NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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I tre allegri ragazzi morti, quelli del rock “critico”

La band di Pordenone, i cui componente sul palco indossano una maschera, hanno presentato a Povolaro il loro ultimo album

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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I tre allegri ragazzi morti, quelli del rock “crit

Il Rockando Festival di Povolaro ha compiuto 20 anni e ha aperto giovedì 17 con uno dei gruppi più importanti della scena rock underground italiana, i Tre Allegri Ragazzi Morti. Celebri per esibirsi con il viso coperto da maschere, il gruppo ha presentato il nuovo album, "Primitivi del futuro", dove viene dato più spazio alla musica reggae e dub. Le liriche, grazie a versi molto poetici, rimangono fedeli all'interesse con cui da sempre il gruppo tratta temi riguardanti l'incomunicabilità tra le persone, il disagio dell'essere umano e i problemi del mondo che ci circonda. Abbiamo incontrato il leader della band di Pordenone, Davide Toffolo, ed è intervenuto il bassista Enrico Molteni.

Tutti vi stanno chiedendo della svolta reggae/dub. Rimane comunque il vostro spirito d'osservazione sull'animo umano e sulla società. Il vostro pubblico come ha reagito a questa novità?

Davide Toffolo: «Sembra che abbiano reagito bene, anche se noi non facciamo dischi nella speranza che piacciano alla gente. Facciamo un viaggio nostro e generalmente c'è sempre qualcuno che ci sta».

Voi siete sempre stati un gruppo punk rock che, come genere musicale, è tradizionalmente adatto a trattare di una certa inquietudine dello spirito. Il reggae che proponete voi rimane comunque permeato di un'aura un po' malinconica. Questo tipo di linguaggio musicale è per voi più adatto ad esprimere dei punti di vista che prima magari non avevate considerato oppure è una semplice ricerca sonora e sentite di poter dire le stesse cose con qualsiasi tipo di musica?

«Questo è stato un viaggio totale, sia nei testi che nella musica. Il nostro tipo di scrittura è quello che hai descritto tu: il nostro è un rock "critico", rimaniamo comunque un gruppo rock che si avvicinato al reggae ma non siamo un gruppo reggae nel senso stretto del termine. Negli anni '80 si sarebbe detto che il nostro era un disco contaminato. Noi siamo convinti che, in questo momento storico di passaggio, sia importante la nostra realtà quotidiana, antropologicamente cambiata in maniera molto forte. Questo è il nostro modo per dire che stiamo in questo momento di cambiamento, insieme alla gente».

Tu sei laureato in disegno anatomico all'Università di Bologna. Questo tipo di studi ha influenzato la tua percezione di ciò che ti circonda e il tuo modo di fare musica?

«Principalmente sono un disegnatore perciò, anche quando scrivo, ho sempre un occhio che è quello di uno che fa dei ritratti o che racconta quello che vede, attraverso delle immagini. È vero che la mia passione per l'anatomia umana è anche per un'anatomia umana spirituale».

In una recente intervista hai detto che dopo aver vissuto lontano da Pordenone siete ritornati, avete inciso il disco e siete rimasti piacevolmente colpiti dal fermento creativo dimostrato da nuovi gruppi formati da musicisti giovanissimi. C'è davvero tantissima musica in giro: si riesce ancora ad essere veramente originali?

«L'originalità è un elemento, per la nostra ricerca, abbastanza importante; però più vado avanti più la mia sensazione è che la musica popolare abbia una continuità e non una discontinuità: c'è un'originalità all'interno di un viaggio collettivo che è quello della musica popolare».

Però voi siete un gruppo rock underground, cosa vi lega alla musica popolare? Voi comunque parlate della gente.

«Siamo dei "presuntuosi" perché pensiamo che la nuova musica popolare italiana sia quella che viene prodotta in questo momento qua, non quella che c'era prima e che è il ricordo di quella che c'era prima. La musica popolare di oggi si esprime con forme come il rock, il reggae, l'hip hop. Per me questa è la nuova musica popolare e per questo mi arrogo la possibilità di chiamare musica popolare quella che facciamo noi».

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