Alla fine degli anni Settanta i modi di Favretto vanno orientandosi verso creazioni connotate da accenti scenografici, resi con il cromatismo scintillante che caratterizza sino alla fine il suo operato: una pittura di pennellate mosse e impasti ricchi e fluidi, a plasmare forme sciolte, di figure colte nell'alternanza degli scarti luminosi con esiti di briosa immediatezza. L'artista osserva con curiosità la Venezia dei campielli popolosi dove fervono le attività dei mercati, ne indaga i protagonisti, fissando sulla tela atteggiamenti e relazioni: Mercato del sabato in Campo San Polo, Erbe e frutta, La bottega della fioraia. Egualmente si animano di vita spicciola interni quali Il sorcio, o lo scorcio di cortile di Caldo, realisticamente ripresi con qualche indulgenza bozzettistica, riscattata dalle belle intuizioni che accompagnano le cadenze del colore.
Tutto si costruisce partendo da un'impronta cromatica: la briccola rossa nel tramonto di Una riva a Venezia, il vestitino azzurro della bimba del Banco del lotto, qualche scialle scarlatto, certi lembi di tessuto candido degli abiti femminili, tocchi dai riflessi magnetici attorno ai quali ruota l'intera composizione. Così, è la scia del lenzuolo bianco che sigla l'atmosfera de Il bagno, rappresentazione di nudo inusuale nel repertorio dell'artista.
Con sottintesi assai personali, Favretto incontra dunque il "vero" e pare si riallacci a quegli "argomenti tratti dalla vita d'oggigiorno," cui nel lontano 1850 Pietro Selvatico invitava gli alunni dell'Accademia a guardare. È uno sguardo però, il suo, scarsamente interessato ad argomentazioni di critica sociale, quanto spinto dall'arguzia di acuto metteur en scène di una commedia veneziana interpretata vivacemente da variopinti personaggi, talora intenti al lavoro, a passeggio tra le calli o sul listòn, oppure in maschera alla maniera di feste settecentesche. Sono opere che sovente evidenziano la condivisione del gusto generale per il Settecento veneziano e per Tiepolo, riscoperto con viva attenzione dalla critica; riprendono quindi un fare vagamente tiepolesco numerosi dipinti ambientati in una Venezia che appare aperta tra le due quinte, dell'attualità e della rievocazione, e dove ancora una volta primeggia la limpida sicurezza di una tavolozza ricca di lieviti e vibrazioni.
Stimato e benvoluto dai contemporanei, dal collega Luigi Nono agli Scapigliati fino a casa Savoia, Favretto muore prematuramente nel 1887, lasciando un patrimonio non vastissimo di opere, presenti oggi in musei importanti e in note collezioni private, ma purtroppo anche uno stuolo di dannosi imitatori, che hanno reso talora difficoltose le ricerche degli specialisti.
Nome di rilievo tra quanti hanno improntato l'Ottocento in terra veneta, l'artista rappresenta un punto di riferimento per molta pittura del nostro primo Novecento.
S'imponeva perciò una mostra di qualità come quella aperta al Correr fino al 21 novembre. Tra i vari recuperi, non di rado di strafalcioni, cui si dedica la provincia in questi tempi di parsimonia, le belle pagine esposte a Venezia sono un piacere per lo sguardo e la mente, se attenti a ripensare il nostro passato senza smancerie o feticismi.
nr. 33 anno XV del 18 settembre 2010