NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Monologhi tra immagini, sogni e realtà

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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CLAUDIO MANUZZATO

Nei monologhi lei propone un'osservazione sia introspettiva che rivolta alla realtà vicina e vissuta direttamente. Quali sono le parti dei monologhi in cui il pubblico si sente maggiormente coinvolto?

«Non li ho portati molto in giro, questa è una ripresa, continuavo a rileggerli e rimetterli nel cassetto: "bisogna" fare Goldoni e le cose degli altri. Poi mi sono detto che era giusto che li rifacessi e li ho ripresi, scremati, riadattati sulla messa in scena, la sostanza del testo l'ho mantenuta. Il primo è del '74-'75 e gli altri sono dei primi anni '80. Ho visto che funziona molto la parte della donna nella chiesa. Credo che il pubblico si emozioni e il fatto che riesca a cogliere il momento in cui si emoziona vuol dire che qualcosa sono riuscito a trasmettere del sentimento. Poi ognuno fa proprie certe cose: quando uno scrittore scrive, le cose diventano di dominio pubblico e ognuno le fa proprie in base alla propria esperienza: non so cosa arrivi di preciso però so che una certa tematica, come quella sull'uomo, arriva».

Dal punto di vista del racconto lei narra di una realtà di disperazione e degrado, dove i pochi sprazzi di serenità sembrano essere delle concessioni centellinate quasi con sadismo. Chi è l'artefice della disperazione che racconta? Noi stessi o siamo vittime delle circostanze e non si può che subire?

«Diciamo che la situazione sociale porta soprattutto gli strati più disagiati ad avere e a vivere sofferenze. A volte siamo noi stessi che intensifichiamo e somatizziamo eccessivamente la società».

Si ma sembra quasi che non ci sia uno scampo.

«Io non so se oggi avrei un'ottica uguale. Il finale è: "E non sia grigia polvere". Io soffro la situazione nella ricerca della libertà, cerco la forma e l'ho trovata nei rifiuti, però poi vedo: "non può vivere questa forma?" perché c'è il condizionamento delle due maschere, delle due streghe, del buffone. "Scusate, devo parlarvi perché sto male, non mi capite"-"No, vai per la tua strada, cerca le pagine di un libro". Però c'è questa lotta continua, questa ricerca e quindi "non sia grigia polvere". C'è un tentativo, un bisogno: l'umanità può ancora farcela».

Ci spiega il significato di queste due maschere che lei utilizza in scena?

«Le ho usate perché nella parte della guerra è un dialogo a due, sempre da idee, sogni e immagini e mi sembrava che rendesse l'efficacia del dialogo, del tormento, della guerra. All'inizio lo facevo solo sdoppiandomi poi ho scelto di usare le maschere».

Secondo lei, quanto e in che modo l'arte è salvifica, sia per chi la fa che per chi ne usufruisce?

«Beh, aiuta e fa la sua parte. Sai, la gente l'hanno anche abituata ad essere molto superficiale. Io in teatro sono arrivato a fare le commedie brillanti che di solito non le facevo: fai Goldoni eccetera perché alla gente piacciono e si diverte ed è giusto che si faccia anche questo. Però la gente, quando proponi delle riflessioni, capisce. C'è gente che va a ballare il liscio ma quando fai un ragionamento su delle situazioni ,apprezza perché c'è bisogno anche di questo. Noi facciamo Goldoni ma se tu abitui il pubblico alla "Zia Teresa" (che è pure teatro veneto), al cabaret e a cose più semplici, quando vede Goldoni... Noi proponiamo sia cose impegnate che diverse. Mancano le occasioni, la gente fa fatica perché ormai è abituata ai pacchi in tv. Se i teatri propongono anche cose contemporanee e di ricerca, la gente forse risponde meno ma è importante far sapere che c'è anche questo».

 

nr. 26 anno XV del 10 luglio 2010

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