NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Le foibe e le pagine strappate alla storia

Intervista ad Edoardo Bernkopf la cui famiglia appartiene alla comunità di esuli giunti a Vicenza

di Federico Murzio
f.murzio@libero.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

L’Intervista: Edoardo Bernkopf

Dottor Bernkopf, la sua famiglia appartiene alla piccola comunità di esuli arrivati a Vicenza e scampata alle Foibe. Cosa rimane di quei giorni?

«La mia famiglia è stata relativamente fortunata nella tragedia perché non abbiamo dovuto patire grandi lutti. Nei racconti dei miei familiari rimangono le angosce e i racconti tragici di quegli anni, i ricordi dei vicini di casa che sono stati prelevati per non tornare più, e ancora l'incertezza del momento. Ogni sera poteva essere l'ultima. Questo è lo stato d'animo angoscioso che ha accompagnato la popolazione per mesi e, in alcuni casi, per anni dopo la fine della guerra».

Lei ha parlato anche di similitudini esistenti tra le Foibe e l'Olocausto. In che senso?

«Certi paragoni ci sono e in parte sì e in parte no. Non nei numeri. Tragedie come l'Olocausto possono essere paragonabili a ben poche altre tragedie nella storia. C'è una cosa che fa la differenza. Gli ebrei hanno sofferto cose incredibili, ma una volta finita la guerra la comunità ebraica è risorta, sono state compiute forme di indennizzo. La nostra è stata sicuramente una tragedia più piccola, ma di certo la nostra comunità laggiù non tornerà mai più. E anche la piccola comunità italiana che è rimasta ancor oggi è una comunità osteggiata».

Edoardo BernkopfIn riferimento alle Fobie lei parla spesso di pagine strappate della storia. Perché?

«Il grande disagio che ha sentito la nostra comunità per 60anni, e che in una certa misura sente ancora è stato non solo la tragedia vissuta, ma l'incomprensione dei fratelli italiani che hanno accolto la comunità profuga della Venezia-Giulia e della Dalmazia con grande ostilità. Ed è stata una sensazione terribile ed inspiegabile».

Anche a Vicenza?

«Devo dire che il Veneto è sempre stato una regione accogliente. Ma lei deve pensare al "dopoguerra", un periodo dove si soffriva la fame e perdurava un disagio sociale diffuso. L'arrivo di una comunità sembrava che togliesse il pane e il lavoro agli autoctoni. Una certa ostilità era quindi comprensibile. Non mi consta che a Vicenza ci siano stati grandi e gravi episodi d'intolleranza. Devo però ricordare con grande dispiacere il comportamento dei portuali veneziani che accolsero i profughi sbarcati dal piroscafo Toscana al grido "sporchi fascisti". L'odio nei confronti di quanto aveva fatto il fascismo era trasferito su questi vecchi, donne e bambini che però non avevano gradi colpe vittime della pulizia etnica».

Nulla da recriminare quindi?

«Assolutamente. Penso che nessuna popolazione del mondo abbia nulla da recriminare relativamente all'accoglienza che ha riservato alle comunità profughe della Dalmazia. Mi piace sottolineare che la nostra gente non ha mai ammazzato nessuno, non ha mai mandato nessuno a morire da kamikaze, non ha mai sostato nei campi profughi come una ferita perenne. La ferita era comunque sanguinosa, ma si è cercato di rimarginarla guardando avanti cercando di allevare i propri figli in un futuro di pacificazione e di non particolare odio nei confronti del nemico».

Al di là politica che ha rimosso e dimenticato per molti anni le Foibe, quali sono le responsabilità della scuola?

«La chiusura di una certa politica è in fondo comprensibile nel frangente storico dell'epoca. Sono però rammaricato e incredulo di fronte alla cultura che ha ignorato volutamente e faziosamente questi fatti. Perché all'intellighenzia, alle persone che hanno a cuore l'amore per la verità non posso perdonare di aver travisato e di continuare a travisare questi argomenti. Oggi poi si tende a minimizzare, e questo è un atteggiamento altrettanto irritante. Ripeto, noi non abbiamo nessun revenscismo, nessun odio. Ma la verità storica è un'esigenza per tutti: per i vincitori e per i vinti, per i vivi e per i morti. Dispiace constatare che la difficoltà nell'affrontare l'argomento è anche nella scuola spesso inquinata dall'ideologia».

Poco fa lei ha accennato alla pulizia etnica. Cosa ha pensato nel 1993 quando a pochi chilometri dalle foibe è stata messa in atto una reciproca pulizia etnica tra croati, musulmani e serbi in Bosnia-Herzegovina?

«Quelle vicende sono state viste con sbigottimento da tutto il mondo. Tranne dalla comunità dei profughi della Venezia Giulia e della Dalmazia certa che, dopo la morte di Tito e dopo secoli di convivenza forzata tra popoli diversi, prima o poi sarebbe successo. Dopo di che, i mezzi usati sono sempre gli stessi. È indubbio che la comunità italiana e internazionale sia stata più interessata da quanto successo nel '93 piuttosto di quanto accaduto alle Foibe decenni prima».

Come se lo spiega?

«Oggi l'impatto mediatico di questo tipo di tragedie è formidabile grazie ai mass media che sono sempre in presa diretta, per così dire».

Quali sono i sentimenti che la comunità di seconda e terza generazione prova verso i propri carnefici?

«Per gran parte di loro ha perso il senso di appartenenza che poteva legare invece la prima generazione. Posso escludere che ci siano dei sentimenti revanscisti. Per quanto mi riguarda, ho fatto una ricerca, una raccolta di materiale appunto, perché ritengo che questo argomento trattato da una persona di seconda generazione possa essere affrontato con maggiore serenità. Non ho particolari meriti né crediti acquisiti da una particolare sofferenza da far valere. Ho fatto un lavoro con l'obiettivo di far conoscere, cancellando le caratterizzazioni estreme che possono rovinare la verità».

nr. 08 anno XV del 6 marzo 2010

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar