NR. 41 anno XXVIII DEL 25 NOVEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Un tramonto lungo 95 anni

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Un tramonto lungo 95 anni

Nelle dinamiche comportamentali che legano i vari personaggi, che tipo di indicazioni avete ricevuto dal regista? Vi siete mantenuti legati alle convenzioni dell'epoca oppure si è cercato di dare una chiave di lettura più moderna?

GC.P.: «L'abbiamo affrontato come un testo che prescinda dall'epoca in cui è stato scritto, come un testo di relazioni tra gli esseri umani, con i loro pregi e difetti. Abbiamo fatto più riferimento a Bergman o a Ibsen ma, in realtà, le cose che questi si dicono sono le cose che possono succedere anche adesso in altra maniera. Amore, gelosia, potere: cambiano le forme ma la sostanza è sempre quella, dai tempi di Omero a oggi».

Questo spettacolo rientra in un progetto di rivalutazione del teatro veneto meno conosciuto e poco rappresentato. Il pubblico si riconosce ancora in questi testi popolari oppure la società è davvero troppo cambiata?

D.A.: «Dai risultati che abbiamo ogni sera, o il pubblico ci si riconosce o comunque lo ama».

Secondo voi, nelle pièces contemporanee che rappresentano la vita di oggi, ci sono dei temi (o delle circostanze) che, pur appartenendo alla società attuale, potrebbero ricondurre alla realtà del passato o a questi testi più antichi e in che modo?

GC.P.: «Io penso che sia più interessante parlare di un testo che narri di cose antiche che riguardano anche l'oggi: le tematiche shakespeariane, per esempio, si possono reinventare in qualsiasi modo».

D.A.: «Appunto per questo si chiamano classici e comunque "Tramonto" è un classico secondo me. La non classicità è forse dovuta al fatto che è un testo legato ad una lingua non universale, ma è talmente comprensibile e interessante che potrebbe essere fatto anche a Barcellona, per dire».

Come attori, riguardo alla vicenda narrata o ai personaggi, c'è qualcosa che vi ha particolarmente fatto riflettere o che vi ha portato a discutere tra di voi?

GC.P.: «Si discute sempre prima di fare un'analisi del testo. Ognuno, nel suo personaggio, trova delle somiglianze o delle assonanze con situazioni e persone che conosce. La cosa bella di questo mestiere è che è sempre un viaggio all'interno di te stesso e dei rapporti che hai».

In una realtà sempre più multiculturale, si parla spesso di "global", cioè di un'apertura mentale verso il mondo, senza però dimenticare identità e realtà legate al territorio. Queste operazioni culturali sono sicuramente utili per riscoprire le origini: secondo voi, il pubblico non veneto apprezzerebbe o comunque sarebbe pronto ad accogliere proposte così caratterizzate e diverse da altre?

D.A.: «Mi auguro di sì, per il pubblico! Capisco che oggi esista la Lega, che però ha il difetto di tendere a relegare un'unica cultura in un territorio minimo. Il global è importante culturalmente, forse lo è meno nel mercato: dal mio punto di vista il mercato globale ha penalizzato molto il piccolo artigianato e molte altre cose interessanti. Dal punto di vista culturale, però, bisogna essere global, altrimenti la cultura muore».

GC.P.: «Dopo essere stati a Brescia e a Trieste le saprò rispondere!».

D.A.: «Io ho fatto spettacoli veneti anche a Parigi e in Messico, ho fatto Ruzante anche a Napoli  ed è piaciuto moltissimo. Sono autori che hanno una tale prorompenza, anche visiva, che non possono non piacere».

GC.P.: «Non è tanto la lingua, ma quello che racconti».

D.A.: «Esatto: io ho scoperto di recente, leggendo una biografia, che Beckett era innamorato di Ruzante!».


nr. 04/15 del 3 febbraio 2010

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