NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Nuove scoperte di splendide icone nelle due mostre su Pietro e Marco

In due mostre che sottintendono il primato della parola le immagini spiccano in funzione esornativa anche nelle deliziose miniature

di Resy Amaglio

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Nuove scoperte di splendide icone nelle due mostre

Le mostre aperte fino al 10 ottobre al Museo diocesano e a Palazzo Leoni Montanari sul tema dei santi Pietro e Marco nelle Scritture e nell'Oriente cristiano, pur differenziandosi per contenuto e criterio espositivo, si innervano perfettamente l'una nell'altra, rispondendo a due aspetti paralleli del Credo cristiano, che ne connotano in egual misura la diffusione.

Religione del libro, della parola che guida e illumina, a differenza del Giudaismo e dell'Islam il Cristianesimo si dà infatti anche attraverso la forza dell'immagine, il cui fondamento risiede nel principio dell'Incarnazione. Nel sacro mistero divenuto visibile si scioglie la dicotomia tra scrittura e visione, sicché l'immagine evolve dai simboli iniziali a narrazione testimoniale di una storia di fede immediatamente percepibile. Nel corso del tempo la paradigmatica compagna della parola si trasforma essa stessa in libro, Biblia pauperum capace di rendere comprensibile il detto evangelico anche agli incolti, ignorantes e idiotae, secondo l'affermazione di Gregorio Magno.

La piccola raccolta di volumi esposti nella Saletta dei Manoscritti del Museo rappresenta un prezioso frammento del patrimonio librario della biblioteca del Seminario di Vicenza ed è importante sotto il profilo documentario della cultura religiosa in area berica, ma soprattutto per l'intrinseco valore storico messo in risalto da un'accurata operazione.

Le varie edizioni bibliche a stampa, aperte tutte al Vangelo di Marco, offrono un panorama non vasto ma chiaro dei modi con i quali nei secoli centrali del secondo millennio di vita cristiana i testi religiosi vengono proposti e diffusi. Le pubblicazioni datano agli anni a ridosso del Concilio di Trento e fino alla metà del Seicento, quando esce a Londra la Bibbia poliglotta, perfettamente leggibile nei caratteri greco, latino, siriaco, arabo etiopico e persiano. Meritevole di particolare attenzione è anche la Bibbia in volgare edita a Venezia nel 1553, nelle dimensioni di un breviario. Dalla liturgia della parola a manuale di studio, ad oggetto di devozione popolare e domestica: portatore del verbo e della sua rivelazione, il "libro" è uno scrigno esclusivo di ricchezza sapienziale, da interpretare e tramandare.

In una mostra che sottintende il primato della parola, le immagini spiccano in funzione esornativa: la loro bellezza è nell'essenzialità del nitido gioco in bianco e nero dell'incisione.

Hanno misura pacata le scene che aprono i volumi, o le eleganti volute ornamentali ai bordi delle pagine; così, i ritratti dell'evangelista allo scrittoio, "sorvegliato" dall'alato leone della sapienza, introducono e non soverchiano il valore proprio degli scritti.

Tuttavia, anche in questa meditata esposizione di scritture, il meraviglioso che sempre abita tra terra e cielo emerge inaspettato e vivace. Ecco allora le deliziose miniature degli antifonari trecenteschi, fantastiche invenzioni racchiuse tra le maiuscole all'inizio del versetto, che con i loro colori vivaci esaltati da tocchi d'oro affiancano la parola nel suo farsi salmodia.

Vi si narra con chagalliana freschezza l'episodio leggendario della disputa fra Pietro e Simon Mago, levitante sopra gli astanti incastonato in una nube blu cobalto e presuntuosamente ignaro della prossima inevitabile rovina a terra; ancora è ritratto Pietro in vincoli, che guarda malinconicamente attraverso le sbarre di un'ingenua minuscola prigione, costruita al modo di una disadorna cappella votiva; l'apostolo è presente infine in veste di pontefice, docente e benedicente in cattedra, sullo sfondo di architetture che si aprono contro uno squarcio azzurro decorato di bianco.

Situata in alto al di sopra delle teche, sigla la mostra la pala d'altare proveniente dalla chiesetta di San Marco a Sant'Antonio del Pasubio, opera quasi d'esordio di un ventenne Vittorio Basaglia, nei tardi anni Cinquanta del Novecento. Forse meno noto al grande pubblico del cugino Franco, anche il pittore fu coinvolto nell'utopia, civile quanto terapeutica, del medico che volle la riforma degli ospedali psichiatrici; ne fu anzi partecipe al punto di testimoniare il proprio impegno con la straordinaria installazione Marco Cavallo.

Il dipinto esposto è interessante, nonostante le ovvie ingenuità linguistiche di un talento ancora in evoluzione, operante oltre tutto nel clima incerto dell'arte del nostro secondo dopoguerra. Convince la resa disadorna dell'insieme, frutto di un'asciuttezza di modi di ascendenza espressionista, temperati però da un pennello non privo di morbidezze.

Pietro e Marco sono raffigurati in un povero borgo di montagna, accanto a un rudimentale tavolo. L'apostolo parla, in piedi, il vecchio corpo disseccato dagli anni, mentre il discepolo ascolta e scrive. L'atmosfera appare fuori da ogni possibile connotazione temporale, eppure vibra un'intensa contiguità sentimentale tra le due figure miseramente vestite di antiche tuniche e la contrada moderna in stato di abbandono, immersa in una pallida luce cinerina; né stride la presenza tranquilla del leone, ripreso da tergo accovacciato tra i santi.

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