NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
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Il nemico in casa: due storie vicentine

di Pietro Rossi

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Il nemico in casa: due storie vicentine

E le vittime? Dal Consultorio di San Lazzaro ne sono passate a decine in questi 3 anni. Tutte portano dentro - e a volte anche fuori - i segni inconfondibili della violenza. «Il problema è che molte donne non hanno la percezione del danno subito, anche se questo le manda in ospedale. Hanno la consapevolezza di essere vittime, ma non lo considerano grave. Questa, purtroppo, è l'abitudine alla violenza». La dottoressa Frison illustra le dinamiche delle testimonianze raccolte allo sportello e ammette: «Il finale delle storie spesso non lo so. Noi ascoltiamo e offriamo assistenza, quando è necessario chiediamo l'intervento della Polizia o degli assistenti sociali. Ma resta il fatto che, una volta fuori di qui, è un'incognita per ogni donna».

Gli opuscoli informativi recitano: "Liberati dalla violenza" e elencano una lunga serie di accorgimenti e precauzioni (http://www.regione.veneto.it/Temi+Istituzionali/Organi+di+Garanzia/PariOpportunita/progetti/campagna+chiedi+rispetto.htm) per combattere gli stalker ed i predatori. Ma la via di uscita, per le vittime di violenza, è sempre in salita. «Alcune tentano di allontanarsi, ma poi rientrano con il persecutore ed in parecchi casi si trascinano la situazione di violenza per tutta la vita - aggiunge Frison - il rischio di ritornare nella stessa relazione morbosa è molto forte, diciamo che ho visto anche donne che riescono a separarsi...». Cambiare vita. Non è così facile e chi ci riesce, come Sabrina e Rita (i nomi sono di fantasia), le protagoniste di due testimonianze raccolte al Consultorio, paga comunque un caro prezzo.

Sabrina si è lasciata da due mesi con il suo compagno. La loro storia, durata diversi anni, è stata segnata dalla gelosia soffocante di lui. All'inizio le lusinghe e l'affetto, poi le liti e le restrizioni sempre più pesanti alla libertà personale. Sabrina non poteva uscire se non accompagnata e doveva vestire solo abiti larghi e coprenti. Lui le controllava il traffico telefonico e se lei usciva per la spesa o altre commissioni le telefonava in continuazione per sapere dove si trovasse e se fosse sola. Inevitabili le scenate violente se trovava il telefono occupato o non raggiungibile.

Alla fine, la decisione di lasciarlo e di trasferirsi dalla sorella. L'inizio dell'incubo. Lui l'aspettava fuori dal luogo di lavoro e le chiedeva insistentemente un chiarimento e la possibilità di ricominciare la storia. Sabrina non ne voleva sapere e, a quel punto, la colpa ricadeva anche sulla sorella e sulle amiche, colpevoli di allontanarla da lui. Gli sms, centinaia, erano all'ordine del giorno. In più di un'occasione la seguiva, strattonandola perché salisse in macchina e tornasse a casa. E poi minacce e ricatti: di fare del male a lei e ai famigliari, di togliersi la vita.

Adesso il peggio sembra passato. Ma Sabrina si è ridotta a vivere da reclusa. Ogni volta che esce di casa si guarda intorno continuamente, spaventata all'idea di trovarselo alle spalle da un momento all'altro. Il manuale di sopravvivenza prevede di fare strade diverse ogni volta, ogni volta frequentare posti nuovi e cambiare spesso i turni di lavoro.

L'ombra di lui è continuamente presente.

Rita, invece, ha lasciato il marito dopo anni di maltrattamenti. Era stata picchiata diverse volte ed umiliata in ogni modo possibile, anche davanti alla figlia. All'ennesimo episodio di violenza il coraggio di chiamare un parente e la forza di andarsene di casa. La sistemazione dal famigliare non si è però rivelata sicura. Il marito la cercava in continuazione. Alzava i toni con minacce e intimidazioni: «Non provare a chiedere la separazione», le urlava in faccia. La denuncia alle forze dell'ordine non è servita più di tanto. Lui la seguiva costantemente, chiamandola ogni giorno: «Devi ritirare la denuncia perché ti stai inventando tutto, non hai le prove di niente e se continui così rischi di avere un incidente e crepare».

La scelta di Rita è stata risoluta. Ha cambiato città e numero di cellulare, iniziando contemporaneamente le pratiche per la separazione.

Ma, in quell'esilio forzato, il senso di paura non riesce proprio ad andarsene.

 

nr. 29 anno XV del 31 luglio 2010

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