NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La musica popolare può diventare nuova

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Luca Bassanese

Secondo te, questo tipo di canti, come possono essere anche quelli degli alpini per esempio, hanno un'esportabilità?

«Alla Fnac di Milano ho trovato un bellissimo disco che era suddiviso in canti del lavoro, delle lotte operaie e altre tematiche, con tutti i dialetti italiani ed era stato pubblicato in Francia».

E che riscontro hanno all'estero?

«Io penso che molta della musica moderna arrivi dal popolare, da cui deriva anche il termine "pop". La dance ha tutti ritmi di origine africana. La cosa bella della musica popolare è che ha dei punti di congiunzione tra ogni popolazione. Sono sicuro che se le mondine andassero a cantare le loro canzoni in India, troverebbero chi canta con loro o che si alza a ballare».

Nello spettacolo abbiamo visto la contrapposizione tra musica orchestrale e quella "autogenerata" dal popolo: quali sono le caratteristiche tecniche di questi canti che possono interessare gli autori che hanno una base fondata sullo studio?

«Uno dei complimenti più belli me lo fece Mauro Santoriello di MTV, quando scrisse che io ero riuscito a riunire l'accademia con il popolare. Io presi i concetti che Guy Debord scrisse nel '67, nel suo libro "la società dello spettacolo" cercando di trasportarli in una serie di quadretti in cui ci sono varie situazioni nelle quali ci troviamo ad essere degli esponenti della società dello spettacolo. Questo è un modo per unire la parte tecnicistica e tecnica. De Andrè diceva che saremmo arrivati ad avere una classe di cinghiali laureati in matematica e questo si sta verificando perché la tecnologia non va di pari passo con la crescita umana. Oggi ci sono moltissimi giovani davvero preparati che sono dei mostri a suonare, però bisogna sempre cercare la parte umana: cosa vuoi dire? Cosa vuoi raccontare? Perché stai suonando? La musica non può crescere senza la parte umana sennò si va verso l'estinzione. Bisogna coltivare lo spirito umanistico e, anche nella musica, prendere ciò che è accademico e creare un nuovo popolare che sia utile all'essere umano per diffondere pensieri e creare del ragionamento. Se tu prima non hai un desiderio di espressione o un concetto, non ti serve la tecnica».

Si ma è anche vero che non basta cantare "con il cuore".

«La tecnica serve a farti dire le cose nel miglior modo possibile e la ricerca è difficile perché spesso il musicista si adagia su essa, si sente protetto dallo strumento. Il grande musicista non ha bisogno dello strumento, è lui lo strumento della sua musica, che suoni una chitarra o una batteria non ha importanza. Poi chi usa il canto, ancora di più perché usa qualcosa che è intrinseco alla sua natura e alla sua fisicità. Nella canzone "Amico fragile", De Andrè dice: "È bello pensare che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo cominciare una chitarra". Per arrivare a pensare allo strumento come una prosecuzione di se stessi, bisogna essere tutt'uno con la musica non con lo strumento».

Tu fai teatro canzone e la Banda Osiris cabaret musicale. Ci sono delle avanguardie in questo ambito? Con la Banda Osiris avete concluso con Modugno e poi tu con De Andrè. Loro sono stati i più grandi innovatori della musica italiana.

«Io distinguo sempre tra il desiderio di descrivere ciò che accade e l'intrattenimento creato per far divertire o ballare. Modugno è stato lo spartiacque tra il bel canto e la musica d'autore: ai suoi tempi non esisteva il termine "cantautore", venne tradotto dalla RCA dall'inglese "songwriter" ma in realtà è il primo. Lui non ha la necessità del bel canto alla Claudio Villa ed è un provocatore perché arriva a fare "Nel blu dipinto di blu" con il finale "...con te" senza acuto finale, facendo arrabbiare i cultori perché non si poteva vincere Sanremo senza l'acuto. Lui disse che si dovevano ascoltare le parole. Anche De Andrè fu contestato dai contestatori stessi perché andò a suonare alla Bussola...».



(foto di ORIANO TADIELLO, PAOLA PERIN, MARCOS DE LA PAZ)



nr. 33 anno XV del 18 settembre 2010

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