NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Bosnia, “Guerra e Pace”

di Federico Murzio
f.murzio@libero.it

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03Murzio - Sarajevo

Matrimonio a Sarajevo

Sarajevo è l’unica città del mondo in cui a distanza di centro metri in linea d’aria ci sono una moschea, una cattedrale cattolica, una ortodossa e una sinagoga. C’è qualcosa d’incomprensibile nella bellezza di questa città nonostante il traffico, i brutti e anonimi grattacieli ricostruiti, e il disordine urbanistico sulle colline.
Entro in città da sud-ovest lasciandomi il fiume Miljacka sulla destra. Il primo contatto con il recente passato è il Pappagallo: un palazzo dell’architettura titina, sventrato dalle mitragliatrici durante l’assedio dei serbi. Dopo la guerra è stato ridipinto di colori accesi. Gli unici di Sarajevo in effetti, visto che in tutta la città i colori sono solo quelli dei cartelloni pubblicitari che pure non mancano. «Tra tutte Sarajevo è la città che si è ripresa meglio», spiega Ivan Dal Toso, un vicentino che da anni collabora con l’A.R.PA, un’associazione legata alla Caritas. «È l’unica realtà produttiva industriale e finanziaria», quest’ultima lascia un po’ perplessi. La densità delle banche è quasi ingiustificata a guardare il Pil bosniaco, però fa bella figura il made in Italy: le filiali Unicredit e Intesa San Paolo non si contano. Poi scopro anche che i bosniaci sono orgogliosi del loro aeroporto internazionale: nel 1996 c’era un movimento annuale di 25mila persone, oggi è intorno alle 600 mila. Durante la guerra, m’informa Dal Toso, attraversare il tunnel sotterraneo all’areoporto era l’unico modo per scappare o far entrare rifornimenti.
È bello passeggiare per Sarajevo. Le strade sono pulite, i negozi sono pieni, le zone pedonali sono affollate di persone dai volti cupi. Non fosse per le scritte in bosniaco, sembra di camminare a Vicenza durante le festività natalizie. Qui invece si attraversa Bulevar Narodne Revolucije, Viale della Rivoluzione, meglio conosciuto come Viale dei cecchini, e si entra in centro, lasciandosi alle spalle la mittle Europa. L’ennesimo spartiacque culturale è un vicolo stretto che introduce al quartiere islamico. Le case sono più basse, tra legno e pietra, e ci sono le moschee con piccoli cimiteri tutt’intorno. Non che le moschee manchino anche nel resto della città: il 45% degli abitanti di Sarajevo sono musulmani. Ma le uniche donne col velo sono qui, e non c’è una goccia d’alcool in tutto il quartiere. Tanto che per bere una birra dopo aver mangiato il cevapi, un piatto tradizionale fatto di pane turco, polpettine di carne e cipolla, devo rientrare nella zona europea. Dove, per inciso, incrocio un sacco di devoti musulmani con la bottiglia di birra in mano.
Arrivo al ponte Cumurija. Lì nel 1914, rispettando il consueto fair play locale, fu assassinato il principe ereditario d’Austria. Ora sorge il Muzej Sarajeva che ne ricorda l’attentato. Ed è lì che la quiete è rotta dal fragore dei clacson. Sfreccia un’auto sventolante la bandiera turca e palestinese. «Anche qui sono arrivati 'sti rompicoglioni», sento gridare alle mie spalle. Poi corrono altre auto con la bandiera turca. Infine avanza una limousine bianca. È un corteo matrimoniale, m’informa un’amica croato-bosniaca: «Ogni occasione è buona per ostentare la propria appartenenza etnica». Facile dire che prima della guerra non era così. «Niente sarà come prima –continua la ragazza- All’inizio della guerra Sarajevo contava più di un milione di abitanti. Ne sono rimasti poco più di 750 mila. È sufficiente come spiegazione?».

(1.Continua)

Bosnia - Herzegovina
4,5 milioni: gli abitanti
102 mila: i morti accertati nella guerra 1992-1995
1.326.000: i profughi
3: le etnie (bosniaci, croati, serbi)
7.623 $: il Pil pro capite nel 2008

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