NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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I racconti “Donne e uomini”
di Anisa Baba Bressan

di Gianni Giolo
giovanni.giolo@tiscali.it

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“DONNE E UOMINI” DI ANISA BABA BRESSAN

L'amore dei cimiteri

La balia gli raccomandava di prendere una moglie, ma alle donne lui non ci pensava finché si trovò solo e per trovarsi una donna o meglio una compagna o, diremmo noi oggi, una badante pensò di andare dal parroco che gli suggerì alcuni nomi, ma tutte avevano dei difetti, l'una era troppo brutta, l'altra troppo alta, l'una troppo capricciosa, l'altra troppo indipendente, finché un giorno venne a trovarlo una nipote che veniva dai monti, vent'anni, bella carnagione, fianchi opimi, vita stretta, occhio allegro e la sposò. Anche lui, come Pindemonte con la sua "leggiadra maga", con la quale si congiunge, da buon necrofilo, fra le tombe del cimitero recitando versi lugubri e d'ispirazione sepolcrale: «Il poeta prese la sposa per mano e si incamminò per il vialetto centrale. Poetando e recitando consumò il matrimonio sopra una grande lastra di marmo».

 

La grande guerra

I racconti centrali sono dedicati alla grande guerra. «Senti, picia, che bel» è un bel racconto che ha per protagonista Nazario Sauro. La "picia" è Annamaria, una ragazzina di sei anni, dalla fantasia vivacissima che galoppava facendo sognare avventure, incontri, meravigliosi palazzi d'Oriente, e che vedeva con la fantasia anche le profondità del mare e la Sirenetta e il suo bel Principe, che il comandante Nazarin portava nel suo battello. Ogni domenica la bambina con la sua famigliola faceva il tragitto da Trieste a Capodistria, per andare dalla balia che abitava in una piccola casa sopra uno scoglio. Si nuotava nella piccola baia, si raccoglievano granchi e conchiglie, si apriva il cesto che la mamma portava per la colazione di mezzogiorno. Il babbo, mollemente sdraiato leggeva il giornale, la sera arrivava il battello di Nazarin per riportarli a Trieste. Scoppiata la guerra, nel 1914, il comandante Nazarin di notte portò la famigliola in terre sicure lontane dalla guerra: «Il cielo si stava schiarendo e allora Annamaria si accorse del nuovo gioco del Comandante. Non andava dritto ma schivava delle grosse palle nere, irte di punte. Era proprio bravo, vi passava vicinissimo, ma non le toccava. Nazarin, lei lo vedeva al di là del vetro, sudava, il papà sudava, la mamma era pallida come una morta. Ormai albeggiava. Dov'era la costa meravigliosa dell'Istria che tanto l'aveva fatta sognare?».

 

La disfatta di Caporetto

Un altro bel racconto è ispirato alla rotta di Caporetto. La famiglia si trovava a Gradisca sul fronte della guerra. Teneva una tabaccheria con l'insegna "Privativa, sali e tabacchi, profumi, cartoleria, generi di conforto". L'ordine di evacuazione era stato portato dal tenente biondo che, innamorato di Amelia, passava le ore della libera uscita nella tabaccheria. Era questa, una delle poche case in piedi dopo i bombardamenti del maggio. Il fratello maggiore, classe 1899, era stato contrario all'idea di aprire una tabaccheria a Gradisca, ma la mamma e le sorelle dovevano rimanere a Palmanova, dalla nonna Teresa. Ma le sue donne, forse incoscienti, avevano accettato il rischio. Lui era partito per il fronte sul Grappa. Il tenente biondo disse: «Raccogliete le vostre robe perché dobbiamo far saltare tutto. Raggiungerete la colonna dei profughi che sta passando per la strada di Sagrato... vi ho procurato questo carro, di più non posso fare...». Guardava solo Amelia, che aveva sedici anni, e il ragazzo si sforzava perché le lacrime non scendessero sulle sue guance ancora quasi imberbi. Amelia guardava da un'altra parte, pensando ai sogni che aveva fatto, inseguendo la sua fantasia che scappava troppo lontano". Bisognava cominciare un'altra vita: «Salirono sul carro. Un soldato le avrebbe portate alla colonna dei civili in fuga. Continuava a piovere. Il tenente fece mettere le cariche e diede l'ordine. L'insegna schizzò lontanissima. Lo scoppio fu tremendo e Amelia, già lontana, indovinò il pianto della casa che si sbriciolava».

 

Profughi a Taormina

«La famiglia dal treno fu portata a Taormina. I profughi vennero fatti scendere e sostare, in mezzo ai loro fagotti, in uno spiazzo dietro la stazioncina. La gente del paese venne subito a vedere i "tropughi" e poiché si trattava solo di qualche vecchio, di donne e di bambini, volò subito qualche incomprensibile lazzo. Tra la gente seduta a terra regnava il silenzio più assoluto. Tutto era già stato detto. Tutto era già stato sopportato. Qualche frase in friulano, detta a bassissima voce, stupiva ancora di più coloro che osservavano, anch'essi, ora, in silenzio. Le creature appena arrivate, stanche, sconvolte, erano in attesa». Dove le avrebbero portate? Si presenta il comandante Sua Eccellenza il Duca che le fa portare nei suoi possedimenti a Taormina. Le profughe sono assalite dalla malinconia e dai ricordi: «E tornava alla mente la cucina di Gradisca, con lo "spargher" lucidissimo, i rami appesi alla pareti, il grande camino con la panca tutta intorno per le sere d'inverno, con il vecchio "ciavedal" su cui veniva appeso il bricco per il vino caldo, quando la madia piena scaldava il cuore, gli uomini distillavano la "sgnape", e le donne lavoravano la calza mentre i ragazzi e ragazze si scambiavano sguardi furtivi e sorrisi».

Libro di grande bellezza e incanto questo della Bressan che ci fa rivivere gli orrori della guerra, visti dall'intimo degli animi dei personaggi, come filtrati dalla loro sensibilità e dai loro sentimenti. Il valore della pagina poetica è in quell'aura di assorto silenzio, di dolore, di stupore e di oblio che riesce a creare.

 

nr. 16 anno XV del 1 maggio 2010 

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