NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Il “Futuro del Mondo” nelle mani di Bassanese

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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foto Oriano Tadiello

Cosa spinge gli autori di musica, ma spesso anche di cinema, a preferire di raccontare storie strettamente autobiografiche oppure, viceversa, altre storie magari di gente "altra", facendo da filtro per la società?

«Questa sera ho cantato la canzone dell'acqua in bottiglia e quella del pesce petrolio, raccontando sia temi che sono purtroppo fin troppo attuali (rispetto a quando li abbiamo scritti circa un anno e mezzo fa) che fatti miei, perché queste cose mi preoccupano profondamente e raccontandole parlo di qualcosa che mi appartiene. Fanno parte della mia intimità e non solo di qualcosa che è esterno e sociale».

Ipotizziamo che finisce una storia d'amore molto importante per te: tu la racconteresti come una cosa che è successa a te, in casa tua, o come una cosa che può succedere a tutti?

«Da questo punto di vista, mi viene in mente la canzone di Battiato "E ti vengo a cercare"».

foto Oriano TadielloAlcuni dicevano che sembrava quasi una specie di "atto di fede".

«Io penso che la spiritualità sia la prima cosa da coltivare, non so se verso Dio o verso l'uomo. In un momento di sconforto, in cui vieni abbandonato, capisci che questa persona ha bisogno di fare la sua strada e non ha più la necessità di averti al suo fianco. Credo allora che sia giusto cercare di amare quella persona togliendosi da ogni forma di possesso, che io non sopporto assolutamente. L'amore è ricerca e cammino e, certo, anche sofferenza. Nella mia canzone "Ritorno a casa" dico una frase che mi appartiene moltissimo: "Quante volte in vita ho dovuto morire per tutti gli errori che ho commesso". Io penso che più che di quello che mi accade esternamente, mi devo preoccupare prima di tutto di ciò che faccio io».

Nella società odierna, chi è l'artista utile?

«In tutte le epoche l'artista utile è colui che è in grado di captare il sentimento che c'è nell'aria e nel mondo e portarlo in scena, cercando di dare qualcosa a se stesso e agli altri. Per me è fondamentale rapportarmi con la gente e faccio parte di quella categoria di chi non scrive solo per sé: non riesco a scrivere senza pensare che poi ci sarà qualcuno che mi ascolta. Io penso che le cose si debbano condividere: per me è bello quando, da spettatore, sento che qualcuno vuole condividere con me qualcosa di importante».

Tu ti ispiri moltissimo anche a De Andrè: lo citi nei testi e nelle musiche che accompagni anche con dei riferimenti alla musica ebraica di influenza askenazita. Volendo prescindere da De Andrè, da quali altri cantautori, anche stranieri, si potrebbe attingere?

«De Andrè è stato il mio primo amore e la musica klezmer è un bacino musicale incredibile, perché è una musica di persone erranti che sono dovute scappare con gli strumenti, che poi dovevano avere un suono molto forte e potente. Ogni strumento canta e diventa voce e tutto serve a raccontare, in teatro. Poi le musiche sono tutte in accordi minori però sono allegre e questa è la tragicomicità del klezmer. La canzone "La vigilia del 1914" fa riferimento alla melodia di un canto popolare yiddish con accordi che passano dal minore al maggiore come in una festa che però rimane sempre concreta, malinconica e con i piedi per terra. Per me una festa deve sempre avere un po' di malinconia sennò diventa delirio fine a se stesso».

In una canzone che hai cantato durante questo concerto, dici: "Nessuno può rubarti nulla se ciò che hai di più caro è la tua coscienza". Oggi molta gente ha ben poca coscienza: il tuo nuovo album si chiama "Il futuro del mondo"; come lo vedi questo futuro?

«Più che vederlo cerco di sperarlo e credo tuttora nell'uomo, sennò non canterei. La mia speranza è che possa esistere un mondo più umano e la disgrazia peggiore che potrebbe accadermi è rendermi conto che un futuro più umano non potrebbe esistere. Questa presa di coscienza, per me, sarebbe distruttiva».

 

(foto Oriano Tadiello)

nr. 20 anno XV del 29 maggio 2010

 

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