NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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I racconti “Donne e uomini”
di Anisa Baba Bressan

Autrice di libri di poesia e narrativa, oltre che di saggi apparsi in riviste ed antologie, si cimenta con questo lavoro in un esperimento che appare ben riuscito dopo essere stato proposto in “Amarcord Vicentino”

di Gianni Giolo
giovanni.giolo@tiscali.it

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“DONNE E UOMINI” DI ANISA BABA BRESSAN

Anisa Baba Bressan, vicentina, ex docente di tecniche dell'informazione in un istituto superiore della città, si occupa di cultura veneta e della condizione femminile ed è consigliera di varie associazioni socio-culturali. Partecipa ad incontri e a tavole rotonde dove espone i risultati delle sue ricerche e presenta libri di poesia e di narrativa. È autrice di saggi tra cui uno studio sulla poetessa americana Emily Dickinson. Ama scrivere in prosa e poesia, e i suoi lavori appaiono in riviste e antologie. Ha conseguito numerosi premi per le sue produzioni letterarie sia di poesia sia di prosa. Ha pubblicato le raccolte di poesie "Riflessi" (1987), "Parole in versi" (1991), "Sul filo del tempo" (2001), "Riflessioni sulla poesia" insieme con Antonio Capuzzo (2003). Nel 2004 esce la raccolta di poesie in dialetto vicentino "Vece parole", nel 2007, con la raccolta "Onyricon" si cimenta anche nel racconto breve, esperimento ben riuscito riproposto con "Amarcord Vicentino" e con questo intenso "Donne e uomini" (Editrice Veneta).

 

Figure di generazioni passate

«Dopo essersi rivelata come poetessa, con la pubblicazione di alcune sillogi e di un libro-intervista a quattro mani proprio sul tema della poesia - scrive Antonio Capuzzo nella prefazione - la Bressan ha ripreso i molti suoi testi in prosa, per lo più racconti brevi, li ha selezionati e risistemati, raggruppandoli per comuni tematiche di fondo per la pubblicazione. Così, dopo i primi due libri, dedicati a racconti di sogni e a quelli del proprio "amarcord vicentino", ecco il terzo, di racconti di "donne e uomini". Narrazioni su figure particolari scelte tra le generazioni passate nell'arco di un paio di secoli, sempre con la chiave di lettura del rapporto tra uomini e donne. Vengono messi in scena amori, nostalgie, tenerezze, ingenuità, squallore morale e ipocrisie, drammi e salvezza. La passione amorosa, nella sua centralità per la vita umana, è, ed è sempre stata, costitutivamente ambigua: può ispirare atteggiamenti di grande solidarietà o al contrario di cinico sfruttamento; può far sì che la persona nella quale s'incarna perda, o acquisti, la propria dignità».

 

Diversità di registri narrativi

«Corrispondentemente alla polivalenza dei significati del rapporto uomo-donna, c'è quindi la diversità dei registri narrativi: sfogliando questi racconti troviamo ad esempio la connotazione ironica, mai disgiunta però da un sincero sentimento di partecipazione; ancora, per descrivere il senso di precarietà della vita e di tutto ciò che è umano, troviamo uno stile fatto di energiche e scarne pennellate, alternate ad opportuni sottintesi per le esigenze di forza narrativa e insieme per quelle del pudore, del rispetto davanti al dolore. E tante altre forme stilistiche, svolte sempre con accuratezza: c'è un racconto breve interamente costituito da un monologo interiore, il cui ritmo di svolgimento è quello delle riflessioni e degli stati d'animo della protagonista».

 

Il poeta lustrissimo

In chiave ironica si svolge il primo racconto "Il poeta lustrissimo". Un personaggio tipico alquanto strano che frequentava ogni mattina il caffè dell'antica e bella piazza del paese, nella Marca gioiosa. Ispirandosi forse al suo nome il conte Soetti scriveva sonetti e scrivere sonetti non è da tutti perché significa immergersi nella più antica e vetusta tradizione della poesia italiana. Il sonetto è un figlio comico della canzone tragica, a giudicare dai primi verseggiatori come Giacomo da Lentini e Jacopo Mostacci. Vita umbratile e solitaria quella del poeta "lustrissimo": rimaneva rinchiuso nel suo studio tutto il giorno e poi usciva alla sera, dopo cena, sempre col buio, con un lanternino ad olio acceso e si avviava per le vie della campagna, declamando ad alta voce, avvolto in un mantello nero, come un goffo pipistrello. Come Pindemonte amava i cimiteri. Molti erano sparsi nella tenue campagna trevigiana e da essi trovava lo spunto per i suoi versi, si suppone mesti e melanconici o forse dolci e intimi.

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