NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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L’uomo che inventò lo slogan “la cultura ci fa ricchi”

Intervista a Filiberto Zovico, direttore marketing di Marsilio, uno dei maggiori animatori del dibattito sul futuro del Nordest, tra quanti hanno lanciato l’idea del Nordest capitale europea della cultura 2019

di Gabriella Bertizzolo

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L’uomo che inventò lo slogan “la cultura ci fa ric

Nasce a Vicenza e dopo gli studi tecnici, si laurea in filosofia a Padova. Segue l'impegno politico con Cacciari, poi la professione: venditore di spazi pubblicitari per i quotidiani locali e nazionali. Lavora in uffici commerciali e di comunicazione all'interno di strutture associative, poi per gruppi come RCS e Il Sole 24 Ore. Nel 1993, su proposta del direttore del Gazzettino, Giorgio Lago, rileva la rivista Nordesteuropa con l'obiettivo di collocare il dibattito sul futuro del Nordest in una visione europea e globale (da qui l'idea di inserire "Europa" nel titolo). Dopo una battuta di arresto nel 2000, la rivista riapre e nel 2003 va in edicola affiancata da una serie di libri editi dalla Marsilio dove trovano spazio ricerche, racconti di imprese eccellenti e discussioni sul futuro. Dopo l'incontro con l'economista Stefano Micelli, insieme alle associazioni dei giovani imprenditori, alla Fondazione Nordest ed alla Fondazione CUOA, nel 2006 il mensile ha dato vita al Meeting dei quarantenni poi rinnovato in Meeting delle nuove Classi Dirigenti il cui scopo è quello di costruire un terreno di elaborazione progettuale per la Metropoli Nordest. Dal 2007 Zovico è direttore di marketing e comunicazione della Marsilio editori, importante spazio di riflessione sul futuro del Nord Est. Nel 2008 Nordesteuropa Cultura si aggiunge alla testata principale con lo scopo di rafforzare una rete trasversale di iniziative tesa a dare al Nordest diversi strumenti di comunicazione e di riflessione nell'ambito dell'intreccio tra mondo produttivo e mondo dell'arte. Ora è in fieri l'ambizioso progetto che vede il Nordest capitale europea della cultura nel 2019, suffragato dalla notevole coesione in ambito istituzionale e politico dimostrata dalle tre regioni. Una scommessa che - come sostiene Zovico - il Nordest non può permettersi di perdere. Zovico dal 2008 è anche ideatore e direttore del Festival delle Città Impresa, attualmente una tra le principali manifestazioni culturali di tema socioeconomico del nostro paese.
Lei ha asserito che «l'economia non è arida e la cultura non è astratta».
«L'economia è tutt'altro che arida, anzi. È una delle espressioni "poetiche" dell'uomo. Se lei ascolta gli imprenditori, li sentirà parlare della loro impresa come di una costruzione artistica. E di costruzioni artistiche vere e proprie si tratta. Personalmente penso che le tute di Dainese o i jeans di Renzo Rosso, solo per fare due esempi, tra alcuni anni saranno esposti in musei d'arte contemporanea. Se lei va a Shanghai a vedere il Padiglione Italia allestito da Davide Rampello, dopo l'ingresso che riproduce il Teatro Olimpico, troverà appunto le tute di Dainese o delle composizioni artistiche realizzate con i freni della Brembo. Che poi la cultura sia astratta è un vero e proprio controsenso. Fare il pane, produrre del vino o qualsiasi altro gesto noi compiamo è sempre frutto di una elaborazione culturale mischiata a tradizioni storiche. Non a caso, se facciamo riferimento per esempio alle tradizioni culturali, il pane si produce in modi talmente diversi città per città, Paese per Paese, che è impossibile contarne le varietà. Ho parlato non a caso di un prodotto di base della nostra vita perché è chiaro che le radici culturali oggi hanno una importanza fondamentale perfino in economia, e pesano nei modi di produrre e consumare. Si pensi ai prodotti tipici, al fenomeno dei km 0, al ruolo che ha il "gusto" italiano nella moda e nel design. Ma anche la letteratura, che è fondamentalmente narrazione, "serve" per costruire identità, per fornire chiavi di lettura critica utili a cercare di modificare la realtà. Anche laddove la letteratura si concentra nel leggere fenomeni dell'animo, nei fatti aiuta a stabilire identità e connessioni. Vorrei notare infine che lo splendore delle civiltà (basti pensare a quella veneziana o a quella fiorentina) associa sempre tre elementi: ricchezza materiale, ricchezza di cultura umanistica, ricchezza di innovazione scientifica e tecnologica. Proprio per questo motivo, quando abbiamo lanciato l'idea del Nordest Capitale Europea della Cultura 2019, lo abbiamo fatto all'insegna dello slogan "la cultura ci fa ricchi". Ricchi interiormente, ma anche ricchi economicamente».
Il Nordest capitale europea della Cultura 2019: un evento che può essere cruciale per lo sviluppo della metropoli ...
«Da sempre i grandi eventi hanno la caratteristica di essere veicoli per lo sviluppo e per ridisegnare i territori. In Italia è stato così per Genova, che proprio attraverso la Capitale europea della Cultura, nel 2004, ha ridisegnato l'intera area del porto vecchio ed ha ricostruito una connessione tra il porto e la città. È stato così per Torino, che attraverso le Olimpiadi invernali del 2006 ha costruito un modello di città radicalmente diverso da quello, ormai in crisi, basato sulla grande fabbrica. Per il Nordest, lavorare sulla Capitale Europea della Cultura 2019, significa svolgere operazioni altrettanto significative ed ambiziose. La prima è quella di ricostruire un rapporto tra Venezia ed il suo territorio "storico" (Le tre Venezie) e viceversa. La frattura avvenuta negli anni tra quella città divenuta un museo e il Nordest divenuto laboratorio economico internazionale è alla radice della debolezza complessiva di quest'area. La seconda operazione che si può compiere con la Capitale Europea della Cultura è di creare quelle "connessioni" tra la rete di città del Nordest che possa permettere di costruire una vera dimensione metropolitana. In questo senso la realizzazione dell'Alta Velocità, unita alla costruzione di un Sistema Metropolitano Ferroviario che connetta le due-tre grandi fermate con il resto della rete, è l'asse portante della realizzazione della metropoli. La terza operazione, che è ben esemplificata nella mappa della metropolitana culturale che abbiamo abbozzato nel progetto realizzato da Roberto Daneo, è di non immaginare una Capitale europea della Cultura che si connota per nuove (e dispendiose) opere, ma che valorizza le centinaia di eccellenze già esistenti nel territorio mettendole in rete. Insomma si tratta di immaginare un nuovo modello di città metropolitana, che superi il vecchio modello in crisi delle metropoli "concentrate" (tipo Milano o Torino, per intenderci), e sviluppi invece un modello a rete, figlio dell'economia digitalizzata, in cui ogni singolo punto si afferma per sapere sviluppare eccellenza su nicchie specializzate. Così può nascere una rete di poli espositivi, una rete di teatri, una rete della ricerca e dell'università. Ma, ogni punto di questa rete, deve concentrare funzioni ed essere un punto di eccellenza non solo a livello metropolitano, ma anche a livello europeo».

