NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il grillo parlante: conclusione

La disfatta della morale: il male è morto

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante: conclusione

Introduzione

Noi siamo figli delle elaborazioni ottocentesche che culminano per la riflessione morale con le prospettive del liberalismo anglosassone che pone la libertà della coscienza come unico metro di misura per le possibili azioni umane, l’idealismo che è matrice, attraverso l’ideologia del marxismo della nascita del totalitarismo ed infine del singolarismo, il cui padre, M. Stirner è, oggi, a mio avviso, il riferimento più importante.

Il liberalismo con la libertà di coscienza, ossia ogni uomo è la sede decisionale delle sue azioni e queste debbono però non contrastare con l’ambito degli altri esseri umani riuniti in un consorzio civile, detto società e questo, organizzato, come Stato. La sfera privata è assoluta e ad arbitrio dell’individuo, che la può svolgere secondo quanto egli stabilisce. Non vi può essere influenza esterna, se non quella che viene accettata. Per l’ambito pubblico le regole sono quelle della convivenza e dove lo Stato non interferisce in nulla dell’ambito privato, a meno che questo non leda altri individui. Nessuna imposizione, nessun uomo può dettare norme comportamentali ad altri uomini, quelle che detta lo Stato sono di convivenza. È l’apice del contrattualismo quale è stato elaborato proprio dall’ambiente anglosassone ed in particolare da T. Hobbes e J. Locke il cui esito è la visione morale di J. Bentham e il relativismo morale di D. Hume. Nell’Ottocento il liberalismo internazionale e anche italiano con la massoneria e i suoi affiliati combatté aspramente contro il cattolicesimo e con riferimento alla proclamazione del dogma (senatus consultum ultimum) dell’infallibilità pontificia durante il Concilio Ecumenico Vaticano I nel 1870. Si oppose in modo veemente W.E.Gladstone (1809-1898) con The Vatican decrees in their bearing on civil allegiance: a political expostulatio, London, J. Murray,1874, un pamphlet di 72 pagine contro papa Pio IX, il Sillabo e il dogma del 1870 con il saggio. Una tradizione di opposizione risalente all’Atto di supremazia di Enrico VIII del 1534, dove il sovrano diventava il capo della Chiesa e la dominava politicamente. Il Liberalismo non accetta certo la visione di Enrico VIII, ma se serve…

La libertà di coscienza diventa assoluta e incontrastabile nella sfera individuale e privata. Non esistono chiaramente norme morali eteronome, ma solo autonome: deciso io che cosa per me vale e lo Stato non può che riconoscerle, salvo i diritti degli altri a non essere “disturbati” dalle mie decisioni. Non è la libertà della coscienza, che delibera sulle azione in conformità a norme che può anche non seguire, compiendo con ciò il male (cfr. D. Castellano, Razionalismo e diritti umani, Torino, G. Giappichelli,2003).

Su altro fronte l’idealismo che negli esiti fonda il totalitarismo novecentesco che ben analizzato da H. Arendt, (Le origini del totalitarismo, Milano, CDE, 1997) sul versante del nazionalismo (fascismo e nazionalsocialismo) è meno analitico per quanto riguarda l’origine marxista dello stesso. Infatti, è il marxismo ed in particolare nella versione leniniana che fonda il totalitarismo ed il cui primo esito è proprio la rivoluzione russa del 1917. Due tipi di totalitarismo, quello di origine idealistica con Marx afferma che solo il pensiero unico può essere accettato, in quanto sintesi assoluta. Non vi può essere opposizione e se essa si manifesta è solo una “coda” del mondo precedente e i suoi seguaci debbono essere “rieducati” in campi (gulag) opportunamente attrezzati per piegare il corpo e la mente, come volle Lenin fin dal 1918 nelle Isole Svalbard, quei luoghi di villeggiatura trovarono poi in Siberia altre opportune sedi. Ben descritto tutto ciò da Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008), contro il quale si levarono le interessate voci sovietiche e anche dei comunisti italiani. Il giudizio di Giovanni Paolo II sul comunismo è ben chiaro, lo considerò “una male necessario”, ma fu comunque il comunismo un male, non uno spettro, che si aggira ancora per il mondo e in molti cervelli italiani che non si accorgono che la realtà è diversa dal cervello che la pensa (l’espressione è di K. Marx).

