NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Le “Anacreontee” di Pegoraro
per i trent’anni della “Padovan”

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Padovan

Il ricordo di Andrea Zanzotto

Anche Andrea Zanzotto, nella presentazione del libro dal titolo "Quando io bevo vino, le angosce s'addormentano", ricorda il "bell'incontro" che ebbe con Giorgio Pegoraro nella casa di Hölderlin a Tübingen. Un incontro importante per entrambi. Il poeta di Pieve di Soligo ricorda un fatto "assai bello" della prima traduzione in tedesco di un suo lavoro, stampato con la decisa partecipazione di Giorgio Pegoraro, una bella edizione che riscosse una notevole attenzione negli ambienti letterari.

 

La prima edizione del 1554

Le Anacreontee furono pubblicate nel 1554 a Parigi da Henri Estienne (nome latino "Henricus Stephanus") e furono subito attribuite ad Anacreonte di Teo, il grande poeta ionico vissuto all'incirca tra il 570 e il 485 a. C. Il testo consultato dall'Estienne era un codice che si trovava nella Biblioteca Nazionale di Francia. Il codice parigino non è altro che la seconda parte di un'antologia di epigrammi e altre poesie greche, che porta il nome celeberrimo di "Antologia Palatina". Fino al 1554 di Anacreonte si conoscevano solo frammenti che ci erano stati trasmessi da scrittori e grammatici greci.

 

Lirico dell'antica Grecia

Accanto a Saffo a Alceo, che scrivevano in dialetto eolico, Anacreonte fu il massimo lirico dell'antica Grecia a esprimersi in puro dialetto ionico. Di leggende sul vecchio Anacreonte, che passa da una corte all'altra, di convito in convito, e vive in bonarietà e allegria, piuttosto che colpito dalla malinconia di chi è cosciente che gli resta ormai poco da vivere, è piena l'antica letteratura. Le sue divinità sono Eros e Afrodite (detta anche Cipride o Pafia o Citerea) e Dioniso, detto anche Bacco o Lieo. Cicerone definì tutta amatoria la sua poesia e Orazio lo amò e lo imitò.

 

Carmi creduti di Anacreonte

Lo Stefano che pubblicò le Anacreontee volle far credere che fossero di Anacreonte e per far questo espunse il primo e ventesimo carme, nei quali si allude ad Anacreonte come a un maestro, cui l'autore della raccolta si era ispirato. Si gridò al miracolo. I poeti della "Pléiade" si gettarono su questi testi, li tradussero, vi si ispirarono e li diffusero, ma li usarono anche per i loro scopi di rinnovamento della lingua e dei generi letterari francesi. I carmi ottennero uno straordinario successo e vennero visti come anticipatori della poetica oraziana del "carpe diem".

 

Opera d'età bizantina

Ma i filologi tedeschi, analizzando i testi, si accorsero che, per ragioni stilistiche, linguistiche e metriche, i carmi non erano di Anacreonte, ma opera di tardi poeti dell'età ellenistica o addirittura di età bizantina. I filologi tedeschi chiamarono le Anacreontee, poesiole leggere, vacue e melense, lievi come farfalle. Il Cantarella le definisce "dolciastre" e il Perrotta "inzuccherate frivolezze", ma queste poesie piacquero a un grandissimo poeta, il Leopardi che le paragonò a «un alito passeggero di venticello fresco nell'estate odorifero e ricreante» e come tali Pegoraro le rievoca nei suoi incantati e splendidi settenari: «Le Muse attorcigliarono/Amore di ghirlande/ed avvinto lo diedero/in mano alla Bellezza»...

 

nr. 20 anno XV del 29 maggio 2010

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