In questa nuova realtà metropolitana del Nordest, felice (utopico?) preludio ad una "euroregione", a Venezia è assegnato il ruolo di capofila, Trieste è detentrice del settore scientifico, Rovereto della sostenibilità ambientale, Asolo con Montebelluna del design, Schio dell' innovazione e formazione d'eccellenza, i comuni del Camposampierese della comunicazione. E a Maniago viene assegnato il settore cinematografico: perché alla guida di tale centro operativo, la scelta - accanto a quella plausibile del padovano Carlo Mazzacurati - cade sul regista di Bobbio, Marco Bellocchio?
«Quello che abbiamo abbozzato è un tipico esempio di come vorremmo procedere. Stante il fatto che si tratta solo, per il momento, di una proposta, per ipotizzare un centro della cinematografia siamo partiti da una analisi della realtà. Ci sono nel Nordest almeno 3.000 imprese nel settore dell'audiovisivo e Pordenone (ed il Friuli) rappresenta l'epicentro di questo fenomeno. Si tratta perlopiù di imprese artigianali, gente che fa filmati industriali o che gira spot pubblicitari per il tessuto delle piccole aziende del Nordest. Ma ci sono anche degli a noi sconosciuti campioni internazionali, come la Sim 2 di Pordenone che produce videoproiettori che vengono acquistati da Francis Ford Coppola e David Lynch. Come possiamo far crescere questa industria dell'audiovisivo? L'idea è stata di far nascere nel pordenonese (a Maniago o altrove non ha molta importanza) un centro di eccellenza europeo di formazione cinematografica, che faccia da punto di riferimento per la formazione delle principali figure professionali di cui le nostre industrie hanno bisogno per crescere. In questo senso a dirigerlo dovranno essere chiamate figure del settore di valore internazionale. Marco Bellocchio è una delle figure internazionalmente riconosciute e, peraltro, con una grande passione per la formazione dei giovani».
Secondo il sociologo Ulderico Bernardi, il Nordest sta perdendo un valore fondamentale, la famiglia. Lei che cosa ne pensa?
«Non spetta a me discutere di una questione, come la famiglia, sulla quale sociologi di grande peso come Ulderico Bernardi hanno detto cose molto importanti. Posso dire, da semplice osservatore, che l'istituzione "famiglia" è cambiata nella sua formula molte volte nel corso della storia. È certamente vero che una volta saltato il modello della famiglia patriarcale, non siamo più stati in grado di elaborare un nuovo modello capace di fare sintesi delle diverse esigenze maturate nella società moderna. Certo è che, sul piano dell'impresa, dobbiamo assolutamente rompere con il modello dell'impresa familiare. La grande parte delle nostre imprese muore proprio a causa di ricambi generazionali non riusciti. La soluzione non è semplice e non si può pensare di risolverla con la formula "lasciate l'azienda in mano ai manager". La forza degli affetti, per imprenditori di tipo tradizionale, è più forte dell'istinto di conservazione aziendale, con i risultati disastrosi che conosciamo. Per cui, sia laddove esiste ancora una "famiglia imprenditoriale" sia laddove non ci sia "famiglia" (in quanto non ci siano figli), sarà comunque necessario ricreare un valore di "comunità", per cui una azienda possa essere trasferita anche a quei dipendenti più capaci che si dimostrino in grado di dare continuità all'azienda. In ogni caso non è un problema che vedo particolarmente grave, in quanto comunque ogni impresa familiare produce all'interno dipendenti qualificati che prima o poi si mettono in proprio e costituiranno nuove imprese».

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