Che cosa si porta a casa dopo un'esperienza come questa?
“La profonda consapevolezza di capire che la vita è un dono e che è importante viverla come tale”.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate lungo il cammino?
“In un percorso di 15 mesi percorrendo 13.000 chilometri a piedi sono tante le difficoltà da affrontare... Essere lontano delle tue sicurezze, della famiglia, dei tuoi cari, l’idioma diverso in ogni nazione attraversata, il rigido inverno, il caloroso state, pioggia e fango per lunghi mesi, accoglienza, ospitalità... Comunque le due più grandi difficoltà che ho avuto di affrontare sono state il mio ginocchio sinistro, molto sofferente dopo tantissimi chilometri, e le risorse economiche che mi permettessero di affrontare con grande serenità il cammino passo dopo passo. Alla fine, come metafora di vita, un pellegrinaggio è una lunghissima preghiera fatta con il corpo”.
E quali invece le maggiori soddisfazioni?
“Innanzitutto ho vissuto in prima persona che, indipendentemente della nazione dove mi trovavo, c'erano sempre delle persone disposte ad aiutarmi. Parecchie volte sono stato fermato nel mio cammino per ricevere cibo, un alloggio, acqua, indicazione sul percorso, un sorriso... Mi sono trovato con tanti ‘angeli custodi’, senza dimenticare gli incontri. Per un pellegrino la condivisione è la più bella espressione di vita”.
Come ci si prepara - fisicamente e mentalmente - a questo tipo di imprese?
“È evidente che è una impresa difficile. Comunque io ho provato sin dal primo momento a trasformare in realtà il mio sogno di collegare a piedi i grandi Santuari di pellegrinaggio cristiano in Europa nel Medioevo. Ed è per questo che due sono state le priorità: la prima è stata il camminare in orizzontale ma con lo sguardo in verticale, alla ricerca del divino. La seconda era capire che il tempo era mio amico e non un nemico. Niente fretta, niente ansia, niente paura... Bisognava affidarsi alla provvidenza”.
Che riscontro sta avendo dal pubblico durante le presentazioni?
“Il riscontro che sto provando con il pubblico durante le serate iniziate il 15 febbraio a Breganze è molto positivo. Il fatto di condividere la mia esperienza di pellegrinaggio con gli altri mi rende molto felice. Alla fine pellegrini siamo tutti. Io intendo trasmettere le emozione provate in questo meraviglioso pellegrinaggio. È evidente che non bisogna camminare tutti questi chilometri e mesi per riuscire a capire cos’è. Mi basta sapere che una persona, dopo aver assistito ad una serata, si è messa lo zaino ed è partita per un cammino. In Europa tanti mi chiedevano cosa mi spingesse a fare un sacrificio così grande e come potessi gestire i rapporti con la famiglia, con i miei cari, essendo cosi lontano tanto tempo... Invece la domanda in Italia è stata sapere come facessi con i soldi i con il lavoro...”.
Francisco Sancho risiede in Italia dal 2008 e si considera vicentino d’adozione. Dopo il suo primo Cammino verso Santiago de Compostela (Cammino Francese), alla metà degli anni novanta, sente nascere in se la consapevolezza che quella era la sua vocazione. Ha al suo attivo un numero pari a 24 cammini che l’hanno portato alla tomba dell’Apostolo Giacomo, 5 volte alla tomba di Pietro e Paolo in Roma, 4 volte alla tomba di San Francesco in Assisi ed innumerevoli altri cammini in Europa. Dal 1994 ad oggi, si stima abbia percorso in cammino una distanza pari a 35 mila chilometri. Questo suo libro, il secondo dopo la pubblicazione del 2015, è frutto di un lungo Cammino percorso con le sue gambe ma, ancor più, con il cuore e l’anima.
nr. 12 anno XXII del 1 aprile 2017