Del mito dello Stato che è datore di Leggi si fece interprete il totalitarismo fascista, come ben afferma il filosofo Giovanni Gentile nella Voce Fascismo dell’ Enciclopedia Italiana (la Treccani). Lo Stato e la razza ariana come dominatrice furono i capisaldi del nazionalsocialismo così come affermato nel volume Mein Kampf di A. Hitler che nei Lager consumò le proprie infamie, il male assoluto lo definì papa Giovanni Paolo II (cfr. Memoria e identità: conversazioni a cavallo dei millenni, Milano, Rizzoli, 2005).

Il grillo parlante: conclusione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Tutti questi totalitarismi hanno inteso ridurre la massa sociale ad un unico individuo, che professava quanto era stabilito e si comportava secondo le regole stabilite. Non vi è libertà, né coscienza, ossia l’individuo non esiste né può avere parte nelle decisioni. Non è una visione morale, perché richiede lo Stato appaga e il cittadino si sente appagato dalla provvidenza dello Stato nei suoi confronti.

Sia il modello liberale sia quello totalitario che ancora suscitano interesse ed hanno seguaci, sono finiti e sostituiti dalla s visione del singolarismo, dove non vi è un “uomo”, una “persona individua”, ma il singolo e la sua volontà come assoluti.

Teorizzato da Max Stirner ha trovato in alcuni autori come S. Kirkegaard, A. Schoperhauer e F. Nietzsche ulteriori elaborazioni, ma sempre nella affermazione che è il singolo e la sua volontà che determinano la scelta che non è l’esito di una deliberazione razionale, ma della volontà che segue questo piuttosto che quello e cambia a seconda di quanto si vuole. Ciò apre a quella visione che vede la coscienza solo dal punto di vista psicologico, psicoanalitico dove il singolo trova nella sua storia e nella sua volontà quanto, come e quando intende agire. Il tutto si riduce alla coscienza del singolo e alla sua volontà; Quod volo et mihi placuit, vale!

Con chiarezza estrema F. Nietzsche ha ben teorizzato che ciò costituisce il superamento dell’uomo è un andare al di là (Oltreuomo) di tutto ciò che è dall’uomo considerato valido ed in modo netto e preciso ciò che è bene e ciò che è male. Il bene non è oggettivamente tale, perché esso coincide con quanto voglio e tutto quello che voglio è giustificato, gli altri, il consorzio umano, lo Stato non possono che accettare quanto io voglio: quod mihi placuit lex debet esse!

Il male non è più tale, è morto e non vi è più il mysterium iniquitatis sul quale tanto hanno riflettuto i filosofi nei secoli passati.

 

Il male è morto

Il male è morto! È questo un annuncio che sentiremmo con grande sollievo se tutte le azioni umane realizzassero il bene. Il negativo avrebbe ceduto finalmente il posto al positivo, il bene al male, e la realtà dell'uomo si avvierebbe ad uno stato di autentica e attiva virtù che recherebbe con sé la possibilità di una profonda felicità. Il male sconfitto affermerebbe che esso è stato solo un difettoso orientamento delle azioni dell'uomo e che il bene costituisce la condizione reale dell'uomo e risulterebbe così dimostrato che il bene è innato nell'uomo, soddisfacendo nel contempo a tutti quei filosofi e uomini di fede che hanno ritenuto che è bene ciò che esce dalle mani del Primo Fattore, di Dio insomma

Non è così, però, dobbiamo amaramente constatare. In effetti, non è morto il male, ma il modo con il quale lo consideriamo. Nella nostra società il male è morto perché viene negata la sua realtà e ciò che di negativo si palesa viene sempre e comunque giustificato in quanto scelta soggettiva, frutto di una personale elaborazione. Oltre a ciò anche la pretesa che esso possa essere razionalizzato perché frutto di circostanze socio-economiche o psicologiche che conducono ad una determinata azione. L'azione in quanto tale non può più essere soggetta a criteri valutativi morali, essa vale di per sé; la sua stessa esistenza giustifica che essa è compiuta in relazione o a causa di altre azioni o circostanze, le quali forniscono la deduzione stessa

Inoltre è morto anche il bene perché se muore il male anche il suo correlato, il suo contrario muore e bisogna dar forse ragione a quel filosofo che, ponendo la nuova prospettiva dell'uomo Al di là del bene e del male, finiva per proclamare: Dio è morto!È qui che si consuma la fine del male e del bene, perché se nulla di tra­ scendente vi è per l'uomo, allora non può esistere alcuna distinzione tra ciò che è male e ciò che è bene e rimane solo l'uomo, il singolo di fronte a se stesso, che avrebbe solo bisogno di una legge, frutto di convenzioni e non di scelte morali, come vincolanti le proprie azioni

