Le premesse etiche
Proprio perché la tolleranza è l'elemento costitutivo del nuovo mondo globale, ogni deviazione da esso è destinata a produrre rivolta, contestazione, dissenso. Il dissenso, infatti, nelle società democratiche trova il proprio spazio politico, la propria giustificazione pratica e la propria legittimità etica nello scarto che sempre e inevitabilmente si viene a generare tra le premesse etiche e ideali di una società e la loro concreta e necessariamente imperfetta attuazione storica e costituisce perciò un elemento dinamico di continuo richiamo a quelle premesse.
Il reciproco rispetto
Il rispetto reciproco delle religioni non impone che esse rinuncino a se stesse, ma che sappiano riconoscersi e legittimarsi nelle differenze. È il caso di ricordare che quando nel Medioevo il grande abate di Cluny promosse la traduzione del Corano, lo fece per poterlo confutare meglio: «Per dimostrare l'errore - era il suo ragionamento - dobbiamo prima conoscere il testo». La corretta confutazione, cioè, diventava premessa del dialogo. E infatti all'impresa di Pietro di Cluny si oppose strenuamente il fautore, all'epoca, di un cattolicesimo intollerante, san Bernardo da Chiaravalle. Mentre questi predicava le crociate, un intellettuale della cerchia di Pietro di Cluny, Pietro Abelardo, uno dei maggiori esponenti della Scolastica medievale, scriveva il "Dialogo fra un filosofo, un giudeo e un cristiano", un inno alla reciproca tolleranza in cui al mussulmano viene assegnato il ruolo del filosofo.
La pressi dell'accoglienza
Molti cattolici oggi sembrano dimenticare spesso però ciò che già il Segretario Vaticano per i non cristiani raccomandava ancora negli anni Sessanta. «Essere accoglienti nei riguardi dell'altro - si legge in un documento del Segretariato - significa accettarlo così com'è, con la sua cultura, la sua storia, i suoi sentimenti, i suoi schemi di pensiero. Uno dei primi compiti del cristiano sarà dunque di cercare la conoscenza dell'interlocutore mussulmano, non solamente qual è, ma quale egli vuole essere. Il cristiano non deve imporre ai mussulmani di oggi la sua visione dell'Islam, ma deve far conto prima di tutto della visione che essi gli propongono». Il che è stato ancora rappresentato visivamente dal papa che a Damasco è entrato nella moschea islamica dopo essersi tolto la scarpe. I pericoli da evitare, insomma, sono sia quello di considerare l'Islam una religione inferiore, sia quello di ritenerla una religione non diversa da quella cristiana.
Dopo l'11 settembre
Dopo cinquantacinque anni dall'incontro di Venezia, oggi il problema del nostro rapporto con l'Islam si presenta non solo irrisolto, ma aggravato. Oggi consistenti comunità mussulmane vivono ormai stabilmente accanto a noi e il terrorismo a base religiosa fondamentalista può scaricare in ogni momento i suoi furori nelle nostre case, trasformando un problema culturale in una questione drammatica di vita e di morte.
Convivenza di civiltà
Il problema di oggi è la possibilità della stessa convivenza fra le due civiltà. Dobbiamo allora fare in modo che la presenza degli islamici in Occidente non costituisca una minaccia per le nostre società, ma favorisca la loro evoluzione interna. La Francia, per esempio, ha da decenni una forte componente islamica, ma ciò non ha prodotto una islamizzazione della società francese, bensì una progressiva occidentalizzazione della comunità islamiche. Uno dei modi per ostacolare questo processo è sicuramente, perciò, quello di rimandare tutti i mussulmani ai propri paesi di origine ripristinando in qualche modo il principio medievale del cuius regio eius et religio e tornando a rimarcare l'idea di una superiorità della civiltà occidentale su quella islamica. Il mondo mussulmano, infatti, potrà accettare il principio di tolleranza solo se esso scaturirà non dalla affermazione di una tale superiorità, ma dalla consapevolezza della sua universalità, cioè dalla coscienza che esso non è un valore dell'Occidente, ma un valore di tutti. E questo per l'Occidente è il più grande arricchimento.
nr.05/15 del 13 febbraio 2010