NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Lionello Puppi in un volume
dal titolo vagamente misterioso

Ne “Il Re delle Isole Fortunate” in una ventina di cronistorie in parte inedite lo storico dell’arte si impegna in una strana miscellanea in cui si inquisiscono le umane vicende di una serie di personaggi storici

di Resy Amaglio

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Lionello Puppi in un volume <br>
dal titolo vagam

Uscito per i tipi della Angelo Colla Editrice, è in libreria da qualche settimana un agile elegante volume dalla raffinata veste giocata sui toni del rosso, del nero e del bianco: lo firma lo storico dell'arte Lionello Puppi, tra i più noti a livello internazionale per la vastità dei suoi studi e delle ricerche, confluite in numerosissimi saggi critici.

Per l'occasione, però, il professore si è dato lo stravagante compito di indagare nei risvolti della storia ufficiale, dell'arte e non solo, per scovare fatti e persone talora sconosciuti, raccogliendoli con il titolo vagamente misterioso di Il Re delle Isole Fortunate in una ventina di cronistorie in parte inedite, dedicate in esordio "Alla memoria gloriosa e imperitura del colonnello Aureliano Buendìa".

Si presume che nessun lettore dell'illustre studioso possa essere tanto sprovveduto da chiedersi quale novello Carneade sia mai costui. Lo strabiliante personaggio partorito dall'immaginazione di Gabriel Garcìa Marques rappresenta infatti l'ideale accompagnatore per un percorso narrativo non sempre pervio ma assai affascinante, tanto vero da apparire falso, come avviene per molte verità.

Con ostinata seducente pazienza, l'autore lo costruisce alla maniera di uno speciale libro poliziesco, simile a un fantasioso tessuto dall'inestricabile intreccio tra potere e dolore, gloria e vergogna, nel denominatore comune di un sentimento temutissimo, quello della sconfitta. Sicché alla fine l'impressione è di avere assistito a un'inquietante commedia umana interpretata da grandi nomi, Palladio e gli Olimpici di Vicenza, Erasmo, Tiziano e il veneziano Consiglio dei Dieci, e via elencando, ma anche da tutti quei piccoli ignoti che sulle trame della storia maggiore hanno ordito le loro penose, talora tragiche, esistenze.

Ce ne dà conferma lo stesso Lionello Puppi nel colloquio che segue, stuzzicante come di consueto.

Questo suo libro è una strana miscellanea, professore. La scena si apre alla fine del Quattrocento sul Re delle Isole Fortunate, regalato alla Serenissima dai Reali di Spagna, per chiudersi agli inizi dell'Ottocento sull'amara sorte di Giovanni Pietro Cotin, giovane haitiano servo in casa Gritti; e in mezzo scorre la storia, mischiando arte e vita, le Logge palladiane e un delitto da osteria, la passione per l'arte di un pittore del sedicesimo secolo, tal Riccardo Perucolo sconosciuto ai più, e l'eresia. Indagando persone e fatti rubati al silenzio di biblioteche e archivi storici, lei ha costruito un variegato compendio di sconfitte: un racconto poliziesco dalle molte vittime, con un colpevole da smascherare a fatica. Il primo indizio sta forse già nella dedica ad Aureliano Buendia, fantastica invenzione letteraria?

«Perfetto! Il primo indizio è stato impeccabilmente riconosciuto nell'indimenticabile creatura dell'immaginazione di Garcia Marques, che mi pare aver realizzato l'assioma di Luís Sepúlveda, secondo cui «perdere è una questione di metodo». Inizialmente, il libro doveva essere sottotitolato «storie vere di piccole e grandi sconfitte». La specificazione è stata scartata perché i racconti appartengono veramente all'universo dell'arte e, alla fin dei conti, di mestiere io faccio lo storico dell'arte».

Quale filo conduttore si sgomitola dal mare dei Caraibi del prologo alla laguna di Venezia della conclusione?

«Le storie scaturiscono da felici incidenti capitatimi nel corso delle mie ricerche, quando invero cercavo altre cose. Mi rendevo conto però che esse erano collegate da un fil rouge che in qualche modo le omologava sotto il segno, appunto, della sconfitta. Mi è sembrato significativo collocare le sequenze delle sconfitte individuali che racconto entro la cornice di una sconfitta storica più ampia. È stato inevitabile perciò circoscriverle in una circolarità che da Hayti, nome originale trasformato più volte dai vari conquistatori, ritorna alla Haiti dell'indipendenza conquistata dai Neri africani che la Tratta vi aveva trasportato a sostituire gli indigeni sterminati in pochi anni dalle vessazioni e dalle malattie. La rivoluzione degli schiavi divampa sull'isola quando lo spirito rivoluzionario europeo era venuto meno, ma comunque troppo in anticipo, implicando contenuti tra i più minacciosi per l'ordine globale dominante. Sappiamo quale è stata la conclusione. Quella di Haiti è una parabola che dà misura della vastità e profondità di una sconfitta vergognosa, del fallimento cioè dell'ideale più alto elaborato, e non realizzato, dalla cultura europea, il valore universale della libertà umana».

Tra le sue pagine s'incontrano anche personaggi accomunati da un sentimento dai molti risvolti, la nostalgia. Persino il ponte che il veneziano Giovanni Matteo Bembo, capitano a Brescia nel 1560, immagina di far costruire in laguna con altri marchingegni utili a salvaguardare Venezia, è frutto di fantasia nostalgica.

«Si tratta tuttavia di forme di nostalgia segreta, non confessata esplicitamente, per qualcosa che avrebbe potuto scongiurare la sconfitta, se gli si fosse stati fedeli. La nostalgia di Giovanni Matteo Bembo risiede nel sogno di una «Venezia per sempre, che non esclude dinamici processi interni di rinnovamento, diversamente da quanto affermano tanti difensori dell'integrità di Venezia, i quali ne sono invece gli imbalsamatori».

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