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(foto Luigi De Frenza)
L’opera lirica dell’edizione di quest’anno del festival Settimane Musicali al Teatro Olimpico è stata “Le Nozze di Figaro” di Mozart-Da Ponte. Andata in scena per la prima volta nel 1786, è la prima della trilogia italiana scritta da Mozart insieme al librettista veneto, poi naturalizzato statunitense, Lorenzo Da Ponte. Le altre due opere, andate in scena gli anni scorsi al Teatro Olimpico e dirette dal direttore artistico del festival M° Titta Rigon sono “Don Giovanni” e “Così fan tutte”, quest’ultima con la regia del baritono Lorenzo Regazzo che firma anche l’allestimento andato in scena in questa XXV edizione del festival.
Cominciamo dalla fine: in queste “Nozze di Figaro” c’è un personaggio silenzioso , una presenza costante che si rivelerà alla fine inserendosi nella stretta attualità dei dibattiti; una statua vestita da soldato romano che riflette l’intero genere umano al di là delle appartenenze di genere. Spiegaci questa scelta.
Lorenzo Regazzo: “Nel primo atto, quando inquadriamo tutti i personaggi, in cui c’è il giardino, l’ho rapportata a una delle varie statue dell’Olimpico. Anche se si vedeva che era un essere umano, l’idea era che fosse un prolungamento delle altre 4 per far vedere che alla fine, in questo palazzo nobiliare, l’odierno punta all’unisex rapportandosi anche in maniera non sacrilega: partendo da un’antichità e aulicità di valori di un certo tipo, il ‘500 ecc, arriviamo adesso e la statua rispecchia il palazzo odierno a cui aspira la società di oggi, senza giudizi critici. Finisce in una festa e non c’è nessun tipo di giudizio morale anzi, è una statua di una grande festa, la rivelazione dell’unisex".
Alcuni registi preferiscono dimenticarsi del libretto e seguire soltanto la musica dando vita ad allestimenti interessanti. In qualità di cantante, nelle tue regie, quanto ti influenzano l’andamento musicale e il libretto nella creazione di un quadro di immagini in movimento?
“Fondamentalmente dalla musica e dal libretto da cui non posso prescindere perché se un cantante, io per primo, ha un esigenza di fiato, di appoggio e di tutte queste cose tecniche, quello ha la priorità. Fare capriole mentre devi fare un fiato o cose così, con me non succederà mai perché mi immedesimo e combatterei subito con il regista a pugni su questo. C’è poi un’altra cosa in cui io prendo parte e difendo: le didascalie del librettista. Le didascalie, molto spesso, maggiormente in Da Ponte, rivelano dei mondi inesplorati. Nel Don Giovanni, nella scena del cimitero, abbiamo un’indicazione di Da Ponte: Don Giovanni con la spada percuote le croci che vengono tutte divelte. A volte il librettista dà delle indicazioni fortissime e il regista non presta attenzione. Anche qui, ne “Le Nozze di Figaro”, Da Ponte scrive: “Cherubino bacia il Conte”, però non c’è scritto “inavvertitamente”, io invece ho messo: “bacia il Conte intenzionalmente". Lì cambi un mondo, però quello che dice Da Ponte c’è e se deve dare il bacio lo dà".
Cerchi sempre di mettere degli elementi che attualizzino il più possibile il contesto della vicenda.
“Si sì, ci credo assolutamente".
Quest’anno ci sono i selfie-stick, i visori 3D per cellulare o il “Like” di FB per il selfie collettivo stile notte degli Oscar. La tecnologia ha profondamente cambiato le abitudini, l’espressività e l’emotività del genere umano. Come riesci ad attualizzare una cosa scritta 300 anni fa senza modificare il testo, che non è toccabile, senza essere anacronistico? Dove ti appoggi?
“Se c’è un testo in cui si fa riferimento a cose ben precise, una spilla d’epoca, io non posso intervenire con Oculus. Però in un momento in cui la musica parla di un certo tipo di emozione e non è specificato un oggetto e vedo che la musica mi porta a quello e c’è questo finale secondo che è un’orgia di suoni, lì è una cosa, un equilibrio che si rompe un po’: tutti, dalla serietà, ad un certo punto “scazzano” e il grande selfie ci sta proprio perché la musica di Mozart ti porta a dire “facciamo casino”. Ma non è che quella sia l’etichetta dell’opera, perché poi torna come prima, nella serietà, però quello è proprio un momento di “scazzo” e lì ci sta".
Le figure femminili qui sono più ammorbidite rispetto al “Così fan tutte” dell’anno scorso: la Contessa e Susanna ballano insieme nel “Voi che sapete” e alla fine danno un bacio sulla guancia a Cherubino. Anche in altri momenti, la Contessa in primis, vediamo dei momenti di malinconia un po’ romantica. Sono delle donne diverse rispetto alle altre due opere di Mozart-Da Ponte.
“Si sì, se hai visto è una Contessa che io ho scelto non giovanissima ma elegantissima e col canto ci stende tutti, la Patrizia! (Patrizia Biccirè ndr) Però c’è una certa differenza d’età che ho sfruttato a fini teatrali: lei ha 50 anni e ha sposato un Conte trentenne e questa crisi di età si evidenzia nel fatto che lei favoleggia, vorrebbe essere sedicenne. Questo ballo continuo è vedersi in spiaggia, il falò, poi la cruda realtà guardando lo specchietto e questo vagheggiare è anche nei confronti degli altri, vedi che il rapporto con il Conte è completamente esaurito e quindi è proprio una crisi, ritornare a qualcosa che non c’è più. Lei lo fa molto bene".
L’Olimpico necessita di limitazioni spaziali maggiori rispetto a un teatro normale, in quanto monumento e questo scuramente spinge i registi a sfruttare tutti i dettagli possibili: ho visto che i tuoi personaggi muovono molto le mani e i piedi e c’è un esplicito omaggio a Mondrian, anche negli elementi d’arredo, nei costumi e nel trucco.
“Nel secondo atto”.
Sì, esatto. Mondrian è famoso per le linee rigorose, i colori saturi e spesso primari, come ti è nata l’associazione di idee Mondrian –Palladio?
“Intanto abbiamo caratterizzato ogni anno, penso che sia il primo anno in cui ogni atto ha un cambio scena e ringraziamo questa squadra meravigliosa che fa su e giù, quindi un lavorone. Poi ho voluto rompere completamente col Palladio, le linee rette contro il sinuoso delle statue proprio per caratterizzare la fissità in cui è ridotta la Contessa: quella è la sua camera, la vogliamo appassionata d’arte, però ormai ha chiuso con questo sinuoso che poi fa parte del Conte. Il Conte nel III atto è in mezzo a dei ruderi e vedi che fa un click con le statue che spegne e accende: lui è ancora in quel mondo lì invece la Contessa vuole proprio isolarsi e quindi la scelta dell’arte contemporanea, Mondrian come cliché, è proprio relativa ai personaggi".