Il grillo parlante: conclusione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il male è morto e con esso il bene, sostituiti entrambi da una autogiustificazione, che si rende prigioniera del singolo e delle sue azioni; azioni non valutabili, non discriminabili, solo azioni convenienti per chi le compie. La morale è morta e con essa il mondo del dovere elevato a valore dell'esistenza. Si è operata una sostituzione: non esistono doveri, ma solo valori e questo termine viene usato nel suo significato più preciso, cioè quello di misura, agganciandolo cosi più ad una valenza economica che domina la società attuale e che ha ridotto ogni azione a termini economici. Questi hanno certamente rilevanza nella vita di ogni uomo, ma sostenere che essi soli sono ciò che definisce l'uomo introduce un'antropologia banalizzata al mondo delle cose e al loro possesso: L'uomo è così ridotto a una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l'ordine sociale. Da questa errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto - frutto di sole convenzioni e convenienze - che definisce la sfera d'esercizio della libertà, nonché l'opposizione alla proprietà privata. (cfr. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, II,13)

Da questa concezione quasi più che da quella di Nietzsche nasce la fine del problema morale. Il bene non assume più la direttività delle azioni umane ed esse sono abbandonate o a livelli di regolazione sociale o a giustificazioni personali, che se pure esistono talora, non possono certo cancellare quanto di male eventualmente si sia compiuto.

 

Le radici della crisi morale attuale

Riproporre all'interesse della filosofia il problema del male, significa, a mio avviso, fare i conti direttamente con tutta la realtà dell'uomo; infatti non è possibile comprendere quale sia l'eventuale natura del male e se esso sia o no radicato nel cuore stesso dell'uomo, se non si compie una disamina, problematizzata, di chi sia l'uomo e quale il suo ruolo nel mondo.Il male infatti è un problema che si incontra nelle azioni dell'uomo giacché l'ambito morale ha come suo punto di riflessione il bene.

Ad una considerazione antropologica l'uomo è un essere capace, proprio perché dotato di ragione, di pensare ed agire conformemente ad un pensiero ma ciò non basta a qualificare, è necessario affrontare il problema da altri angoli e questi sono offerti dall'indagine razionale che si chiede il perché l'uomo agisca in un determinato modo. Tutti gli uomini agiscono, ma qual'è il movente delle loro azioni soprattutto quando queste vengono considerate come bene o come male. Ulteriormente, una azione è definibile come buona o malvagia non in se stessa in quanto azione, ma in relazione al movente e alla finalità che si propone, per ribadire: non sono solo i fini che qualificano un'azione, ma anche e direi soprattutto i mezzi con i quali la si compie.

Ma, al di là di queste iniziali considerazioni, è da tener presente che nel contesto contemporaneo il problema del male, appartiene al buon tempo passato, così come il bene (cfr. F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, tr. S. BORTOLI Cappelletto,Introduzione F.MASINI in ID, Opere 1882-1895, Newton Roma 1993, pp.417-561) ed infatti nella società contemporanea la tematica intorno "al bene e al male" sembra essersi esaurita, tanto che le azioni possono o non possono essere convenienti, oppure utili o inutili, piacevoli o spiacevoli, ma mai qualificabili con "bene" o "male". Di fronte a simile situazione riflettere sul male significa innanzitutto opera­ re una critica della nostra società ed dei suoi punti di riferimento. Si tratta di crisi, non tanto dal punto di vista storico dove abbondano le riflessioni, non tanto dal punto di vista della religione dove ancora il tema del male nel mondo costituisce un punto forte di riflessione, quanto nelle situazioni sociali dove il male è relegato a discussione antica, priva di vigore nella vita di tutti i giorni. Le ragione di ciò sono individuabili in alcuni concetti cardine che reggono la società, questi sono il concetto di progresso e di soggettività e la riduzione della realtà morale dell'uomo a puro fatto economico, come affermavamo sopra.

 

La Dispersione dei valori

Occorre ripensare a quali siano gli elementi della crisi attuale della morale, che è possibile in una prima istanza identificare nel predominio che hanno assunto le singole situazioni sull'analisi globale del problema etico.

