NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Quando la messa è grande si può anche ballare

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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photo by Nina Alovert

E come create artigianato attraverso il corpo, con la musica che è qualcosa che non è tangibile?

«Il collegamento è che la musica vibra e il corpo anche. Il ritmo è la stessa cosa di un bambino che comincia a camminare».

John Cage diceva che nel silenzio si può sentire il rumore del proprio corpo.

«Esattamente. Nella prima parte c'è il manufatto della Fuga che è così incredibile e che è pensiero in quanto sfugge via ma al tempo stesso è eterno. Non è bellissimo? È come la vita! Questo mi interessa molto. Però io non sono d'accordo quando dici che è pensiero puro perché credo che sia molto emozionale. La gente non se ne rende conto e pensa che Mozart e Bach siano qualcosa di simile alla matematica: invece no, c'è moltissima emozione».

photo by Nina AlovertQuale aspetto l'ha influenzata nella scelta dei costumi e dei colori?

«All'inizio non avevo un concetto chiaro su cosa fosse, sapevo che dovevamo affrontare un aspetto spirituale e che l'opera rifletteva la vita, dovevamo dare al pubblico un senso di umanità che veniva fuori più volte. Il senso che volevo esprimere, e che è venuto fuori, era quello di una grande opera. Ero in un periodo difficile della mia vita perché mia madre era appena mancata. Un'idea che mi venne in mente divenne il design della scenografia ed era una donna sul palco con una lunghissima stoffa di seta con uno strascico e dissi allo scenografo che lei stava tirando un pezzo di cielo per portarlo dove era lei».

Si è quindi ispirato a sua madre?

«Sì e le ho dedicato tutta l'opera: lei amava molto la musica».

Molti coreografi si ispirano alle loro madri, pensiamo anche a "Lo Schiaccianoci" di Béjart.

«Sì. Personalmente mia madre è stata molto importante, come penso ogni madre la sia, ma lei era davvero incoraggiante e mi appoggiava molto. era musicista e cantava sempre con quella bella voce da soprano».

Sul sito della sua compagnia c'è una pagina dedicata ai progetti educativi per le scuole. In America si dà molta importanza alla cultura e si cerca di promuovere e supportare le arti. Che tipo di riscontro avete dai bambini e dalle famiglie quando entrano in contatto con questi suggerimenti culturali che date loro?

«Sì, noi abbiamo un programma educativo che sta andando molto bene. Fondamentalmente facciamo un'introduzione agli studenti più giovani in molti modi diversi: proponiamo sia delle spiegazioni che dei workshop e lavoriamo sulla danza in modo che loro possano capire cosa faccio io. Facciamo fare loro delle versioni delle mie opere, il modo in cui riescono a farle non importa. L'importante è che loro imparino che con il loro corpo possono esprimersi e fare tantissime cose. Colleghiamo la danza sia come arte che con le attività curricolari. La cosa più importante è che l'America è davvero povera nell'offerta culturale delle scuole. Noi promuoviamo ma è una nostra responsabilità, perché il governo non lo fa. Sono gli artisti stessi che divulgano e questo è meraviglioso e importantissimo perché i bambini sono il pubblico di domani. Spesso ci lamentiamo molto che il pubblico della danza, ma anche dell'opera e della musica, stia invecchiando molto. I giovani stanno cominciando ora ed è grazie a queste iniziative».

Lei ha lavorato coi più grandi artisti e vive in contatto con culture diverse. Molti italiani pensano che se si vuole potersi esprimere artisticamente, sia meglio andare all'estero. Andare in America è ancora una possibilità per essere un artista migliore?

«Non è più come negli anni '70 e '80. C'è molta più danza moderna in Europa, al momento. Negli anni passati l'America era il centro del mondo per la danza moderna. Ora le cose sono cambiate, a parte per New York, che è una città incredibile per tutte le arti. In Europa le città e i governi promuovono la danza, io in America devo lottare. È ancora la terra dove tutto è possibile e quello che ho imparato da loro è che bisogna avere una mentalità molto aperta».

nr. 12 anno XV del 3 aprile 2010
(photo by Nina Alovert)

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