NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Cesare Ruffato il poeta pallido e… magro

di Gabriella Bertizzolo

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INTERVISTA A CESARE RUFFATO (Il poeta pallido e il

Cesare, quali sono i posti che più ami di Vicenza?

«Mi piace passeggiare nelle piazze, ammirare la Basilica del Palladio. Spesso vado alla Chiesa di S. Corona e al Duomo dove, a volte, assisto alle funzioni liturgiche».

E il tuo rapporto con Padova, tua città natale? (L'affetto sincero per la città del Santo lo aveva già dimostrato in Padova diletta, opera del 1988).

«Conservo ancora una casa dove mi reco saltuariamente. "Padua fair, nursery of arts" è sempre nel mio cuore assieme ai tanti ricordi dei miei studi universitari che mi hanno reso il titolo di due libere docenze, in Radiologia e Radiobiologia».

Cesare, tu scrivi ininterrottamente da mezzo secolo, la tua produzione è di dimensioni ciclopiche. Hai utilizzato termini della scienza medica, del latino, del francese, del dialetto d'origine, hai creato moltissimi singolari neologismi...

Sorride mentre termina di sorbire il caffè.

«Sì, è vero, ho scritto tanto, mai contento di quello che scrivevo... Non sono mai stato completamente soddisfatto delle mie pagine, le ho continuamente revisionate, selezionate, rielaborate... Ho sempre volto la mente alla ricerca della perfezione senza mai dimenticare la complessità della classicità».

Scrivi ancora, immagino.

«Sì, spesso trascorro il tempo a comporre poesie e pezzi di critica sull'attuale situazione estetico- letteraria».

Quali poeti sono stati importanti nella tua formazione culturale? (So che è una domanda tabù, ma ci provo).

«Senz'altro i classici dai quali non si può prescindere».

E fra quelli del Novecento?

«Ma non saprei...».

Ungaretti, Saba, Quasimodo, Montale?

«Direi Quasimodo e Montale».

E Sanguineti?

«Poveretto, lo so che non c'è più...».

Che ricordo hai di lui, che pochi giorni prima di morire è venuto proprio qui a Vicenza?

«Lo so. Io l'ho frequentato parecchio a Padova, facevamo assieme lunghe camminate. Era una persona seria, preparatissima, di grande rispetto. La sua scomparsa lascia un vuoto molto triste. Ma non parliamo di cose tristi...».

Ho un nodo alla gola: avevo parlato col poeta genovese in occasione del suo intervento a "DirePoesia" a Palazzo Leoni Montanari. Mi ero sentita davvero privilegiata nell'ascoltare l'inconfondibile voce monocorde di quel senex mentre leggeva il suo inedito sonetto vicentino. E privilegiata mi sento anche adesso nel poter conversare familiarmente con quest'altro insigne senex ("stanco al tramonto", Sinopsìe, pag. 89) che mi concede l'onore della sua amicizia.

Avevo incontrato Ruffato nel 2001 nella Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino in occasione di una rassegna poetica alla quale intervennero anche Fernando Bandini, Silvio Ramat, Franco Loi e Maria Luisa Spaziani. Un'eccezione quell'apertura al pubblico di Ruffato, appartato nel suo impenetrabile eremo, nonostante coltivi ancora corrispondenze epistolari e rapporti con moltissimi autori.

E fra le voci poetiche giovani, che cosa hai scoperto?

«Ho visionato molti manoscritti di giovani, vi ho riscontrato una certa dose di creatività estetica e poetica, ma direi che non ci sono ancora solide basi, siamo ancora in una fase di attesa».

La calura di questo primo giorno di luglio è mitigata dall'aria emessa da un delicato ventilatore che favorisce la nostra conversazione che solo da un po' di tempo si era interrotta. Osservo le pile di libri, molti doppi e tripli, riviste e cartelle accatastati nelle mensole. Mi alzo, scorro con l'indice i dorsi dei volumi allineati negli scaffali, riconosco la rilegatura azzurra di "Scribendi Licentia" (summa della produzione dialettale che gli ha valso molti prestigiosi premi). Gli consegno il libro che sfoglia piano forse emozionato dai ricordi ....

Sì, l'ho scritto io.

Che importanza ha avuto per te l'uso del dialetto?

«Molta, il dialetto ha pari dignità della lingua ufficiale, spesso l'arricchisce. A volte mi è servito a rendere realtà nascoste, sentimenti profondi che la lingua italiana non poteva fare. Nell'ultimo periodo della mia vita ho privilegiato l'uso della lingua italiana, senza mai dimenticare l'importanza di quella dialettale, materna».

Il mio pensiero va a Parola pìrola, I bocete, Diaboleria pubblicati dai nostri storici editori come Bino Rebellato, Campanotto... Alcuni non li ho letti, ma spero di procurarmeli per avere una visione più completa dell'oceanica ed eclettica produzione di questo infaticabile sperimentatore della Parola. E della Vita.

 

nr. 26 anno XV del 10 luglio 2010

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