Puntare la riflessione sulle situazioni, data la loro molteplicità e varietà, induce solo ad una analisi che rilevi eventuali tratti comuni, i quali possono venir raggruppati in tabelle statistiche. Quest'ultime però non possono tener conto della specificità stessa dell'azione e della persona che la compie e riducono la possibilità di analisi solo a quegli elementi generali che non entrano nel corpo vivo dell'esistenza. Inoltre una posizione che tenesse conto dell’infinita varietà delle azioni condurrebbe inevitabilmente ad affermare che non esistono che nell'idea azioni volte al bene o al male, dato che questi non risulterebbero altro che criteri convenzionali, facilmente peraltro sostituibili da più opportuni riferimenti come ad esempio quelli dell'utilità o inutilità, del piacere o del dispiacere. La posizione di David Hume al proposito è nota come pure lo scetticismo morale a cui la sua riflessione filosofica va incontro negando fondamento conoscitivo ai giudizi di valore perché "Essi sono l'espressione di sentimenti, emozioni o prese di posizioni preferenziali, pure decisioni, e tra queste e le proposizioni descrittive o teoretiche in genere vi sarebbe un salto logico, una frattura incolmabile. (Sul problema cfr. M. Bettiol, Positivismo moderato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1986, p. 32). La legge di Hume che tanto dibattito ha suscitato in Italia soprattutto tra i filosofi del diritto ci offre l'opportunità di analizzare quanto essa stessa abbia contribuito a negare non solo fondamento all'etica, ma a ridurre la questione morale stessa a una pura questione di prassi su base volontaristica.(Cfr. U. Scarpelli, Filosofia analitica e giurisprudenza, Nuvoletti, Milano 1953).

Ne consegue che l'uomo è solo scelta e la sua conquista di libertà è in relazione solo e soltanto a quanto egli, in ragione del contesto storico, nella prospettiva socio-economica, può darsi come criterio prescrittivo delle azioni. È evidente la difficoltà. in questa posizione che da un lato distrugge la stessa possibilità. di tematizzare sia una libertà originaria dell'uomo, sia un bene e quindi un male come qualcosa di oggettivo operante nella reale esistenza umana

Ciò è dovuto principalmente al fatto che la sede decisionale è soggettiva, perché il solo soggetto è responsabile di quanto viene compiendo. Ma ciò sarebbe ancora un criterio possibile e la Legge di Hume acquisterebbe una qualche possibilità. di essere canone etico se si considera l'uomo agente in una dimensione oggettiva circa le proprie azioni. A smentire questa possibilità. si ergono anzitutto gli studi di psicologia e particolarmente quelli di psicologia analitica, i quali: finiscono con l'affermare che ogni azione del­ l'uomo è frutto di particolari stati della psiche, condizionati dal vissuto e dalle circostanze nelle quali un'azione viene compiuta. Anche in questo caso non si parla più di una dimensione etica per l'uomo, ma solo di comprensione della situazione, mossa da stati d'animo, in realtà motivazioni psicologiche acquisite.Da un lato la legge di Hume e dall'altro le acquisizioni degli studi di psicologia fanno sorgere una sorta di convenzionalismo pragmatico che viene denominato etico solo in ragione del fatto che esso ha a che fare con gli usi e costumi degli uomini

I frutti di questa impostazione che si mostra vincente sono davanti a tutti noi: non esistendo più un criterio morale, né la affermazione di un bene oggettivo, l'individuo si trova in balia di se stesso e se nel corredo psicogenetico vi è la presenza di una sorta di Super-lo le sue azioni potranno essere giovevoli al raggiungimento di un piacere oppure la volontà si piegherà alle convenzioni giuridiche che gli indicheranno le strade da seguire per conseguire la propria utilità. In realtà l'individuo finisce per trovarsi da solo di fronte a se stesso e a quanto vuole compiere e finisce con il rifiutare qualsiasi canone gli possa venir indicato, in quanto esistono ragioni plausibili per ogni suo atto.

Vi è inoltre un'ulteriore difficoltà anche in campo giuridico oltre che etico. Le norme debbono essere le più casistiche possibili, per avvicinarsi alla realtà delle azioni e ciò comporta l'impossibilità di contemplare tutti i casi e quindi la fine stessa anche di criteri e norme convenzionali, a livello della stessa società.

 

Al di là del bene e del male

Ripensare alla crisi attuale dell'etica, significa anche prendere in considerazione per la sua incidenza, seppur non sempre direttamente avvertibile, una prospettiva filosofica che è rappresentata dal pensiero di F. Nietzsche e dalla sua affermazione che l'uomo, rigettando tutta la propria storia, debba andare al di là del bene e del male ossia rifiutare qualsiasi criterio o norma anche convenzionali. L'orizzonte dell'uomo, limitato da realtà oggettive deve cedere il passo a dimensioni solo soggettive: è il singolo uomo che può decidere quanto fare senza nessun legame di sorta, senza relazione con gli altri se non casuale.

Bene e male sono entità di dominio o condizionamenti prodotti da chi aveva interesse a proiettare l'uomo in un al di là affinché fosse possibile un potere al di qua. Dopo K. Marx che simili parole aveva proferito a proposito della religione, Nietzsche lo afferma per la morale. Basti pensare a come ne La genealogia della morale Nietzsche descriva i nostri obblighi personali, il sentimento di colpa, che "ha avuto le sue radici nel rapporto interpersonale più antico e originario che si sia mai dato, nel rapporto tra compratore e venditore, creditore e debitore"(F. NIETISCHE, Genealogia della morale, tr. V. Perretta, Introduzione di S. MORAVIA, in ID, Opere 1882-1895, Newton, Roma 1993, p. 611).

Si erge proprio attraverso queste parole l'affermazione che le azioni umane non hanno né un movente né una finalità, che non dipenda dal puro interesse. È l'utilità che guida e l'uomo, egli non è di fronte che a se stesso e con se stesso può porsi al di sopra e al di fuori di tutti gli altri uomini. Infatti, la morale è guida per il gregge che si nasconde dietro la mediocrità. Infatti ogni individuo si erge al di sopra di tutti e considera solo se stesso come l'apice di tutto, tanto che i privilegi personali sono gli unici doveri ai quali sottoporsi.

Nietzsche, dopo aver proclamato la morte di Dio, annuncia che solo il singolo, unico e irripetibile, è dio a se stesso e quindi si autocomprende e autogiustifica le sue azioni, frutto solo di se stesso, non sono giudicabili se non da lui stesso.

Il superamento del fondamento della morale e la nascita di una posizione individualista è alla base di odierni concetti di autonomia del singolo il quale chiede alla società, allo Stato, solo la garanzia di poter essere quello che intende essere senza vincoli; anzi lo Stato deve garantire solo ed esclusivamente quanto il singolo intende vivere personalmente per esprimere sé come sé: "In teoria, quindi, qualsiasi comando della legittima autorità. potrebbe essere respinto; anzi, si dovrebbe dire che, in questa prospettiva, nessuna autorità è, per il singolo, legittima in difetto del suo con­ senso manifestato con l'accettazione dei singoli ordini a lui impartiti" Vi è con ciò la piena affermazione del primato assoluto della coscienza individuale su qualsiasi ordine, principio o legge e con ciò l'individuo è legittimato a ritenere che non possano né debba­ no esistere riferimenti di ordine morale né quindi la affermazione di un bene come realtà oggettiva alla quale riferirsi.

Le conseguenze sono precise: da un lato i rapporti umani si restringono a puri rapporti di utilità. e quindi ciò che assume rilevanza è solo il terreno economico e la sua diretta filiazione, ossia il politico nel quale il singolo si autovalorizzi di fronte a qualsiasi possibile subordinazione materiale o detta spirituale che sia. Dall'altro lato il soggetto liberato, autovalorizzato, assume la consapevolezza di essere uscito dalla morale e quindi non ha come termine di riferimento il bene e uccide il male.

Il grillo parlante: conclusione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Non due termini antitetici (bene e male) che possono dirigere le azioni, ma solo la pura indifferenza al dovere e la nascita di una esaltazione della soggettività come assoluta realtà. Essa non compie azioni morali, ma azioni che esprimono un processo creativo di autovalorizzazione. La vera salvezza, la fine del peccato originale della ragione è nel redimersi dal tu devi. La necessità di trasvalutare tutti i valori diviene la denuncia che "tutti i mezzi grazie ai quali sinora l'umanità ha dovuto esser resa morale, erano fondamentalmente immorali"

