NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il terrore di avere ragione

Avvocati civilisti sostengono che chi ha torto oggi chiede di andare in tribunale, chi ha ragione cerca di evitarlo

di Tiziano Bullato
bullatot@tvavicenza.it

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Il terrore di avere ragione

C'era una volta l'avvocato che, di fronte al cliente che aveva ragione da vendere, durava fatica a convincerlo che era il caso di andare in tribunale e farsi assegnare dal giudice quanto dovuto. Detta così la nostra storia sembra una favola, e invece è la dura realtà di quegli avvocati che oggi dicono: «Abbiamo il terrore di avere ragione». Ma come è potuto succedere? Sono Davide Ferronato e Saverio Gigliotti a spiegare perché difendere chi ha ragione è diventato quasi un handicap. I due professionisti da tempo si occupano di questioni civili a Vicenza, hanno studio a Vicenza Est e una esperienza maturata soprattutto nel campo della difesa di clienti finiti nella brutta esperienza di prodotti finanziari malati, derivati ad alto rischio, finiti nel portafogli di comuni e di ignari pensionati.

«Il primo ragionamento riguarda il fatto che difendere chi ha torto - dice Ferronato - finisce per essere molto più facile e per certi versi più gratificante. Per male che vada il cliente vede il debito contratto spostarsi in avanti nel tempo, e questo ovviamente gli consente di reperire risorse per far fronte al debito, oppure di spogliarsi di quei beni che potrebbero essere aggrediti dal creditore. Se, sapendo di avere torto, il cliente perde, non può certo farne una colpa al difensore. Ma se per caso vince, e nelle condizioni attuali è una eventualità che ha esattamente il 50 per cento delle probabilità di avvenire, allora il tecnico del diritto che gli ha fatto vincere la causa diventa un vero e proprio punto di riferimento, un campione di bravura».

Ma se il cliente sa di aver ragione, allora la situazione non è migliore?

«Ma nemmeno per idea!» la risposta di Gigliotti e Ferronato arriva quasi in coro. «Se il cliente ha ragione, allora il suo credito andrebbe saldato immediatamente, invece se interviene la causa civile e la speranza è quella di arrivare ad essere pagati dopo un decennio, rimane sempre il 50 per cento delle probabilità di finire la causa perdendola e se anche si riesce ad avere quanto dovuto dopo dieci anni, un imprenditore a quel punto che fine ha fatto? Se la sua azienda è solidissima, forse, è ancora in piedi ma se da quel credito dipendeva la sopravvivenza dell'impresa, allora nel frattempo si salta per aria e avere ragione non serve a nulla. Altro che favola! Questo è un vero film dell'orrore ambientato ai tempi della crisi internazionale, dove di aziende troppo solide, davvero, non ce ne sono più!».

Proviamo a fare un esempio?

«Ce ne sono quanti se ne vogliono. Arriva in studio il titolare di una azienda che ha prodotto meccanica di precisione. Dovrebbe essere pagato, ma le fatture sono rimaste insolute per oltre due mesi e mezzo. Noi interveniamo e cerchiamo di ottenere un decreto ingiuntivo per obbligare il debitore a pagare. L'avvocato della controparte a quel punto contesta vizi di produzione nella merce consegnata e che, fino a quel punto, era stata ritenuta ottima dal compratore: mai una lamentela, nemmeno una e-mail di contestazione. Ma aver rappresentato che la merce non era conforme a quella ordinata in alcuni casi può avere l'effetto di bloccare la provvisoria esecuzione del pagamento. Si instaura quindi la causa civile e... addio. Ormai lo vediamo tutti i giorni, a ogni decreto ingiuntivo fa da riscontro una opposizione, fondata o no. Il tribunale dovrebbe essere in grado di selezionare ciò che è reale da ciò che invece è solo strumentale, ma i giudici sono sepolti da tali e tante questioni che non ci si riesce. Ma è chiaro che è la società nel suo complesso che in questo modo si impoverisce: l'imprenditore va in crisi, a sua volta non riesce a pagare i fornitori, mette i lavoratori in mobilità o li licenzia, le imprese falliscono e il tessuto sociale va a carte quarantotto».

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