NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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A Maria Pia Veladiano il Premio Calvino, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari italiani

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Un romanzo nel cassetto

La Veladiano ha scritto un altro romanzo, finito da vari anni, ma ben chiuso nella cartelletta perché gli manca qualcosa, e per il figlio Leonardo un libro per bambini. Ama le scritture sorvegliate che cercano un uso delle parole assolutamente lontano dalla ripetitività della lingua d'oggi.

 

Articoli e recensioni

«Fino ad oggi - ci scrive la Veladiano - ho pubblicato solo articoli e recensioni. Sono scritture per così dire di servizio, che creano un'esposizione sulle opinioni e sulle competenze. Nel mio caso, dal momento che scrivo su una rivista di attualità religiosa e teologica, c'è una certa esposizione anche sulla fede, intesa in senso lato. Ma un romanzo spoglia molto di più. Non conosco l'effetto che questo produce sulla propria vita. Perciò si vedrà. Se la pubblicazione del libro porterà relazioni belle, se vedrò che in qualche modo chi legge riconoscerà qualcosa del suo modo di sentire nella storia raccontata e questo migliorerà anche per un attimo la sua vita, allora sì, penso che pubblicherò ancora qualcosa di quello che ho scritto. Qui ci si deve chiedere perché si scrive. Ci sono biblioteche su questo. E ciascuno dà la propria risposta. Fra le risposte più frequentate c'è quella di chi dice "per bisogno", un bisogno interiore. Per me è una risposta accettabile solo se questo bisogno incontra un desiderio di bellezza in chi legge. Ci sono dei libri che sono delle clave, colpiscono ma non fanno bene. E sia chiaro che sto parlando di bellezza, non di moralismo».

 

Piovene e Fogazzaro

Quali libri preferisce la Veladiano? «A parte i classici, Piovene, Fogazzaro - continua la scrittrice - e i nostri più vicini Meneghello e Scapin, non ho letto così tanto da poter rispondere. Amo molto Scapin perché dall'angolo della sua piccola meravigliosa libreria, dove passavano tutti, una specie di confessionale di quella gran cattedrale che è Vicenza, tutto conosceva della natura tremenda e insieme meravigliosa dei suoi concittadini. E poi di questo parlava nei suoi libri, ma con la comprensione leggera e un po' malinconica di chi sapeva che gli uomini sono così. Tutti gli uomini».

 

La madre a lutto

L'Indice dei libri ha pubblicato le prime pagine del manoscritto e siamo rimasti stupiti dall'eleganza sottile e dalla assoluta e tersa sobrietà del testo della Veladiano. Una frase fra tutte ci ha colpito: «Leggera mia madre mi aveva portato come un gioco che lei sapeva custodire». Quell'aggettivo poeticissimo che precede il soggetto e che qualifica una donna che si vergogna di aver messo al mondo una bambina brutta è di una bellezza rara e straordinaria. «Mia madre - scrive l'autrice - si è messa a lutto quando sono nata, la sua femminilità si è seccata crudele e veloce come il ricino di Giona, tutto in un momento. Dopo che è tornata dall'ospedale non è più uscita di casa, mai più. All'inizio ha ricevuto molte visite, un po' di amicizia, altre di cortesia, moltiplicate dalla curiosità pettegola e scaramantica delle conoscenti: Dio quant'è brutta, tocca a te e non a me. Lei rimaneva seduta sulla poltrona bianca del salone, vestita di scuro. Nessuno sa dire se si fosse procurata quelle gonne e quelle maglie nere, lei che vestiva di verde e azzurro da quando era bambina».

 

L'incipit del libro

Ma leggiamo le prime parole del romanzo: «Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia... Una donna brutta non sa dire i propri desideri. Conosce solo quelli che può permettersi».

 

nr. 24 anno XV del 26 giugno 2010

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