L'uomo redento che si è posto al di là del bene e del male, denuncia proprio la bontà dei buoni che "- non sanno creare, sono sempre l'inizio della fine\- crocifiggono chi scrive i nuovi valori su nuove tavole, sacrificano\ a se stessi il futuro. Crocifiggono ogni futuro umano!\ I buoni - furon sempre l'inizio della fine...\ E per quanti danni possan fare i detrattori del mondo, il danno dei buoni è il danno più dannoso. La fine degli uomini buoni - avverte Zarathustra - apre l'uomo stesso ad un futuro radioso nel quale ogni uomo aspirerà all'opera sua. (F. Nietzsche, Ecce Homo, tr. S. Bartoli Cappelletto, Introduzione di A. Venturelli in ID, Opere 1882-1895, Newton, Roma 1993, p.896).

 

Soggettivismo morale

Due i poli dell'attuale crisi della morale, con argomentazioni diverse, partite da presupposti diversi e in parte contraddittori tra loro, raggiungono un unico risultato: vale solo ciò che per il soggetto vale, ciò che è determinazione di sé. Poco importa se questo soggetto è composto di molti (la società, la classe), quello che diviene rilevante è l'assalto al cielo, la fine di ogni morale e quindi la morte del bene e del male. Restano solo valori ossia misure di quanto il singolo o nei rapporti tra singoli si stabilisce essere la misura dei rapporti. Non esiste più un dovere che viene elevato a misura delle proprie azioni! La destrutturazione del contenuto stesso della morale ossia il bene, ha portato alla scomparsa del male e sviluppa l'autovalorizzazione, mancando ogni minima possibilità di rapportarsi ad un elemento esterno, trascendente la limitatezza umana. Non solo la religione è l'oppio dei popoli, come sentenziava K Marx, ma con Nietzsche si è fatta giustizia anche di un altro, e forse in parte più forte, oppiaceo, la morale.

Così due pensatori, distanti e antitetici, sono diventati la matrice della crisi attuale della morale, che da sociologia, trasfor matasi in problema di gestione del politico, è diventata soggettivismo nel quale le azioni compiute da ciascun individuo, in quanto espressione della soggettiva ragione, sono eseguibili, cioè assumono realtà, in quanto fatti dell'individuo stesso.

Il singolarismo prende piede come abbiamo considerato nella parte dedicata a Max Stirner (cfr. “La domenica di Vicenza”, nr. 28 anno XXI del 23 luglio 2016).

Ciò apre però anche ad una finale considerazione.

 

La ripresa della morale

Il grillo parlante: conclusione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Nel mentre si consumava totalmente la crisi della morale nel nostro secolo, alcuni studiosi, particolarmente dell'area tedesca, tentavano una "riabilitazione della filosofia pratica" che ha dato luogo in Italia ad un preciso dibattito che si è incentrato particolarmente nel problema di definire "precisi valori positivi, capaci di dare un senso all'intera vita umana, individuale e sociale" (E. BERTI, La razionalità pratica tra scienza e filosofia, in AA. VV., Il valore. La filosofia pratica fra metafisica scienza e politica, Presentazione di G. Santinello, Gregoriana, Padova 1984, p. 19).

E. Berti ad esempio ha indirizzato il dibattito su una nuova considerazione dell'etica aristotelica, la quale "propone una morale pienamente umana, cioè non protesa verso valori trascendenti, irrealizzabili dall'uomo con le sue sole facoltà naturali". Berti si muove in questa posizione su un piano "di assoluta laicità, cioè prescindendo da qualsiasi rivelazione positiva". È proprio questa "riabilitazione" che consentirebbe di riprendere il discorso morale, ma ci si deve chiedere se sia possibile una morale senza Dio, ovvero fondare una morale laica (ivi, p.26). Quest'ultima possibilità, pur sovente affermata, finisce, quando va bene, solo in una prospettiva di determinazione dei valori con i quali convenzionalmente una società può vivere ed operare, ma allora sarebbe meglio parlare solo di norme giuridiche fondanti la convivenza e non scomodare il problema morale. Lo stesso Guarini afferma "la Morale Laica non esiste, perché la questione è solo il soggetto tangibile (cfr. R. Guarini, Breve corso di morale laica, Rizzoli, Milano 1987)

Già lo stesso Aristotele, lo afferma anche Berti, sembra negare questa possibilità ed è nota la soluzione kantiana che richiede (postula) l'esistenza di una causa adeguata, Dio a garanzia della possibilità stessa che azioni morali non siano solo umane. Infatti "se la morale riconosce nella santità della sua legge un oggetto del massimo rispetto, una volta elevatasi al livello della religione essa rappresenta nella causa suprema che porta a compimento le sue leggi un oggetto di adorazione, e appare allora nella sua maestà." (I. KANT, Sul male radicale nella natura umana, a cura di M. Botola, A. Mondadori Ed., Milano 1996, p. 82).

