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Se la storia ci dice che gli italiani in Istria e Dalmazia erano presenti fin dall'impero romano, presenza poi cresciuta con la Repubblica di Venezia, la stessa storia ci lascia anche le pagine meglio conosciute come i massacri delle foibe.
In queste profonde cavità del terreno, chiamate appunto foibe, la polizia politica slava ha gettato in due momenti diversi (dopo l'armistizio del settembre 1943 e tra il '45 e il '47) tra 15 e 20 mila italiani. In più distrusse tutto ciò che rappresentava la plurisecolare cultura italiana laggiù.
La ragione politica era quella che identificava un fascista in ogni italiano. L'interesse, invece, era quello di omogeneizzare etnicamente la popolazione. I mezzi, secondo il fair play locale in uso nella penisola balcanica, erano quelli che prevedevano sic et simpliciter l'eliminazione fisica degli obiettivi. Anche le vittime sono state sempre le stesse: vecchi, bambini, adulti, autorità governative e, in alcuni casi, militari.
Solo nel 2007 l'ex presidente croato Stjepan Mesic ha riconosciuto che le foibe furono un crimine. Che lo abbia fatto in buona fede o in previsione della futura entrata della Croazia nell'Unione Europea non è dato saperlo. Tuttavia le cronache c'informano anche delle vibrate proteste diplomatiche della Croazia sia per l'emissione di un francobollo in ricordo dei martiri delle foibe, sia per la consegna di una medaglia d'oro al valore alla città di Zara. Segno che, tutto sommato, certi capitoli della storia non si chiudono mai.
Di fronte all'esodo dall'Istria e la Dalmazia, i governi dell'epoca non trovarono niente di meglio da fare che suddividere la comunità istriano-dalmata in tanti piccoli gruppi e spargerli lungo la penisola. Alcuni politici dell'epoca sostennero questo provvedimento con la tesi che non fosse il caso di lasciare uniti "tanti fascisti tutti insieme". Come potessero delle donne anziane, dei bambini o delle ragazzine rappresentare un pericolo per la repubblica non è dato saperlo. Ma tant'è, e una piccola comunità di profughi si stabilì anche a Vicenza. Sul loro numero c'è incertezza. Oggi i discendenti di quegli esuli sono perfettamente integrati nel tessuto sociale ed economico della città.
In una recente conferenza tenutasi nella sala consiliare del comune di Brendola Edoardo Bernkopf, noto professionista berico e discendente di una famiglia di esuli istriani, ha ripercorso la storia di quelle genti. Bernkopf ha deluso tutti quelli che si aspettavano una serie infinita di recriminazioni e interpretazioni estremistiche degli eventi. Per stessa ammissione di chi c'era, Bernkopf ha descritto le foibe e l'esodo con lucida obiettività, lasciando alla pur tragica e numerosa aneddotica lo spazio minimo della cronaca. Il relatore si è concentrato sulle ragioni storiche del fenomeno perché, come ha sottolineato lui stesso, è importante conoscere per comprendere. Ecco perché, in anni in cui non c'è più la scusa dell'ideologia e i teatri delle battaglie politiche non sono più le aule scolastiche, ha suscitato perplessità il fatto che in un liceo della città alcuni docenti su richiesta degli alunni non abbiano approfondito questa pagina di storia liquidando quegli eventi come irrilevanti.