione è una contraddizione – vuol dire affermare il reale negandolo. Solo la nuova filosofia, che riconosce il concreto come vero non in abstracto ma in concreto - che riconosce il reale nella sua realtà, cioè in un modo che corrisponde all’essenza del reale, e ne fa il principio e l’oggetto della filosofia è quindi la verità della filosofia hegeliana, ed in generale della filosofia moderna”. (L. Feuerbach, La filosofia dell’avvenire, a cura di C. Cesa, Bari, Laterza, 1967, p.145).

Nel tempo della natura, che l’uomo chiama “storia”, si consuma l’alienazione, ma in questo stesso tempo anche la rinascita a se stessi, prima di tutto negando, eliminando il dio razionalizzato della teologia. Liberandosi da ciò e riconoscendo che l’idea di dio, altro non è che una produzione logica, ciò grazie allo Hegel secondo Feuerbach, possiamo liberarci ed essere quello che siamo: natura con le sue leggi.

 

Non vi è per il pensatore tedesco la libertà dell’uomo, questa è solo la comprensione delle necessarie leggi della natura, anche quando si ritiene che un’azione sia libera, essa, in realtà, dipende dalla costituzione umana, che ha “volontà”, ma non è un libero arbitrio, solo uno sviluppo di una facoltà naturale posseduta dall’uomo.

Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Nella negazione di Dio, considerato illusoriamente come ente a sé, solo comprendendolo come una proiezione antropologica, si ha un’autentica liberazione. Così l’uomo (ivi, pp.170-71) intende che “L’arte, la religione, e la filosofia o scienza sono soltanto fenomeni o le rivelazioni della vera essenza umana. – Uomo, uomo completo e vero è solo colui che ha senso estetico o artistico, religioso o etico, filosofico o scientifico. È uomo, nel senso generale del termine, solo che non esclude nulla da sé nulla di essenzialmente umano, Homo sum, umani nihl a me alienum puto (espressione di Terenzie nell’opera Heautontimoroumenos (Il punitore di se stesso).

L’uomo disvelato a se stesso, potremo chiamare la filosofia di Feuerbach, che comprende la sua natura e ad essa sola si riferisce, tanto da proporre nel 1862, prima opera di sapore strutturalista, l’opera: Das Geheimnis des Opfers oder der Mensch ist was er isst (Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia, è in ID, Kleinere Schriften IV, a cura di W.Harich, Gesammelte Werke, Berlin, Akademie-Verlag, 1972 Band 11).

Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)L’uomo un’unità naturale dove tanto il corpo quanto la psiche altro non sono che elementi della natura sottoposti alle leggi della natura, determinate appunto dal cibo, una filosofia gastronomica. Una rivalutazione del corpo in una prospettiva edonistica, più eudemonistica. (cfr. H. Lemke, Feuerbachs Stammtischthese oder zum Ursprung des Satzes: „Der Mensch ist, was er isst“, in Aufklärung und Kritik, Zeitschrift für freies Denken und humanistische Philosophie. Herausgegeben von der Gesellschaft für kritische Philosophie Nürnberg 1/2004 (web) e G. Carrara, Per una filosofia dell’alimentazione con un excursus sul peccato di gola: Suggerimenti teorici e ipotesi didattiche, in “Comunicazione filosofica” Rivista telematica di ricerca e Didattica Filosofica, 2007, n.18, con ricca bibliografia sui temi trattati; entrambi reperibile sul web).

 

La libertà

Per Feuerbach l’uomo liberato deve fare i conti solo con la natura e le sue leggi e il suo pensiero altro non è che un processo naturale, diverso da quello degli altri animali, ma comunque inserito nella naturalità, non deriva da altro che dalla natura stessa. Considerare che l’intelligenza umana sia stata “data”; “creata” o “infusa” da un essere naturale è solo un’illusione o, meglio, un pensiero prodotto quando l’uomo non aveva piena coscienza di se stesso come ente di natura.

Infatti, qualsiasi rappresentazione è un procedere metafisico e pertanto non naturale. La libertà quindi è un produrre metafisico, che delinea qualcosa che non è nella natura. Solo la materia con le sue leggi fisiche, liberata dalla proiezione metafisica, è ciò che importa all’uomo. La sfera d’azione dell’uomo è pertanto delimitata dalla leggi naturali e ad esse fa riferimento. Non esiste uno spazio di libero arbitrio per l’uomo, la stessa volontà, come realtà di natura, preferisce/sceglie in base a leggi naturali. Così scegliere questo o quello non dipendono da una elaborazione razionale, ma da una dimensione istintuale che viene elaborata a livello della ragione, ossia di quella naturale facoltà di connessione tra dati sensibili ed esperienze che l’uomo ha avuto o ha nel momento in cui esercita la volontà. Quasi una teoria comportamentale si potrebbe dire, tanto che gli studi di psicologia, appunto comportamentale, tendono ad individuare quali sia la connessione tra istinti di base degli animali, compreso l’uomo, e le azioni che compie. Lo spazio di scelta, che alcuni studiosi, come C. Cesa, Introduzione a Feuerbach (Roma-Bari, Laterza, 1978, pp. 129-130), ammettono nel filosofo tedesco, non sono espressione di un libero arbitrio, giacché questo suppone almeno una deliberazione, ma un porsi tra equivalenti, preferendo sulla base di dati sensibili e esperienziali l’uno piuttosto che l’altro e il cui motore può essere senza quasi dubbio solo una visione edonistica.

A tavola e a letto si comprende l’uomo. La morale è anch’essa una produzione metafisica, che costruisce sopra e prima delle azioni e non tiene presente la dimensione della natura, che ben si esprime non nelle opinioni religiose/filosofiche, ma in ciò che l’uomo mangia e in genere in ciò che procura piacere hic e nunc.

 

Conclusione

Il grillo parlante: La libertà distrutta da un tor (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Non vi è quindi una libertà del volere nell’uomo e negli individui, semmai delle preferenze nell’ambito delle leggi naturali. L’unica possibilità è la liberazione dalla metafisica, dalla religione, da ciò che l’uomo stesso ha autoprodotto, dimentico della sua naturalità e in essa ha alienato la sua stessa natura, considerando infinito, ciò che, invece, è finito.

L’unica battaglia che l’uomo deve condurre è contro ciò che nega la sua natura e vinta la battaglia, vivere secondo natura questa è l’unica verità, che ci unisce nel tutto e fa del tutto ciò che è, tanto che si può scambiare il termine tedesco “essen” (mangiare degli uomini) con “fressen” (mangiare degli animali, dato che tutti e due sono natura e determinati appunto da quanto ingeriscono nello stomaco che fa consistere il loro essere come sola esistenza materiale.



nr. 10 anno XXI del 19 marzo 2016

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