Certo Kant si rivolge a tutti gli esseri dotati di ragione e quindi si pone, secondo alcuni interpreti, anche sul livello di una soluzione laica, ma egli intende agganciare la morale ad una rivelazione positiva, affermando senza dubbi che solo la congiunzione non meramente razionale di morale e Divinità possa dare autentico fondamento alla morale non considerata nei soli limiti della ragione.

Ripensare la morale significa porsi quindi su due livelli, uno, che chiamiamo una soluzione laica, cioè guidata dal pensiero filosofico, che consente un dibattito comune tra gli uomini a prescindere dalla loro religione. L'altro in un ripensamento alla luce della religione rivelata. I due livelli, che costituiscono un patrimonio culturale immenso, possono fornire una risposta adeguata alla crisi attuale dell'etica, che è crisi dell'uomo che si è ridotto o a soggetto in funzione conoscitiva o a individuo che pone la propria relazione con il mondo e con il mondo degli altri uomini nei termini della pura utilità

Ripensare la soggettività "non più risolta nel soggetto pensante", ma come ricerca della verità e del Bene Supremo anche delle nostre azioni. Infatti, solo così il primato dell'uomo non si risolve in un mero potere di produzione di azioni, definite valori, perché misura dei miei rapporti umani con gli altri uomini, ma doveri, scelti o accettati perché rivelati e soprattutto perché ritenuti fondamento della vita umana in tutte le espressioni. Cosi una vita morale diviene un vivere sottoposto alla verità, che conosciamo, seppur parzialmente, ed alla consapevolezza che l'uomo non è con il suo soggettivo pensiero tutto il mondo.

Dalla crisi dell'etica si esce non perché ci si rifugia nell'intimità sentimentale né perché si vuole a tutti i costi costruire una sorta di sincretismo etico o un convenzionalismo, talora ottenuto statisticamente, ma in quanto si afferma la necessità di una verità posta a fondamento alla quale rapportare le nostre azioni, uscendo da quella autogiustificazione che appare come l'unico criterio discriminante l'azione stessa come buona o malvagia.

Parafrasando Kant della Critica della ragion pratica, possiamo far nostra la sua espressione, ci costerà ma ci porta ad una visione di bene: "Dovere! nome sublime e grande, che non contieni nulla di piacevole che implichi lusinga, ma chiedi la sommissione; che, tuttavia, non minacci niente donde nasca nell'animo naturale ripugnanza e spavento che muova la volontà, ma espone soltanto un bene che da sé trova adito nell'animo, e anche contro la volontà si acquista venerazione (se non sempre osservanza)".

 

Conclusione

Il grillo parlante: conclusione (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il cammino di una ripresa dell'etica nel mondo contemporaneo è lungo e difficile, perché coinvolge non solo le azioni, ma la stessa natura dell'uomo, i suoi interrogativi fondamentali, la sua esigenza metafisica e l'inquietante interrogativo se esista o no un Dio. Esige una metanoia, un cambiamento radicale. Purtroppo facili appaiono le soluzioni percorse nei nostri giorni, esse hanno l'indubbio merito di essere facilmente assimilabili, perché pongono una deresponsabilizzazione del soggetto di fronte a sé e agli altri uomini e riducono a sola utilità le azioni. Una ripresa del problema etico richiede un ripensamento e della soggettività che tenta l'esperienza del bene e che lo considera come Dovere della propria personalità libera. Essa deve ritenere anche che lo si possa ostendere a tutti non perché frutto di proprie e soggettive valutazioni, ma perché considerabile come oggettività che richiede il coraggio di riferirsi ad una legge morale, considerando che il destino dell'uomo nel mondo in tutte le sue espressioni e manifestazioni non si possa ridurre a un insignificante e solo materiale transito terreno. La coscienza della propria libertà porta l’uomo al bene, così afferma il grillo parlante nel suo ultimo intervento.



nr. 39 anno XXI del 5 novembre 2016

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