NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La superstar che non invecchia mai

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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La superstar che non invecchia mai

Però ne è stata suonata una sintesi durante un concerto commemorativo in onore di Giovanni Paolo II, in Vaticano. Al giorno d'oggi può essere considerata quindi musica sacra, visto che è stato suonato anche in quella sede?

V.Z.: «Per gli amanti del musical sicuramente! Da un punto di vista di importanza dell'opera, in realtà, tantissimi elementi che sono stati ripresi si sentono nelle messe cantate in America e sono diventati dei veri e propri classici. Anzi direi che quasi lo è diventato di più JCS che non l'"Ave Maria" di Schubert!».

C.C.: «In alcune chiese non si può eseguire l'"Ave Maria" di Schubert perché non è nata con finalità di essere musica sacra ma popolare».

V.Z.: «Anche altri brani come il famoso "Largo" di Händel, che si usa fare in chiesa, è stato riscritto con un altro testo, adattandolo per questo».

Domanda per Matteucci: ti viene spesso affidata la parte dell'antieroe tormentato e oscuro. Cosa accomuna personaggi come Giuda, Dracula e Frollo?

V.M.: «Quello che hai detto tu: sono contraddittori, teneri ma spietati, il bianco e il nero che c'è in tutti noi. Il fatto che mi affidino queste parti dipende dal fatto che per farli ci voglia una base attoriale e teatrale che io ho. Poi dipende anche dalla voce scura e le voci scure, di solito, sono dei "cattivi": i "buoni" hanno le voci chiare, i capelli biondi e il cavallo bianco e i neri, poveracci!».

Poi sei Dante in un nuovo kolossal musicale sulla Divina Commedia. Anche qui un personaggio fondamentale per la nostra cultura. L'aver interpretato personaggi negativi e luciferini, ti ha aiutato ad affrontare meglio Dante?

V.M.: «Sono stato Dante quando è uscito due anni fa, la versione che stanno proponendo adesso è diversa, le musiche sono le stesse ma è un'altra messa in scena. Io invece sarò l'Innominato ne "I Promessi Sposi" di Michele Guardì e Pippo Flora, che sarà in prima mondiale il 13 giugno allo stadio San Siro. Il ruolo di Dante è molto difficile: non canta molto, incontra molte persone ma fa da ripetitore di emozioni che attraverso di lui si amplificano. Io l'ho trovato molto difficoltoso dal punto di vista della messa in scena e dell'interpretazione».

Una cosa che molti non capiscono è come mai nel corso del filo narrativo, alla fine, nella canzone "Superstar", si rivede Giuda che in realtà è già morto. Tra l'altro quello è il brano più famoso. Come si colloca questa canzone nella struttura del tipico musical di Broadway?

V.Z.: «Il musical è un po' come la lirica e segue dei canoni di struttura secondo i quali ci sono dei momenti più "tranquilli" e altri che vanno maggiormente caricati, i crescendo eccetera. Penso che "Superstar" sia stato messo lì anche per esasperare quello che viene dopo: c'è anche questa luce che nel momento viene data da una forma di resurrezione di Giuda, per rendere più drastica la crocifissione dopo. Sono dei contrasti che creano la forza, in questo caso, di avere un'immagine solare in ‘Superstar' e poi avere un'immagine così cruda. Sono un po' uno al servizio dell'altro».

C.C.: «La chiusura dà un senso all'opera: si ritorna al vivere. È importante questa cosa: è una forma di resurrezione anche di Giuda, all'interno della storia. Che poi non sia vero, si capisce».

Molti sono discordanti sulla definizione di opera rock perché dicono che le opere rock sono lavori come "The Wall" dei Pink Floyd o "Tommy" degli Who e preferiscono definirlo musical. Voi che ne pensate?

V.Z.: «Penso che le definizioni siano fatte per dover catalogare le cose, per farti l'esempio di altre opere che ho fatto come "I Miserabili", è molto più vicino all'opera che al musical. Il musical, come l'operetta, ha dei requisiti, certi elementi ricorrenti. Qui sta molto a come viene improntata, non solo a livello di struttura ma anche di arrangiamento e quindi si può scegliere di fare una versione molto più rock, facendo anche dei tagli molto strategici, cercando di evidenziare questo tipo di versione o altre che invece si distaccano completamente. È una via di mezzo: il musical di stile Broadway ha un po' altri accenti».

Voi proponete la versione in inglese. E i musical tradotti?

V.Z.: «È sempre abbastanza traumatico per chi è abituato a sentirlo in inglese. Io l'ho visto in italiano e devo dire che alcune cose mi hanno positivamente stupito perché non pensavo. Il problema è che l'inglese ha una sua metrica e l'italiano ne ha un'altra. A me è capitato di sentire le opere tradotte, negli anni '50 si usava molto, e si sente che ci sono delle piccole forzature».

C.C.: «In inglese le parole sono più corte, devi rivedere anche la melodia. Alla fine, musicalmente, non è più quello».

nr. 13 anno XV del 10 aprile 2010

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